«Per fortuna sono nata in un corpo dotato di utero e ho questa possibilità di scelta!». La scrittura e la resa della realtà su cui gioca Murata Sayaka nel suo ultimo romanzo, Vanishing world (edizioni e/o 2025), si basa sulla legge della contraddizione e sui rovesciamenti, linguistici e parasociali. E quello di Amane – la protagonista del libro – è un Giappone contraddittorio localizzato ai confini di un tempo post-bellico, in cui il sesso nelle coppie sposate è scomparso, considerato addirittura incestuoso, e la procreazione avviene solo ed esclusivamente tramite inseminazione artificiale, relegando la consumazione carnale ai rapporti extra-coniugali. Una risposta scientifica alla bassa natalità successiva allo scoppio e alla risoluzione della Seconda Guerra Mondiale, che dal territorio della speculazione scientifica è saltata direttamente alla quotidianità, minando il concetto stesso di unione e di famiglia.
Confermandosi una delle più abili croniste della stranezza della società – con pennellate di bizzarria e dettagli grotteschi, quasi inquietanti – la scrittrice giapponese Murata Sayaka (Inzai, 1979) esaspera la visione di un mondo distopico, di cui aveva già dato prova nella descrizione di una commessa felicemente nubile ne La ragazza del convenience store – pubblicato nel 2016 e vincitore del premio Akutagawa – e del senso di estraneità di una giovane ragazza convinta di essere un’aliena ne I terrestri, uscito nel 2021. In Vanishing world l’autrice compie l’ennesimo rovesciamento della realtà – forse il più definitivo – in cui il sesso in primis, e il rapporto con l’altro in secundis, si avviano verso una deriva solipsistica che si concretizza nella grande prefettura-esperimento di Chiba, in cui i concetti stessi di procreazione e genitorialità vengono sostituiti da una grande comunità incubatrice in cui i komodo-chan – i bambini nati tramite fecondazione assistita – sono figli di nessuno e quindi di tutti, e l’unico compito delle Mamme è dar loro amore incondizionato, sollevandosi da qualsivoglia dovere educativo e pedagogico.
Le conseguenze di tutto ciò? La possibilità data anche agli uomini di essere portatori di un utero artificiale (Saku, il marito di Amane, sarà il primo caso al mondo a portare a termine una gravidanza con successo), l’annichilimento del concetto di unione – e conseguentemente di famiglia –, e la perdita del contatto con la realtà, dove un’umanità tutta disconosce le sue stesse origini, e il senso della progressione della specie, intesa come eredità. Il contrario di Adamo ed Eva, insomma, dove prima o poi ci saranno l’ultimo uomo e l’ultima donna che faranno sesso per l’ultima volta, riaprendo così le porte del Paradiso. E Amane può essere considerata come l’ultima paladina di una “antica umanità”, l’ultima Eva: a lei piace fare sesso (lei stessa è stata concepita in maniera naturale: glielo ricorda sempre sua madre, un’instancabile ribelle al sistema, facendola sentire sbagliata e anacronistica), a lei piace innamorarsi (di persone in carne ossa, ma anche e soprattutto di “esseri non umani” – come le piace chiamarli – ovvero i personaggi di cartoni animati e serie televisive, la cosiddetta “fictosessualità”) e per lei è imprescindibile e viscerale il senso della famiglia, la cui ricerca si sviluppa dalla prima all’ultima pagina del romanzo, cercando in ogni risvolto di una società ormai sterile il germe di una nuova era, ormai troppo avviluppata su sé stessa per rinascere.
Ma Amane, come tutte le paladine, porta in sé anche il senso stesso della sconfitta: se dapprima, infatti, nelle parti iniziali del romanzo, il suo atteggiamento è di scontro e rottura nei confronti di una società che allontana sempre più il sesso dalle proprie dinamiche condannandolo all’obsolescenza, nel vivo dell’intreccio per necessità di omologazione il suo atteggiamento cambia, adeguandosi ai precetti della nuova visione “a-carnale”. Ma c’è sempre qualcosa che stride e che lascia il lettore interdetto rispetto alla fidelizzazione di un atteggiamento che, per quel poco che Murata Sayaka fa trasparire nella parabola di sviluppo di un personaggio, non sembra appartenere fino in fondo ad Amane. È finzione o ci crede davvero? Sta facendo finta perché è più semplice ispessire il proprio pensiero e seguire una coscienza collettiva o il brain washing dettato dalla paura di un contatto fisico – e conseguentemente emotivo – ha funzionato anche su di lei? La risposta sta negli occhi di chi legge, ma quello che si può affermare è l’ineludibilità di una ricerca di risposte che perdura per tutta la durata del libro, e che culmina nell’epilogo in un grottesco e ulteriore ribaltamento degli eventi mascherato da delusione annunciata.
Continuando, si può dire che il compasso di questo romanzo punti su due centri: il primo è rappresentato dalla denuncia sociale nei confrontidella ipertrofizzazione di una collettività sempre più sterile, in ogni senso; il secondo, invece, con linguaggio asciutto e la dose giusta di dialoghi, si potrebbe dire punti sulla parabola di un’emancipazione femminile; ma dal momento che è calata in una realtà distopica e al rovescio, l’emancipazione in sé risulta l’ennesimo afflato infecondo di un tentativo abortito. Ma questa stessa frustrazione femminile e femminista non è forse percepita anche e soprattutto nella realtà “per il dritto”? E dunque questo romanzo potrebbe appartenere al genere della critica femminista? Ancora una volta, la risposta sta negli occhi di chi legge. E comunque, in un mondo in cui il sesso non ha più un ruolo attivo, men che meno nella promiscuità, la condizione della donna – fino a ora l’unica portatrice di utero e dunque custode della procreazione – viene svilita dall’avanzare miracoloso della scienza e della tecnologia che dà la possibilità anche agli uomini (miracolati) di sostenere una gestazione tramite un utero artificiale. Lo schiaffo per eccellenza al ruolo della donna nella società.
Murata Sayaka, con la sua narrativa weird, in Vanishing world presenta dunque al lettore un Giappone ancora più lontano di quanto già non sia nell’immaginario occidentale. Presenta anche una protagonista nei panni dell’anti-eroina, la cui psicologia è delineata con tratti quasi meccanici, gli stessi tratti che si ammorbidiscono nell’epilogo del romanzo, quando Amane soccombe finalmente all’impossibilità di dominare la propria sessualità, e quindi la sua stessa umanità. E il lettore tira un sospiro di sollievo, rassicurato dal fatto che nulla in realtà è stato davvero stravolto, che tutto questo rimane nel Mondo dell’Aldilà. Anche la stessa Amane rimane dall’altra parte, con i suoi traumi, i suoi dubbi e le sue incertezze sulle vicinanze e le sue sicurezze sulle distanze – incertezze si potrebbe dire, in maniera provocatoria, “tutte femminili”. In ultima battuta, si può sostenere che Vanishing world sembrerebbe essere un romanzo che prende le distanze, dal contatto umano, da una messa in discussione, dal concetto stesso di umanità. Ma come per uno di quei paradossi tipici della migliore letteratura, alla fine ci si ritrova ancora più vicini, più umani e più “sessuali” di come ci si è sentiti all’inizio della lettura di questo romanzo. E Adamo ed Eva sono ancora banditi dal giardino dell’Eden, per fortuna.
Immagine header: Helen Hyde, “Baby Talk”, 1980 (Public domain)

M. Sayaka, Vanishing world, traduzione di Anna Specchio, Roma, e/o, 2025, 224 pp., € 18.






