Alla fine il sipario si è levato e i nomi sono stati svelati. È finita l’attesa intorno ai cinque finalisti della XXXIV edizione del Premio Narrativa Bergamo, che ancora una volta dimostra attenzione alle diverse identità che il panorama romanzesco (e non solo) propone oggi ai lettori.

Perché l’attenzione è innanzitutto rivolta a loro, come comunità composita, fatta da giovani e adulti, appassionati di libri che, trasversalmente alle classi, ai generi e ai gusti, rendono valida e vivace la proposta di questa manifestazione.

Erano in tanti ieri sera, nella splendida Aula Magna di Sant’Agostino dell’Università di Bergamo, dove la Professoressa Franca Franchi, delegata del Rettore Remo Morzenti Pellegrini, ha fatto gli onori di casa agli organizzatori del premio. In primis la Segretaria Flavia Alborghetti, e poi il Presidente Massimo Rocchi, che ha introdotto la serata, lasciando poi la parola alla densa e flessuosa lectio magistralis con cui Andrea Cortellessa, membro del comitato scientifico insieme a Silvia De Laude, Marco Belpoliti e Angelo Guglielmi, ha rivelato l’attesa cinquina che gareggerà per la conquista dell’edizione 2018 del Premio Bergamo.

Si tratta di:

SarchiAlessandra Sarchi, La notte ha la mia voce, Einaudi Stile Libero 2017

 

 

 

 

 

 

OrecchioDavide Orecchio, Mio padre la rivoluzione, minimum fax 2017

 

 

 

 

 

biondilloGianni Biondillo, Come sugli alberi le foglie, Guanda 2016

 

 

 

 

 

mariMichele Mari, Leggenda privata, Einaudi 2017

 

 

 

 

 

 

PalandriEnrico Palandri, L’inventore di se stesso, Bompiani 2017

 

 

 

 


 

Anche questa, come ogni selezione, non manca di suscitare dibattito e confronti. Se su alcuni autori l’accordo è massimo – basti vedere quanti, nei giorni scorsi, tra Missiroli, Pascale, Pariani, Valenti e Latronico, avevano ipotizzato la presenza di Mari –, su altri nomi la discussione è aperta. Ad ogni modo, come Cortellessa ha ben mostrato, anche in questa occasione il Comitato scientifico del premio ha mostrato di saper avanzare una proposta composita ma anche coerente al suo interno.

La linea rossa che lega i finalisti di quest’anno sembra essere l’invenzione del passato come chiave per sopravvivere al presente, o quantomeno per comprenderlo. Questo passato può avere le fattezze della Grande Storia, come quella che si muove a passi pesanti nei tanti “pezzi” che compongono Mio padre la rivoluzione, dove Davide Orecchio – come già aveva fatto nell’esordio Città distrutte – mette a frutto la sua preparazione storica per sottoporre al lettore una parabola “divertente”. Le vicende raccontate, infatti, divergono da quello che è stato il percorso storico documentato dalle fonti, mosse dal what if, vero moltiplicatore di mondi. E se può esser suggestivo leggere la storia di un Occidente dominato da un individuo che assomma su di sé le identità di Hitler e Stalin o della concordia che vige nella Germania governata da Rosa Luxemburg, ancor più sorprendente è vedere come un’intera storia, quella della Rivoluzione d’ottobre, possa essere raccontata e reinventata attraverso un “semplice” collage di brani tratti da saggi storici, autobiografie, reportage (come nel capitolo Cast).

Anche Gianni Biondillo si cimenta con la Grande Storia, e in particolare con la Grande Guerra. Come sugli alberi le foglie si muove sotto una doppia stella: quella del verso ungarettiano che dà il titolo al romanzo, e che evoca l’epopea tragica e tutta umana di chi andò in guerra senza sapere cosa avrebbe incontrato, e quella del futurismo, impersonato dal giovane architetto Antonio Sant’Elia. È lui il protagonista di un romanzo architettato con un montaggio parallelo dei capitoli che ricostruiscono la sua bildung sentimental-culturale e di capitoli dedicati al racconto di una guerra a cui Sant’Elia corse incontro, spinto dal mito ingannevole della velocità e del dinamismo. Qui invece troverà una precocissima morte, che gli impedirà di diventare l’architetto che i pochi disegni lasciatici avevano fatto intravedere. Per Biondillo, tuttavia, questo basta per ricreare lo spaccato di una generazione, di un’epoca e di una cultura, i cui esponenti illustri – come Morandi, Carrà o Stravinskij – non mancano di animare il palcoscenico.

Nel romanzo di Enrico Palandri, L’inventore di se stesso, lo sprofondamento è in un passato ancora più lontano: qui la genealogia famigliare offre il palinsesto per un racconto a più livelli, dove la narrazione del protagonista si accavalla a quella del padre, affabulatore e grande illusionista. Così dal Veneto contemporaneo si arriva fino a una Venezia ancora bizantina e poi alla Russia zarista, dove un antenato si trasferì. Romanzo famigliare e romanzo di una memoria resa inafferrabile dagli schermi dell’inganno e della mistificazione, che si tramandano di padre in figlio.

Un rapporto padre-figlio ben più tremendo, e verrebbe da dire “orroroso”, è quello che Michele Mari mette al centro della sua autobiografia Leggenda privata. Il racconto dell’infanzia come età della scoperta e dell’orrore, età dominata da fantasmi capaci ancora di incarnarsi nei più disparati oggetti della vita quotidiana, è la base per un racconto che procede, di foto in foto, attraverso una lunga galleria di ricordi che diventano, grazie all’inventività di uno stile ora manieristico, ora invece eccezionalmente mimetico, capitoli di una «leggenda», quella che fa di Michele Mari l’unico scrittore in grado di mettersi a nudo di fronte al lettore eppure rimanere sempre distante, chiuso nella torre di un’autoriflessione inaccessibile. Se non per via estetica.

A differenza di tutti gli altri libi in gara, la storia che Alessandra Sarchi recupera, in La notte ha la mia voce, non ha a che fare con genealogie famigliari o sprofondamenti nel passato – reale o virtuale che sia. Il racconto si muove tutto all’interno di una singola esperienza di vita, quella di una donna che si trova a confrontarsi con il trauma della perdita delle gambe e della rinuncia alle ambizioni che ne avevano colorato la vita fino a quel momento. Nel raffronto tra il passato della felicità “normale” e il presente segnato dall’incombenza di un corpo in cui non si riconosce più, si costruisce la parabola di questa donna che, contro ogni attesa, non cede alle consolazioni di un impari risarcimento morale a cui la disabilità darebbe accesso, ma prova a costruirsi una nuova, inedita immagine di sé, fatta di parole più che di esperienze.


 

Ai lettori appassionati che ieri hanno seguito la presentazione, ai giurati selezionati che il 28 aprile, nell’Auditorium di Piazza Libertà, esprimeranno il nome del vincitore, spetta ora il compito di riconoscere non tanto le consonanze tematiche o stilistiche che legano queste opere, quanto le ragioni che le differenziano, rendendole uniche, e per questo votabili.

Come l’anno scorso, noi della Balena Bianca faremo la nostra parte, intervistando gli autori, raccontandone i libri e seguendo da vicino gli incontri con loro, che si terranno tutti alla Biblioteca Tiraboschi:

  • giovedì 1 marzo, ore 18, Alessandra Sarchi
  • giovedì 8 marzo, ore 18, Davide Orecchio
  • giovedì 15 marzo, ore 18, Gianni Biondillo
  • giovedì 22 marzo, ore 18, Michele Mari
  • giovedì 5 aprile, ore 18, Enrico Palandri.