Pubblichiamo oggi la seconda di cinque interviste ai finalisti del Premio Narrativa Bergamo 2019, che verrà assegnato nell’Auditorium di Piazza Libertà, a Bergamo, sabato 27 aprile 2019. Giulia Corsalini è stata la seconda finalista che ha presentato il suo libro, La lettrice di Čechov (nottetempo 2018) al pubblico del Premio. L’abbiamo incontrata nella hall dell’Hotel dei Mille di Bergamo e le abbiamo rivolto qualche domanda per entrare nel cuore della sua scrittura e delle scelte che l’hanno portato a questo libro.


la lettrice di cechovLa lettrice di Čechov ha al centro, appunto, la figura di questa lettrice, una donna, Nina, una donna ucraina, che è un personaggio complesso, attorno al quale si costruisce tutta la trama e che può essere definita attraverso una serie di etichette: è una badante, ma è anche una studiosa di letteratura russa, è una madre, è una moglie. E però sembra costantemente voler sfuggire a queste etichette che sembrano ingabbiarla, con il suo comportamento che è sempre un po’ sfuggente e spiazzante. La prima domanda che vorrei farti, allora, è proprio questa: da dove nasce la figura di Nina? E quale influenza ha avuto la letteratura di Čechov per immaginarla, per costruirla?

Čechov viene ancora prima di Nina. Il racconto nasce sull’onda della lettura di alcuni suoi racconti. Poi c’è un spunto anche autobiografico, o comunque legato alla realtà, perché a quel tempo lavoravo come assistente all’Università di Macerata e si parlava di questa signora ucraina, che era venuta in Italia per fare la badante e in tutti i momenti liberi frequentava la biblioteca di slavistica. Così si era fatta apprezzare come studiosa e le avevano offerto un contratto di docenza…

quindi l’elemento forse più inverosimile della trama è invece un elemento reale…

Sì, e poi tutto il resto è inventato. Perché in realtà io questa signora non l’ho mai conosciuta – forse ci incrociavamo per le scale –, non so precisamente chi sia, non ho mai parlato con lei. Però questo spunto è diventato poi il nucleo di un racconto, che a poco a poco si è arricchito ed è diventato romanzo, e questo nel corso di diversi anni. Come ti dicevo, però, nasce tutto anche da Čechov: mi colpiva soprattutto questo ideale di naturalezza stilistica e verità umana, che in qualche modo diventa anche l’ispirazione della voce narrante.

Io insisto sull’aspetto della badante, perché è abbastanza insolito nella letteratura italiana contemporanea trovarla come personaggio: è una figura ricorrente nella vita quotidiana e nella società contemporanea, però rimane marginale nell’immaginario, come attestano le scarse ricorrenze nella narrativa. Allora mi viene da chiedere, secondo te, quali sono i personaggi che devono essere raccontati? Ovvero, nello scegliere questo personaggio – anche a partire dallo spunto autobiografico, che dicevi – c’è anche una sorta di investimento politico nell’idea di raccontare personaggi marginali, che solitamente sfuggono allo sguardo oppure era semplicemente un’occasione narrativa troppo ghiotta da farsi scappare, a prescindere dalla connotazione sociale?

Come ho detto anche altre volte, non penso che ci debbano essere delle intenzionalità che vadano al di fuori del narrare una storia, narrare la vita così com’è, cioè proporsi altri obiettivi che stiano al di fuori di un percorso letterario. Poi, il fatto che questa figura e questa storia vengano lette anche nella loro anima sociale, questo per me va bene, sono contenta che assuma anche questo tipo di significato. Ma semmai è l’effetto, non è l’origine dell’ispirazione.

Questo romanzo si costruisce con una trama che cerca di ricalcare i meccanismi della memoria: chi racconta è la stessa Nina, che ricostruisce la propria vicenda e si muove avanti e indietro tra i ricordi. Non è difficile ricostruire la linea retta della sua vita, però i vari momenti vengono chiamati in causa in maniera disordinata perché seguono gli andamenti anche emotivi della memoria. Dove nasce questa struttura e perché dare questa forma al romanzo, anche a costo di far perdere qualche volta il lettore?

L’idea era di calarsi nell’io di questa donna, di Nina, prenderla in un momento in cui il passato diventava importante perché in gran parte perduto e quindi struggente, e quindi assumeva una sua profondità. Di qui la necessità di raccontare il passato da un momento, che è il momento di maggiore solitudine di Nina. Poi nella seconda parte invece c’è un presente perché si offre una nuova possibilità a Nina, quindi è una dimensione diversa per lei, anche a livello temporale. Ciò non toglie che anche lì ci siano continui recuperi. Nina e lo stresso De Felice vivono di passato, perché è nel passato che c’è stato il momento importante degli affetti, e tutto quello che avrebbe potuto succedere nella loro vita lì si era in qualche modo proposto e poi è rimasto in gran parte irrealizzato.

C’è una certa severità con cui Nina sembra giudicare se stessa, nel tono e nello stile abbastanza scabro con cui racconta la sua vita, e penso in particolare al rapporto con la figlia, che mi sembra quello più problematico. C’è una certa severità con cui lei ammette le proprie colpe e però, al tempo stesso, cerca attraverso il racconto di legittimarle.  È una figura complessa e che mi sembra interroghi in maniera abbastanza urgente una serie di istanze della figura femminile.

Sì, come dici tu lei è severa, cerca di capire quelli che sono stati gli errori della sua vita. Ma neanche li vive più come errori. Cerca di mettere in ordine i pezzi della sua esistenza, ma ribadisce anche da un lato la necessità e la volontà di essere se stessa e realizzare alcune sue aspirazioni, dall’altro il fatto che comunque ciò che l’ha mossa, più di ogni altra cosa, è stato l’amore – per Katja, per la famiglia. Quindi direi severa ma fino a un certo punto.

Per chiudere, una domanda un po’ più leggera che facciamo a tutti. Visto che sei finalista a un premio, se dovessi dire una caratteristica del tuo libro che potrebbe colpire il pubblico e farti vincere, quale sarebbe?

Questa è la domanda più difficile. Penso che lo debbano stabilire i lettori.