L’ultimo film di Guillermo del ToroCrimson peak – si annuncia dal trailer come un concentrato di promesse. Un regista dal tocco estroso e sensibile, capace di far rendere materiali narrativi anche scarsi, alle prese col “gotico classico”. L’eroina bella e ingenua, il seduttore pallido e divorato da inconfessabili segreti, un maniero in rovina infestato dagli spiriti: punti facili per l’ingegno di Del Toro, che ci ha saputo fare con gli orrori da favola (Il labirinto del fauno), con quelli infernali (Hellboy) e pure con i mecha (Pacific rim). Crimson peak si appoggia inoltre a un cast dignitoso e appropriato: una rodata Wasikowska (Alice in wonderland, Only lovers left alive), l’azzimato Hiddleston (sempre nel vampire movie di Jarmush, per non menzionare la gavetta Marvel) e Jessica Chastain (Tree of life, Interstellar), qui nei panni d’una conturbante nevrotica.
Date le premesse, la delusione colpisce duro: sicuramente più degli espedienti da horror movie da cassetta con cui Del Toro sviluppa il motivo soprannaturale, del tutto posticcio rispetto all’economia narrativa del film. Già il primo fantasma – la madre appena morta che vuole “mettere le mani avanti” – si rivela esteticamente chiassoso, sbilanciato e inutile: la madre non ha motivo di somigliare a un lich, e complessivamente si dà un certo squilibrio tra mezzi, scopi e risultati (i fasti di Zuul sono lontani…). L’arrivo a Crimson Peak di Edith, neomoglie, ereditiera ed ex-aspirante scrittrice, peggiora definitivamente le cose: il “sesto senso” di Edith serve soltanto a esibire la stucchevole CGI degli spettri e della loro anatomia slabbrata dalla morte violenta. Va bene che l’eroina gotica dev’essere candida e ingenua fino allo stremo, ma in confronto a Edith Goerge Lonegan di Hereafter (Matt Damon…) è uno vero sciamano. Anche il maniero – situato sopra le cave di argilla rossa che d’inverno insanguina la neve – finisce per mancare a tutti gli appuntamenti, sprecando in un rococò da brivido il suo potenziale visivo. Ma il problema più grave del film è il soggetto, che nella seconda parte riesce a doppiare in negativo le già basse aspettative. Con buona pace di Hiddleston, l’ossessione per la scavatrice (il riscatto economico del passato aristocratico??) di Thomas Sharp è mal gestita e sconclusionata e non aggiunge nulla alla “complessità” del personaggio. Per il resto, i cliché abbondano: il seduttore redento in extremis, la sorella resa cieca dall’amour fou et interdix, i segnali dal passato che funzionano come molliche di Pollicino, il vecchio spasimante che arriva da oltreoceano giusto in tempo per l’acmé…
La trama ripete pedissequamente il “manuale”, e non compensa la poca originalità con l’artigianato. Se le idee mancano, i dettagli sono forse ancora più carenti, dai veleni alla Notorius fino all’imbarazzo logistico del combattimento finale. Sembra allora che la chiave centrale del film risieda in una specie di violenta infatuazione per i colori supersaturi: dal rosso pastello “digitale” alle tonalità suntuose e malinconiche del turchese o del viola. Anche il contrasto viene massicciamente esibito, con Edith biancovestita che si aggira di notte con la chioma di ordinanza. Ma purtroppo per Crimson peak e per le sue scelte di budget, c’è più potenza visivo-narrativa nelle poche sequenze oniriche “supersature” di Shutter Island. Del Toro si conferma cineasta incostante, incline a sprecare l’enorme talento visionario in scelte narrative discutibili e allestimenti scenici incerti. Forse la sua penultima fatica, quel Pacific Rim che ha diviso pubblico e critica, ha minato più di una certezza del regista messicano, portandolo a confezionare un horror da luna park, privo di spunti realmente interessanti.