Nel mondo della poesia contemporanea aleggiano non pochi cliché e pregiudizi: uno di questi è che dovrebbe rimanere estraneo al mondo della poesia chi di letteratura non si è occupato o non si occupa per carriera universitaria o professione. Essendo sempre stato avverso, per indole e formazione professionale, ai cliché – categorie limitate e limitanti per chi le pensa non meno che per chi se le sente addossare – non ho potuto dunque che accogliere con entusiasmo la possibilità di leggere e commentare le due raccolte poetiche di un autore che non appartiene al mondo delle lettere sebbene sia ben noto, nel suo campo, per le numerose pubblicazioni e la rilevante attività di ricerca.

Sto parlando di Vittorio Lingiardi, psicoanalista e professore all’Università “La Sapienza” di Roma, autore di due libretti di poesia per Nottetempo: La confusione è precisa in amore (2012) e Alterazioni del ritmo (2015).

Devo ammettere che mi trovo vicino a questo autore non solo per formazione professionale ed ambito lavorativo, ma anche per il modo in cui intende la poesia: un’espressione soggettiva di idee e sentimenti lontana da timori reverenziali verso l’uso di rime facili e di parole che esprimono direttamente emozioni (termini come cuore, amore, ecc. compaiono con una certa frequenza), con chiari agganci alla tradizione e una forte attenzione alla forma. Ritroviamo nei suoi componimenti rime frequenti, saltuarie anastrofi e anche addirittura delle apocopi un po’ vecchiotte, che tuttavia Lingiardi riesce ad inserire con una non comune nonchalance. Altra caratteristica che apprezzo del suo poetare è la brevità: la poesia lirica deve essere piuttosto contenuta nella sua estensione se vuole provare a concentrare massimamente la sua forza espressiva. In ciò l’uso delle regole formali, più o meno liberamente interpretate – la presenza di un limite cioè con cui l’autore è costretto a confrontarsi – costituiscono un elemento essenziale, perché proprio grazie a quelle regole i componimenti riescono ad incanalare e sublimare l’egocentrismo (la dominanza dell’Io) insito in chi predilige una forma espressiva centrata sulla soggettività come la lirica.

In La confusione è precisa in amore, il sentimento amoroso è il tema dominante del libro e viene declinato con una delicatezza – anche quando l’autore vira in modo più deciso sul versante erotico – che ricorda certi componimenti di Penna e di Buffoni: «Come conchiglia abbarbicata e sola ǀ sul torace del tuo scoglio mi addormento. ǀ Resisto ai flutti della mia impazienza ǀ sentendo che il tuo cuore batte lento» (p. 11); «Con gli anni crescono ǀ le ombre sulla pelle. ǀ Segni sul corpo ǀ dermatografismi. ǀ La gabbia del costato, ǀ cassaforte del cuore. ǀ E i ragazzi, ǀ oh i ragazzi hanno corpi rosa…» (p. 84).

Non si parla tuttavia solo di amore umano e carnale, ma anche metafisico: vari sono gli elementi lessicali alla religione (le parole Dio, anima, assieme ad altri riferimenti religiosi più velati si ripetono diverse volte nella raccolta), che si può supporre abbia avuto un certo rilievo nella formazione umana dell’autore. Un’esperienza religiosa che pare intrisa di erotismo, sulla scia dell’esperienza di alcuni importanti mistici cristiani, come Teresa D’Avila (cui nella successiva raccolta è dedicata una poesia) o San Giovanni della Croce: «Affamato dalla povertà ǀ dal legno della croce ǀ magri ti carezzo i piedi ǀ il solco verde delle vene ǀ il torsolo addentato del torace ǀ carta geografica di paese ignoto ǀ pelle sgualcita, mappa del tesoro ǀ guscio perfetto di madre moribonda ǀ gli stinchi amati fragili bianchissimi» (p. 21). L’amore è onnipresente e plasma dolcemente anche il ricordo di figure femminili dal carattere materno e consolatorio con esiti, in alcuni casi, veramente notevoli: «Dalla tua mano il micio se n’è andato ǀ come una rosa molecola leggera. ǀ Levatrice felina, padrona del fato ǀ l’hai aiutato a trovare la sera. ǀ Di gatto venusiano la madre naturata ǀ sei stata tu, la sua pietà sei stata» (p. 78).

Una caratteristica generale della poesia di Lingiardi è certamente la predilezione per la forma breve (o brevissima): molti componimenti sono di due o di quattro versi e in essi di solito viene prediletta la rima “facile” (che poi, si sa, facile non è) e l’espressione piana del sentimento: «Ti penso come lo potrebbe fare il vento, ǀ con rabbia, foglie in cielo, accanimento» (p. 3); «spina nel fianco fai male ǀ speranza di scoglio fondale ǀ spigola all’inguine amore ǀ orlo spaccato ostrica del cuore» (p. 83).

