Se Argéman (Marcos y Marcos, 2014) si apriva con un metallico e apatico Annuncio ai viaggiatori in stazione («Soppresso il primo treno | verso nord. Motivo una frana | che incombe sui binari.» vv. 1-2), la nuova raccolta di Fabio Pusterla, Cenere, o terra (Marcos y Marcos, 2018), inizia, invece, con un’accorata preghiera, che annuncia non un formale ritardo ferroviario, ma l’inizio di un viaggio di diversa natura («Per l’acqua e per i prati | per la mano del volo mio gaudioso | per tutte le cose precarie che splendono miti | per tutte le cose del mondo», Preghiera della rondine, vv. 6-8).

Preghiera della rondine proietta il lettore nella dimensione onirica e variegata che si respira dall’inizio fino alla conclusione del libro, libro che si rivelerà essere un lungo viaggiodantesco già dal titolo («Cenere, o terra che secca si cavi | d’un color fòra col suo vestimento.» (Purg. IX, 115-116) – nella realtà multiforme composta dai quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Una piccola rondine grigia, stampata sulla copertina della raccolta mentre precipita in volo verso il basso, è la nuova protagonista del “bestiario” di Pusterla, già arricchito dalla presenza della libellula di Argéman e dall’armadillo di Corpo stellare. Sospinta dal vento dell’Ovest, («E tu aiutami aria | sostienimi vento dell’Ovest», vv. 11-12) la rondine sorvola su terre e distese d’acqua, dirigendosi speranzosa verso il mare. Il suo volo abbraccia tutti e quattro gli elementi, «tutte le cose del mondo» (v. 8).

La prima tappa del viaggio si apre con la sezione Pasolini appeso. Un’aura spettrale di nevaio si avverte in queste poesie iniziali, dense di apparizioni fantasmatiche (Fantasmi a un concerto di Terry Blue, Tre apparizioni a Wassen…) e ambientate in freddi luoghi metropolitani, per lo più mitteleuropei. Glaciale e aspro è il freddo vento di Luce Invernale («Poi finalmente si è fatto vivo il vento | da giorni e giorni in agguato dietro ai boschi» Luce invernale, v. 1-2) e forse di memoria montaliana è la luce «dura scartavetrata dentro | l’aria immobile» (v. 3-4). Al gelo che abbraccia ogni cosa, ai «ghiacci segreti dell’hinterland», si contrappongono interni caldi, come quello di un «bar» o «un’osteria d’amici in festa» (Venditore ambulante di rose (con eco da Rilke), v.15), e climi miti del sud («Mite città del sud corsa dallo scirocco», Via Trinchese, v.1).

Le città, Ginevra, Berlino, Milano, sono il palcoscenico di scambi, colloqui e vicende umane. Una giovane donna, abbandonata per telefono dall’amato, poiché non c’è tempo per gli addii nella frenetica realtà metropolitana, «grida» e «singhiozza», incurante degli sguardi indiscreti dei passanti:

Poi in corso Manzoni, diciamo, ricorda una donna
che grida e singhiozza perché
Tu non vuoi stare con me? perché, perché? Non ti sento
già più e si accascia, il telefono cade, si spegne
Milano la strozza Milano la prende (Frammenti metropolitani, vv. 24-27)

Due signore si incontrano per strada, hanno un breve dialogo da comari, l’una declina l’invito dell’altra a bere qualcosa insieme («E “No” risponde | “no grazie, ho appena fatto la merenda di Natale | all’asilo, sono piena come un uovo | di Pasqua”», Stanze del crepuscolo, vv. 6-9) e si allontana ridendo di se stessa, inghiottita dal tran-tran cittadino. L’apparente banalità della scena è stemperata, nella strofa finale, dalla riflessione intorno alla parola tedesca Angst, cruda e lapidaria, quasi breve anagramma di “angoscia” e “tristezza”, e esempio inquietante di «economia semantica»: Angst copre un ampio e «livido» spettro di significati che va, in un climax ascendente, dalla semplice «paura» al «presentimento cupo di sventura» fino all’apocalisse di «cristalli rotti» e «roghi» – forse con velata allusione storica alla “notte dei cristalli”, allusione suggerita, nella strofa precedente, sia dalla radice tedesca del termine, sia dal riferimento alla figura politica dittatoriale stampata sui giornali, («“Sembra il Duce” | ha detto un giorno mia madre», vv. 24-25).

