Diciamo la verità: cosa ci viene in mente se pensiamo al concerto solista – formula chitarra e voce – di un cantautore? Nella migliore delle ipotesi si potrebbe pensare a un qualcosa di intimo ed emotivamente intenso; ma, inutile negarlo, anche al rischio di un’esperienza monocorde e un tantino noiosa, stante la scarna essenzialità delle premesse.

Preconcetti e stereotipi di tal fatta vengono, fortunatamente e inesorabilmente, spazzati via dal live tenuto da Damien Rice al Castello Scaligero di Villafranca di Verona il 30 luglio.

Lo show solista dell’irlandese infatti si rivela sì di grande impatto emotivo, ma anche estremamente coinvolgente e ricco, pieno, vario da un punto di vista strettamente musicale: motivi per cui vale la pena spendere qualche parola sull’evento, anche dopo alcune settimane dal suo svolgimento, cercando di raccontare com’è andata.

La tappa veneta del cantautore – a distanza di nove mesi da quella autunnale di Milano – è la terza e ultima data italiana del tour estivo legato alla promozione della sua ultima fatica discografica My Favourite Faded Fantasy, terzo album uscito a fine 2014, a ben otto anni di distanza dal precedente 9.

Quando si presenta sul grande palco del Castello Scaligero – location di grande bellezza, suggestivo valore aggiunto per ogni spettacolo che vi si tenga – con la sua fedele chitarra acustica, Damien è poco più di un puntino in uno spazio che sembra troppo vasto: ma con la forza delle sue canzoni e l’intensità della sua interpretazione, quello stesso spazio sarà riempito senza esclusioni dall’incanto della sua musica.

Ma andiamo con ordine.

Il concerto si apre con Delicate, dall’album di esordio O (del 2002, per molti vertice ineguagliato e ineguagliabile della sua discografia): l’avvio con la prima traccia del suo primo album, fa pensare a un Rice che voglia mettere a proprio agio il suo pubblico – parecchio folto per l’occasione – proponendo un brano che per molti è stato il punto di incontro con la sua musica. L’esecuzione, di una canzone già splendida di suo, è ottima e il coinvolgimento emotivo degli spettatori – in larga parte attenti, rapiti ed educatamente silenziosi – è realmente palpabile.

La varietà delle coordinate musicali della scaletta (che si rivelerà equilibrata, intelligente e ben ponderata) è già percepibile con il secondo pezzo Coconut Skins (da 9), decisamente più ritmato e trascinante; e diventa poi del tutto evidente con Woman Like a Man: per l’esecuzione del pezzo in questione (pubblicato come singolo nel 2003 e non presente in nessuno dei tre album) Damien Rice inizia a fare sfoggio dell’ampia effettistica – sia per chitarra che per voce – di cui abitualmente fa uso e che arricchisce di toni e sfumature la riproposizione della sua musica.

Seguono The Box e Long Long Way, due brani tratti da My Favourite Faded Fantasy. Nel corso del concerto verranno eseguiti cinque degli otto brani dell’ultimo album, e va riconosciuto come non sfigurino affatto accanto ai “classici” più amati dei dischi precedenti: questo sia perché suonati in maniera ineccepibile e/o particolarmente efficace, sia perché indubitabilmente belli, a dispetto di chi – non molti, fortunatamente – ha visto in  My Favourite Faded Fantasy un lavoro lontanissimo dai fasti di O. The Box, ovviamente priva degli arrangiamenti orchestrali che ha su disco, viene proposta in una versione diretta, essenziale e toccante; e grande è l’intensità anche di Long Long Way, iniziata con un armonium solenne e arcano per poi tornare alla chitarra in un crescendo di grandissima forza.

Nel frattempo, tra un pezzo e l’altro, il Nostro fa a brandelli gli stereotipi del cantautore splenetico e serioso, intrattenendosi in lunghi dialoghi con il pubblico, concedendosi battute, spiegazioni dei brani e aneddoti divertenti. Anzi, paradossalmente, la vena disponibile e leggera dell’irlandese finisce con lo spingersi un po’ troppo oltre: per l’esecuzione di Volcano (da O) viene infatti fatta salire sul palco una ragazza del pubblico che – da capire se ci è o ci fa – più che duettare con Damien si limita a qualche vocalizzo fuori tempo e, parrebbe, ad alto tasso alcolemico. L’episodio sarà stato anche divertente ma – a parere del severo scribacchino che sono – vedere un brano meraviglioso come Volcano “pasticciato” in questo modo, fa apparire la cosa più come un siparietto piuttosto discutibile, o comunque fuori luogo.