Ciò che forse penalizza questo primo lavoro è una sua disomogeneità strutturale e ritmica: probabilmente diverse poesie risalgono a molti anni prima e risultano meno levigate di altre nel tessuto della raccolta, tanto da far pensare che questa silloge fotografi un “work in progress”, l’inizio più che l’esito finale della ricerca di uno stile personale. Sono da segnalare tuttavia alcune poesie veramente toccanti – coraggiosamente sentimentali direi – nella loro capacità di incorniciare con eleganza e consegnare al tempo lungo della parola scritta situazioni e sentimenti molto comuni.

La seconda raccolta – Alterazioni del ritmo – vede un poeta più sicuro dei propri mezzi, che pare aver compiuto una scelta stilistica più netta. La forma breve, che consente all’autore di raggiungere la massima efficacia espressiva, è ancora più presente in questo lavoro. Facilmente si pensa a Caproni, ma soprattutto ai lirici greci (molte le poesie di due soli versi): «Nella concava notte ci guardiamo dormire ǀ questo buio d’amore non ci lascia più uscire» (p. 16).

Rispetto al precedente lavoro diventa più forte l’uso dell’ironia – a volte svagata e infantile, altre volte un po’ acida – che ricorda, grazie anche all’uso insistito della rima, alcuni testi di Vivian Lamarque e di Patrizia Cavalli: «Parole precise sono base sicura, ǀ che tavolo è tavolo e cane cane. Per tutti è così. Viviamo bene. ǀ Un giorno mi hai detto che tavolo è cane: ǀ così sono iniziate le cose disumane» (p. 18); «Forse perché di giorno troppo mite ǀ mi trasformo la notte in un bazooka. Perché il russare non diventi lite ǀ nell’altra stanza si rifugia Luca» (p. 72).

Il metro si colloca sempre nella tradizione (prevalgono i settenari, ottonari, gli endecasillabi, canonici e non); si capisce che la forma brevissima e chiusa garantisce a Lingiardi quella zona di sicurezza in cui può esprimersi meglio, correndo tuttavia il rischio di perdere forza espressiva quando questo schema ritmico e il medesimo soggetto poetico (l’amore, le palpitazioni e le disavventure del poeta) si ripetono spesso nel giro di poche pagine.

Da un punto di vista tematico anche in questa silloge l’amore, e le sue conseguenze “cardiache” (le «fibrillazioni» per i tradimenti, per le scoperte), costituiscono il tema centrale. Un sentimento sondato nelle sue più diverse sfaccettature, omosessuali – e in questi casi è forte, a mio avviso, l’influenza artistica di Penna e di Pasolini: «Mi sei così vicino ǀ per assenza ǀ che quando ti tradisco ǀ è come se baciassi ǀ la tua essenza» (p. 24); «Vicino a me sei nudo ǀ Budda italiano da cantico del vino. ǀ Non trema più la mano ǀ posata sull’addome contadino» (p. 32) – e filiali, con effetti davvero coinvolgenti: «Tentavo di avere negli occhi ǀ la durezza che guarda la vita ǀ ma stringevo fino ai piedi del letto ǀ pochi grammi di madre sfinita. ǀ Lo tenevo pulito il suo corpo appassito ǀ ossa bianche di sassi di mare ǀ aspettavo e aspettavi la morte ǀ senza mai che ti vidi pregare» (p. 67).

Detto ciò, quel è il merito principale di Lingiardi, quale il motivo per cui può valere la pena di leggerlo? Direi la leggerezza e l’autenticità della sua “esposizione sentimentale” (mi si passi questa espressione), della sua capacità cioè di evocare con una delicatezza e una malinconia quasi adolescenziali ricordi legati ad esperienze amorose che ognuno può aver vissuto. Un’esposizione che, dal mio punto di vista, assume un valore doppio dato il mestiere e la formazione professionale del nostro. Ogni psicoterapia (ogni psicoanalisi) può avere esito positivo solo se il paziente sente, nel corso dei dialoghi e degli scambi personali, una reale partecipazione emotiva del terapeuta. Lingiardi riesce a far sentire al lettore, con la gioiosa spontaneità di chi non ci tiene ad essere considerato “poeta laureato”, le «aritmie» e le «sincopi» di chi alla fine sottomette volentieri l’inclinazione razionale della mente alle fibrillazioni dell’«altra metà del cuore».