Pusterla è un poeta della coscienza collettiva: Via Trinchese è un manifesto della palpabile tensione razziale contemporanea. La riflessione del poeta prende avvio dalla presenza di una scritta diffamatoria, scarabocchiata sopra un muro cittadino («il segno nero | orrido sopra il muro: “Pasolini | appeso”. Pasolini chi, ci chiediamo, | Pier Paolo?», Via Trinchese, vv. 4-6). Pasolini è nuovamente simbolo della violenza cieca e gratuita: oggi Pasolini è il «compagno più inviso» o «un insegnante odiato o odioso», – bullismo scolastico e violenze contro l’autorità riempiono le pagine dei nostri quotidiani. Il campo d’identificazione si allarga, e Pasolini diventa «un qualsiasi presunto nemico» (forse lo straniero che siede accanto a noi sulla metropolitana?).
La riflessione politica si espande, passando dal circoscritto fenomeno di delinquenza cittadina alla crisi di «un’Europa fallita», incapace di trovare un rimedio al morbo che l’affligge e si aggrava sempre di più («un’Europa rancorosa | timorosa e divisa | Europa sussiegosa che è caduta | dalla groppa del toro nella polvere sulfurea», Via Trinchese, vv. 38-42).

Nessuna cura può risultare efficace, se oggi è possibile persino vedere una ragazza mettersi in «posa da cubista» – per una foto o un selfie – davanti alla stele del Denkmal di Berlino: un’ apologia dell’ignoranza narcisistica moderna, mescolata al gusto perverso per il macabro e alla progressiva perdita della memoria storica (si ricordi che un episodio analogo a quello qui raccontato da Pusterla si è verificato, in tempi recenti, ad Auschwitz, dove il museo ha definitivamente vietato fotografie in posa sui binari del treno). Pusterla denuncia così la fine dell’arte stessa della fotografia, diventata paradossale e fine a se stessa: il singolo non scatta per ricordare ciò che ha vissuto, poiché non riesce a dare valore concreto all’esperienza.

Del senso, mi chiedevi da lontano: di che senso
avrebbe allora la cosa.
Ti rispondo che ho visto una ragazza
mettersi in posa da cubista su una stele
del Denkmal di Berlino, una pietra fra migliaia
per sei milioni di morti senza senso;

La seconda tappa del viaggio, Nella luce e nell’asprezza, si apre con un notturno, forse debitore dell’antico canto del lirico greco Alcmane («Tacciono l’acqua e i boschi, | tacciono gli animali | tace il cielo deserto | e tacciono le ali», Nel silenzio. Lamento di F.K, vv. 1-4).
La sezione colpisce soprattutto per le poesie “stellari”, dedicate ad astri e ad avvenimenti astrologici: la dimensione ultraterrena allarga la geografia della raccolta, trasformandola in un resoconto non solo di ciò che è terrestre, ma anche degli elementi al di là («vado a caccia di stelle | che non raggiungono mai | il proprio splendore», Disastro, vv. 15-17). Il «cacciatore di stelle» fluttua in uno psichedelico e onirico “oltremondo” celeste, le sue percezioni giocano con le consistenze di una materia aliena, sottoposta a fuochi pirotecnici, favolosi e spaventosi allo stesso tempo. Il contatto con questo nuovo ed estraneo ambiente naturale concretizza l’essenza di un percorso volto alla scoperta di se stessi e dell’altro da sé, così che solo varcando – fisicamente e idealmente – i confini di ciò che è conosciuto, il soggetto si riscopre parte integrante della realtà circostante. Ritorna il gioco semantico, la natura sfaccettata della parola, lo scarto tra significato e significante: il titolo della poesia Disastro è ripreso ai versi 20-21 della poesia stessa dalla forma tedesca «desaster» («adesso si spiega meglio il suo | “DESASTER”»). «Desaster» è calco della forma latina “aster” con aggiunta del prefisso, con valore peggiorativo, “dis”: il significato originario della parola “disastro” indica ciò che avviene “sotto l’influenza di una cattiva stella”. Il DESASTER non è che «la negazione dell’astro | arrivo del buio definitivo» (Disastro, V): lo scoppio dell’apocalisse, l’implosione di una supernova, lo schianto di un meteorite. Un luminoso Big Bang. Un ritorno alle origini. La rondine ha superato i confini del cielo, la sua preghiera si ripete: «(si ripete la preghiera della rondine. E tu aiutami aria | sostienimi vento dell’Ovest, | aspettami mare)», “Am Gletscherrand”.