Tutto ritorna sui binari giusti e alla normalità (e che normalità!) con la splendida Amie (da O), uno dei brani più emozionanti dell’intero repertorio. Impeccabili e bellissime sono anche le successive My Favourite Faded Fantasy (title track dell’ultimo disco) ed Elephant (da 9).

Per chi scrive è poi una grande gioia sentire le prime note di I Remember (da O): è per me tra le canzoni in assoluto più belle e rappresentative di Damien Rice, con la sua dolcissima melodia iniziale dal sapore celtico e i successivi, tesissimi crescendo che raggiungono vette di intensità emotiva davvero devastante. La resa live di questa canzone non è da meno, arricchita per altro da una lunga coda con effetti e loop (una delle peculiarità dei concerti di Rice è l’utilizzo di una pedaliera con cui campiona “in diretta” alcune parti, mandandole poi in loop a sovrapporsi con quanto continua a suonare), per un risultato complessivo che ne fa uno dei vertici del concerto.

Dopo quello che probabilmente è stato il climax dell’intero show, arrivano The Greatest Bastard (da My Favourite Faded Fantasy) – diretta, toccante, disarmante – e The Professor & La Fille Danse: quest’ultima è un autentico gioiello, spesso (fortunatamente!) eseguita dal vivo nonostante sia “solo” una b-side. Pensare che un pezzo del genere sia relegato a quel modesto ruolo non può che essere un’ulteriore prova, qualora ve ne fosse bisogno, dello straordinario valore della produzione del cantautore irlandese.

La prima parte del concerto si chiude con It Takes a Lot to Know a Man (da My Favourite Faded Fantasy): brano dalla durata considerevole anche su disco, viene qui proposta in una spettacolare versione fiume, in cui Rice – oltre alla consueta chitarra acustica – suona chitarra elettrica, clarinetto e percussioni, campionando e mandando in loop quanto suonato; l’effetto, lungi dall’essere caotico o dispersivo, è davvero ammirevole, come dimostra la calorosa standing ovation tributata dai fan quando Damien Rice lascia il palco.

Pochi minuti e, puntuale, fa ritorno per i canonici bis. In maniera forse non troppo originale (ma credo che nessuno – me compreso – abbia di che lamentarsi!) qui il Nostro propone tre delle sue canzoni in assoluto più famose e apprezzate: Cannonball (da O), 9 Crimes (da 9) e The Blower’s Daughter (da O). Una volta sottolineatane l’ottima esecuzione, resta poco da dire su brani la cui bellezza è assolutamente fuori da ogni ragionevole discussione; si può al più segnalare come per questa parte finale di show il pubblico si lasci andare, alzandosi dai propri posti a sedere per avvicinarsi al palco e seguire con trasporto e partecipazione ogni nota.

Dopo poco meno di due ore termina così un concerto sulla cui ottima riuscita davvero non sussistono margini di dubbio; un concerto che ha saputo unire le emozioni e “l’intimità” del live cantautorale chitarra e voce con il coinvolgimento e l’intrattenimento propri di una proposta musicale articolata, ricca e varia, pur nel suo essere scevra da ogni inutile orpello o virtuosismo.

Un concerto in cui al valore assoluto delle canzoni si è sommata la forza della capacità interpretativa e l’ottima resa dell’esecuzione.

Un concerto che conferma una volta di più il posto di assoluto rilievo che Damien Rice occupa nel panorama musicale dei giorni nostri.

PS A un paio d’ore dal termine del concerto “vero”, Damien si è concesso ai fan rimasti ad attenderlo per un after show all’esterno del Castello. Un live tra gli spettatori, senza amplificazione e microfoni, solo chitarra e voce. Non è stata una sorpresa completa, dal momento che la cosa era già avvenuta nelle precedenti date di Roma e Taormina. Pur potendolo quindi prevedere, chi scrive non ha assistito a questa ulteriore esibizione (…l’indomani la sveglia avrebbe suonato presto, implacabile, come ogni mattina); ne do qui soltanto notizia, come ulteriore testimonianza della grande disponibilità e generosità dell’artista nei confronti del suo pubblico, nonché del suo autentico, e sempre ben visibile, piacere di suonare.

 

Villafranca di Verona, Castello Scaligero, 30 luglio 2015

Setlist:  Delicate,  Coconut Skins,  Woman Like a Man,  The Box,  Long Long Way,  Volcano,  Amie,  My Favourite Faded Fantasy, Elephant,  I Remember,  The Greatest Bastard,  The Professor & La Fille Danse,  It Takes a Lot to Know a Man;  Cannonball, 9 Crimes, The Blower’s Daughter