Almodovar Julieta_afficheLa tua assenza riempie la mia vita e la distrugge: tanto, del nuovo lungometraggio di Almodóvar, sta in questa frase, pronunciata dalla protagonista nella lunga lettera che scrive alla figlia scomparsa.
Presentato all’ultimo Festival di Cannes e uscito nelle sale da circa un mese, Julieta sta già dividendo critici e spettatori: il regista spagnolo torna con questo film alla formula del melodramma, abbandonando l’ironia e l’esuberanza che lo avevano caratterizzato sin dagli anni Ottanta ma, in questo suo allontanarsi da quello che consideriamo più tipicamente suo, aggiunge e non toglie.
La vicenda è quella di una donna di mezza età che, in procinto di trasferirsi in Portogallo con il nuovo compagno Lorenzo, ha un incontro fortuito con Bea, una vecchia amica di sua figlia Antía, la quale ha tagliato ogni rapporto con la madre senza alcuna spiegazione dodici anni prima. Bea le rivela di avere visto Antía in città di recente, notizia che fa prendere a Julieta la decisione di non lasciare più Madrid e di scrivere alla figlia tutti i segreti che non le ha mai confidato, nella speranza di rivederla. Così, attraverso lunghi flashback, conosciamo il suo passato a partire dal primo incontro con il grande amore Xoan.

I nodi fondamentali della vicenda sono ispirati a tre racconti dell’autrice premio Nobel Alice Munro (Fatalità, Fra poco, Silenzio) tratti dalla raccolta In fuga del 2004. Almodóvar ci ha aggiunto molti degli ingredienti di quello che oggi conosciamo come l’almodrama: il regista indaga il legame inscindibile tra madre e figlia (come aveva fatto anche in Tutto su mia madre e in Volver); il dolore che si accumula nella vita e il senso di colpa che spesso lo accompagna; i cortocircuiti tra passato e presente; il topos del ritorno a casa; il ruolo degli incontri improvvisi e degli avvenimenti incontrollabili, condendo il tutto con la colonna sonora dell’amico Alberto Iglesias, già autore delle musiche di quasi ogni suo film dal 1999 con Tutto su mia madre, delicata e toccante perché mai invadente, cui si aggiunge una raffinatezza finale che sembra collocata nel posto giusto al momento giusto.

Almodovar Julieta_lo sconosciuto del treno
Anche dal punto di vista stilistico, Almodóvar non ha rinunciato ai suoi segni di riconoscimento. L’occhio, infatti, ha come sempre la sua parte grazie ai i continui rimandi cromatici del rosso, protagonista assoluto della pellicola, che gioca con bianco e blu anche nei minimi particolari.

Il dramma è ancora una volta tutto al femminile: sono le donne a giocare i ruoli fondamentali di una partita che, dichiaratamente, non prevede alcun vincitore. A farla da padrone è un dolore irrisolto, annunciato da un incipit magistrale: il film si apre sull’inquadratura del drappo rosso della vestaglia di Julieta, come un sipario che si schiude sulla tragedia. Julieta che, poco dopo, si scopre essere intenta nell’imballaggio di una simbolica statuetta galiziana, allo scopo di portarla con sé in Portogallo.

Almodovar Julieta_tutte le donne del film
Accompagnata da personaggi più o meno riusciti (per la prima categoria Marian – Rossy de Palma, superba nell’adattare il suo viso e le sue espressioni a un personaggio austero e senza eccessi e, per la seconda, Ava – Inma Cuesta, eccessivamente stereotipata nel suo ruolo di artista consolatrice), la vita della protagonista è tagliata drasticamente in due, prima e dopo la scomparsa della figlia, come due sono le attrici che la interpretano nella gioventù (Adriana Ugarte) e nella maturità (Emma Suárez), a rappresentare due fasi incomunicabili della sua esistenza che sembrano incontrarsi per un solo istante e passarsi il testimone, in un un’ellissi stilisticamente godibilissima.Almodovar Julieta_julieta giovane e vecchia - colori bianco rosso

Dopo tutto però c’è qualcosa di più, oltre la sofferenza, che caratterizza la vita di questa donna e l’intero film ed è il silenzio, esasperante e insostenibile: tutti gli avvenimenti che la coinvolgono, oltre a essere cadenzati dalla morte che torna a farle visita a più riprese, sono costituiti da una lunga serie di parole non dette. Così, Xoan le fa una confessione dopo molti anni: «Lo sai che non parlo molto…»; così la figlia parte senza alcuna ragione apparente; così lei stessa farà con Lorenzo, che nulla o quasi conosce del suo passato, lasciandolo alla vigilia della partenza senza spendere una parola di più oltre a: «So che non meriti questo ma non posso partire e preferisco restare sola».

Anche le ambientazioni sono fredde, distanti e non comunicano nulla più che l’essere i luoghi fisici dove si svolgono le azioni: Madrid non è più tutta sfavillii, gli interni si sono imborghesiti e la vita che vi si svolge è contenuta (la stessa sempreverde omosessualità viene stavolta soltanto accennata). Non a caso, Julieta vive lunghissimi momenti di solitudine nuovi al cinema del regista ormai sessantaseienne, come lui stesso ha dichiarato a Repubblica.it lo scorso 29 aprile: «Se lo avessi girato a trenta o a quarant’anni lei non sarebbe stata così sulle sue. Giocoforza si sarebbe portata in casa una marea di gente. Come in Donne sull’orlo di una crisi di nervi».

Almodovar Julieta_Julieta grandeÈ come se tutto il film, come Julieta, evitasse accuratamente di esplodere: rimane represso, sotterraneo, composto, anche nel finale che non dà alcuna risposta definitiva. Il percorso a ritroso attraverso il dolore di questo film nasce da un fatto del tutto banale eppure non trova mai soluzione. Per questo (oltre che per l’omaggio alla Munro) il film avrebbe dovuto chiamarsi Silencio, se non fosse che Martin Scorsese aveva già pensato allo stesso titolo. Il nome della protagonista, in ogni caso, riesce a comunicare da solo tutta l’intimità del dramma che si vuole raccontare.

E se un po’ si sente la mancanza dei personaggi che hanno rumorosamente popolato le altre pellicole, questo film dà qualcosa che, tuttavia, non li fa rimpiangere: a tutto il non detto fa da controcanto la volontà immutabile di Julieta di mantenere vivo il legame con la figlia, anche nell’assenza. In questo sta la forza del personaggio, che per tutto il film sembra appeso a un filo fragilissimo e accoglie con poca convinzione qualche tentativo di rinascita senza Antía, ma sa che non c’è nulla che conti più di lei, alla quale anche la voce di Chavela Vargas (già evocata precedentemente tramite una fotografia), al termine del film chiede di restare: «Se te ne vai finisce il mio mondo/ il mondo dove solo tu esisti/ Non te ne andare/ non voglio che tu te ne vada/ Perché se te ne vai/ in quello stesso istante/ muoio io ».
Julieta finisce per somigliare a “l’uomo seduto”, la statuetta in bronzo e argilla imballata a inizio film e descritta così dall’artista galiziana che glielo regalò: «È pesante perché voglio che non venga spostato dal vento. Come la gente di qui, che è molto dura e il vento non la porta via».

Almodovar Julieta_statua bronzo

 

Julieta (Spagna, Italia, Francia 2016), di Pedro Almodóvar, 99 min.; Drammatico; con Emma Suárez, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta, Dario Grandinetti, Michelle Jenner, Rossy de Palma; colonna sonora di Alberto Iglesias e una canzone di Chavela Vargas.