Il volo della rondine apre anche la successiva sezione, Confuscazioni. La visuale panoramica sposta la prospettiva dello sguardo, prima puntato verso le stelle, nuovamente in basso, verso le distese fangose:

Quasi ovunque, il colore dell’acqua
vista dall’alto, estranea. Come forma
altra dell’essere che chiama e allontana,
verde menta o fangosa, limpidissima
o nera impenetrabile, ma sempre
pullulante, anche stagnando, ma sempre
in movimento verso direzioni
diverse. […] (Da ponti, rocce, sbalzi, vv.1-8)

Ultimi cenni del custode delle acque, il breve poemetto contenuto in Confuscazioni, ambientato nel paesaggio viscoso e palustre di Vaprio d’Adda, è il cuore pulsante della raccolta. Pusterla ripropone il suo “marchio di fabbrica”, la poesia di confine: confine tra paesi, tra persone, tra elementi naturali. Un confine non sempre così delimitato, ma via via sempre più labile, destinato a scomparire progressivamente in una inevitabile fusione. Si fondono acqua e cielo, si fondono terra e nube («e quasi non si distinguono | il nero d’acqua dal nero di cielo | il nero di bosco dal nero di nube» II, 3-5).
Non è da escludere che, dal punto di vista tematico, strutturale e lessicale, Ultimi cenni del custode delle acque sia debitore, in parte, al poemetto di Montale, Mediterraneo. Pusterla descrive la potenza dell’acqua, contro la quale nulla può opporre resistenza, con verbi tipicamente montaliani: «il riflesso che scardina | ogni vita ogni cosa» e «Ribolle adesso l’acqua | non c’è riva | a tenerla». Tuttavia, in Ultimi cenni del custode delle acque, l’irruenza del fiume fa presagire, più che una fusione feconda e primigenia, quale quella di Mediterraneo, un’apocalisse imminente («Viene la tumultuosa. | Sento l’erba che annuncia il rovescio | l’animale inquietudine che parla. | Viene la tumultuosa, | a distruggere i ponti | a cambiare» I, 1-6), uno sconvolgimento dai contorni postatomici che sta per arrivare e sarà devastante.
Seguendo il corso del fiume, la rondine arriva alla meta conclusiva della sua migrazione: l’ultima sezione, Lo Splendore, raccoglie i versi di Brasè e Cenere, o terra. Il fuoco è l’elemento naturale («qui si pone il problema del fuoco.» Brasè, v.1) che domina in questa parte finale della raccolta (la prima poesia porta il titolo Ponte bruciato) e che è mostrato come emblema storico del progresso umano. La scoperta del fuoco, così importante da dover essere segnata sul calendario («albo signare lapillo»), rappresenta una svolta fondamentale nell’evoluzione della specie: è il fuoco delle primordiali caverne («resiste forse ancora in | antichissimi | anfratti o caverne: albo signare lapillo» vv. 10-12) è il fuoco che accompagna le ritmate canzoni dei carbonari («esiliati nei boschi i carbonari | cantavano», vv.6-7).
In Lo Splendore le figure umane sono nuovamente protagoniste: le esplosioni stellari e quasi pirotecniche della seconda sezione e lo scenario naturale della terza sono ormai dimenticati, le ambientazioni fluviali e glaciali hanno lasciato il posto a interni metropolitani, le ere preistoriche e le rivoluzioni industriali sono sostituite da una contemporaneità ipermoderna: dal Big Bang stellare, passando attraverso i secoli segnati dal dominio del fuoco, fino a oggi.

