Nella cantina sono nascosti i ricordi di amori ammazzati e di trucchi mai svelati. Al piano superiore da una finestra guizzano ragazzini che giocano a football, emblema del fallimento che porta alla crescita. Più su c’è il solaio dove sotto lo sguardo vigile di «romanzi vittoriani» stazionano in bella vista le origini, le lettere e i progetti archiviati. Un ultimo sforzo per arrivare alla cupola, il punto di osservazione massimo della vita propria e altrui. Così Francis Scott Fitzgerald materializza la carriera di scrittore: erge un edificio a immagine e somiglianza della sua vita smussandone gli angoli con il tratto amaro che da sempre caratterizza la sua composizione.

La casa di uno scrittore fa parte di Cento false partenze, da poco ripubblicato da Belleville Editore. Dopo essere apparso per la prima volta negli anni Sessanta, all’interno dei Quaderni della Medusa di Mondadori con il titolo Crepuscolo di uno scrittore, torna in una nuova edizione con la traduzione originale di Giorgio Monicelli. Si tratta di una raccolta di saggi e racconti che vennero pubblicati nei giornali americani tra il 1920 e il 1947, qui ordinati dal biografo di Fitzgerald, Arthur Mizener, per comporre una sorta di percorso cronologico e indirettamente autobiografico.

Percorrendo i racconti ci allontaniamo progressivamente da Belli e dannati, dove i demoni della malinconia e delle atmosfere sognanti erano tratteggiati da una scrittura elegante e ricca di momenti lirici al di fuori del tempo. Nelle opere successive tali accorgimenti, dopo lo spartiacque de Il Grande Gatsby – che corrisponde al momento più alto della poetica dello scrittore, ma che coincide anche con l’inizio del declino annunciato dalla vendita esigua di copie –, si tradurranno nelle opere successive in uno stile più asciutto. L’astrattezza della descrizione didascalica e quasi stereotipata dei suoi personaggi in Al di qua del paradiso sottolineava il conformismo e l’ipocrisia della borghesia all’uscita da Princeton. Dimentichiamo immediatamente le fattezze di uomini e donne che affiancano i protagonisti per far spiccare l’unica reale e sincera protagonista del tempo: Rosalind, donna forte ed emancipata, vera testimone del cambio dei tempi («È una di quelle ragazze che non hanno bisogno di compiere il minimo sforzo per far innamorare di sé gli uomini. Son di due tipi quelli che di rado si innamorano di lei: gli sciocchi hanno paura della sua intelligenza e gli intellettuali sono di solito spaventati dalla sua bellezza. Tutti gli altri le appartengono per prerogativa naturale»). Dal Grande Gatsby in poi Fitzgerald dimostrerà di saper calibrare lo stile descrittivo con una maggiore concisione narrativa assorbendo, per Tenera è la notte, l’insegnamento di Hemingway: descrivere senza dire con periodi meno dettagliati e battute di dialoghi che fungono da veri perni delle scene (per capire basta leggere la battuta finale del primo capitolo di Tenera è la notte: «Volevamo avvertirla di non scottarsi il primo giorno», continuò allegra, «perché la sua pelle è importante, ma sembra che ci sia una tale formalità su questa spiaggia che non sapevamo se le sarebbe spiaciuto»).

Superato il 1930 Fitzgerald aveva sperimentato i primi insuccessi, l’alcol, i segnali preoccupanti da Zelda, il fasto al tramonto degli anni ruggenti. Proprio quando la vita remava contro e Fitzgerald doveva risolvere le conseguenze del passato, la corrente che guidava il suo stile si orientò verso soluzioni più intense e catartiche. Sostiamo tra le fondamenta di Fitzgerald, quelle stesse che sembrano mancare allo scrittore nel decennio perduto (1930-1940) un periodo di crisi artistica che coincide con il declino dell’era del jazz, di cui era stato principale testimone, e si riflette in una metamorfosi biografica e stilistica. Cento false partenze è un buon modo per seguire le fasi di un mutamento che rese Fitzgerald meno illuso e più consapevole della sua missione di scrittore.

Le avventure di Basil, per esempio, contengono il Fitzgerald degli inizi, in grado di allontanarsi dalle dimensioni cittadine e di comporre piccoli racconti di formazione. Le suggestioni giovanili vengono rese alla perfezione con quella speranza che si fa immagine. Se nella generazione perduta il ricordo della guerra è affossato dalle speranze del futuro, imminente ma sempre irraggiungibile, qui i timori infantili sono un’eco embrionale di uomini e donne della generazione che verrà: gli uni titubanti, a volte spavaldi, le altre in una perenne dimensione volubile e trasognata.