Annarosa sul treno del ritorno è un’istantanea di vita della giovane traduttrice Annarosa, pendolare come molti di noi. Il pendolarismo e il luogo stesso della stazione hanno sempre affascinato Pusterla: si ricordi che Argèman si apre con l’annuncio di un ritardo ferroviario. Annarosa è cullata dal treno della «pazienza» che «va avanti torna indietro | s’inzucca in galleria». Sul treno della «traduttrice a caccia di parole» viaggiano una donna velata e la sua famiglia:

Muta e velata la donna
tiene per mano l’uomo
vengono dalla Siria
scendono a un luogo perso.

La carrozza che sfreccia è il luogo d’incontro per eccellenza: qui si trovano, volenti o nolenti, persone di lingue, culture e religioni diverse, ma che condividono lo stesso vagone e che viaggiano verso una stessa destinazione, forse verso uno stesso destino. Il treno è il “non-luogo” dove ogni confine si annulla, che sia linguistico (Annarosa è, non per casualità, una traduttrice) o culturale, in una fusione, questa volta, pienamente positiva. Si ricordi il vecchio russo di Argèman dagli «occhi chiari | d’acqua persa, distante e cinerina.». Quel vecchio che dice «spasiba» («spasiba, dice piano» v. 14) alla donna di colore seduta accanto a lui («parla con una donna di colore», Sul treno, v. 17). I viaggiatori del treno parlano tutti la stessa lingua, pur provenendo da luoghi geograficamente lontanissimi l’uno dall’altro.

La breve sottosezione di Cenere, o terra era già apparsa in Variazioni sulla cenere (collana A27, Amos edizioni, Mestre, 2017). Il viaggio finisce qui, tra i luoghi caldi della Sardegna (Notteri, Sulcis..), così distanti dalla Germania e dalla Svizzera di Pasolini appeso. Tra questi paesaggi arcaici e astorici, dove il tempo scorre lento, irrompe, ancora una volta, l’attualità. Torna la Siria: «Sarin in Siria | mar de lodo a Mocoa: | cadono gli innocenti | bambini. I loro corpi | giocosi adesso stanno come cenere, | terra, | su di te.» (Brasè, IV)
Asfissiati non dalla cenere, ma dal gas nervino (Sarin, che per assonanza potrebbe far pensare a un toponimo sardo, è invece il nome del gas GB), i bambini di Khan Sheikhoun (il riferimento è probabilmente all’attacco del 4 aprile 2017, in Siria), «scompariranno | nel nulla in pochi giorni».

Il percorso della rondine è giunto a compimento: in questa raccolta ricca di luoghi onirici, fiabeschi, mescolati a reali toponimi e verità storiche, il lettore passa attraverso i quattro elementi, che secondo la tradizione filosofica greca compongono il nostro mondo – dal freddo della prima sezione, al caldo di Brasè. L’Epilogo, che in Argéman era un volo di libellula, mostra l’ultimo cambiamento di prospettiva: nuovamente con i piedi saldi sul terreno, guardiamo attraverso gli occhi del giovane Lucio. Il bambino osserva, con sguardo infantile, la realtà intorno a lui («Lucio che guarda il mondo cosa guarda | con occhi fissi e miti?») e avverte la vita che, ricordando i versi della Città vecchia di Saba, è «cieca e fraterna a tutte le altre vite», e che «porta ogni cosa con sé, anche noi». La tetralogia degli elementi appare agli occhi di Lucio in fugaci lampi d’immagine: così che «il cielo che rinnova | l’acqua d’abisso, il fuoco, l’ala verde | dell’anitra» (vv. 4-6) non sono «altro da lui». Tutto si fonde «nell’unità del tutto», un eterno ritorno di nietzschiana memoria, destinato a ripetersi all’infinito. Guardando a ritroso il percorso compiuto dalla rondine, il lettore realizza che anche il nostro viaggio ha seguito una traiettoria circolare: partendo da una situazione contemporanea, quale il deperimento di «un’Europa fallita» in Pasolini appeso, la rondine ha volato tra i fenomeni ultraterrestri di un primordiale Big Bang, ha poi attraversato i secoli del progresso umano (dalle caverne alle industrie), per approdare nel presente moderno segnato dalla guerra in Siria, dall’immigrazione, dal pendolarismo. E con lei siamo tornati al punto di partenza.


Fabio Pusterla - Cenere o TerraFabio Pusterla, Cenere, o terra, Marcos y Marcos 2018, 224 pp., 20 €.