Basil vide che mentiva, ma era una bugia coraggiosa. Quindi si parlarono dal profondo del cuore, con quelle mezze verità ed evasioni, caratteristiche di quell’organo, che non ha mai avuto fortuna di essere uno strumento di precisione. Ricucirono insieme tutti i brandelli di romanticismo che conoscevano e se ne rivestirono a vicenda, facendone indumenti non meno caldi della loro passione infantile, non meno meravigliosi del loro senso di stupore.

La risposta a momenti riflessivi come questo, in cui i personaggi arrivano a toccare la triste verità della loro sorte, è una contemplazione al di fuori dell’età anagrafica. Nella giovinezza – sia di Fitzgerald come autore che dei suoi personaggi – si ripongono le riserve di saggezza insieme alla spinta della possibilità reale di cambiamento. Nei racconti successivi al 1925 il mondo dei cocktail party, delle vacanze di lusso, dell’intimità equivoca tra amici, è fonte di una scrittura più elusiva. Invece dell’interruzione che astrae dalla realtà e allunga il tempo narrativo, la scelta sintattica si fa accurata nella descrizione di azioni ed eventi.

Tale intensità lega la teoria letteraria di Fitzgerald alla sua vita. «Noi scrittori dobbiamo ripeterci, questa è la pura verità», «Sia che si tratti di qualcosa accaduto vent’anni fa o semplicemente ieri, devo partire da un’emozione che sia vicina alla mia esperienza» così in Cento false partenze, il saggio più impegnato e completo sulla vita da scrittore, Fitzgerald incasella due capisaldi della sua produzione artistica: attingere alla forza traumatizzante dell’esperienza e riviverla continuamente e in modi diversi nelle proprie opere. In altri saggi della raccolta Fitzgerald raccoglie e, quasi, ironizza sulle illusioni della vita artistica. Come vivere con trentaseimila dollari l’anno e Come vivere praticamente di nulla aiutano a capire quello stato di vita all’apice che già faceva intravedere l’indole procrastinatrice di risparmi, frivola nello spendere e sacrificata nello scrivere. Confrontando questi due racconti con quelli successivi al 1930 ci si accorge di una maturità più dolorosa e reale.

Fitzgerald era passato da Hollywood, aveva scrutato il sogno americano da un’altra prospettiva saggiando l’artificialità del dietro le quinte. L’illusione e la successiva delusione che gli provocò il mondo cinematografico furono tali da ripercuotersi sulla sua vita (ricaduta nell’alcolismo e ricoveri in ospedale) e traboccare nei racconti. Ne abbiamo una testimonianza più tragica nelle storie di Pat Hobby – sceneggiatore fallito e squattrinato al tramonto del cinema muto – e nel racconto Pazza domenica (in italiano raccolto ne Il decennio perduto, pubblicato da Mattioli 1885 con la traduzione di Nicola Manuppelli), basati su avvenimenti realmente accaduti tra le file degli studios. Stava tramontando l’amicizia con Hemingway dopo che c’era stata profonda stima tra i due – Fitzgerald era stato un tramite fondamentale con l’editor Perkins per la pubblicazione di Hemingway –, era sofferto l’amore per Zelda eppure il nucleo compositivo di Fitzgerald si rafforza.

In Cento false partenze i racconti come Davanti al negozio dello stipettaio, Un viaggio all’estero – ascesa e declino della felicità di una coppia che ricorda da vicino Fitzgerald e Zelda –, La gabbia di gesso, mostrano la capacità di superare l’autobiografismo nel tentativo di nobilitare la vita nella finzione. Leggendo in progressione questi racconti si comprende come gli svolazzi trasognati e onirici della scrittura di Fitzgerald si assestano in una narrazione più diretta e dinamica, fatta di azioni e non di attese. La Gloria di Belli e dannati si trasforma in una donna mentalmente instabile in Un viaggio all’estero, la dimensione da favola svanisce bruscamente nel racconto Davanti al negozio dello stipettaio.

«Non esistono secondi atti nella vita degli americani»: così Fitzgerald scrive nei Taccuini, forse non consapevole che stava imboccando una nuova fase del suo processo creativo. I racconti di Cento false partenze disegnano un sismografo di alti e bassi: gli apici che testimoniano la volontà di continuare a scrivere e di proseguire la ricerca tutta personale sullo stile, e i punti più bassi e oscuri che non gli donarono mai la lungimiranza necessaria per un futuro che l’avrebbe reso uno degli autori più importanti della letteratura americana.


fitzgerald

Francis Scott Fitzgerlad, Cento false partenze, Belleville Editore, Milano 2017, 288 pp. 16€