Ho letto l’ultimo libro di Umberto Eco, Numero Zero, e poi ho lasciato sedimentare per capire se, come hanno scritto e pensato in molti, si tratta della prima grande delusione editoriale del nuovo anno o se dovremo soltanto, dopo l’ampio respiro storico dottrinale e le potenti trame dei suoi capolavori, agitarne il contenuto per comprenderlo appieno. Dovremo allora cercare la soluzione fra le poche pagine (per gli standard di Eco…) di un libro che racconta la genesi di un’improbabile redazione giornalistica e la “nuova” Milano del 1992 come in un feuilleton ottocentesco.

Un po’ di sintesi e potremo spiegarci meglio: nei giorni dell’arresto di Mario Chiesa che vara Tangentopoli e prima dello stragismo di mafia, il commendator Vimercate, un costruttore proprietario di alberghi, emittenti locali di televendite e riviste di rotocalco (ogni riferimento è puramente casuale…), vuole varare un progetto editoriale di approfondimento delle notizie e supplementi d’indagine, un quotidiano che insomma somigli più a un settimanale. Si chiamerà Domani e non sarà mai pubblicato dopo dodici numeri zero di prova, fittizi e redatti da sei giornalisti ignari e scovati chissà dove dal direttor Simei, «la faccia di un altro» o di tutti, l’uomo di Vimercate. I redattori sono Maia Fresia, articolista di gossip e segugio delle «affettuose amicizie»; Cambria, il portatore d’acqua fra commissariati e astanterie d’ospedali; Lucidi, che «aspirava sfiducia al primo sguardo e aveva collaborato a pubblicazioni che nessuno aveva mai sentito nominare» (l’esperto dei dossier e forse immischiato coi servizi segreti); Palatino l’enigmistico e il proto Costanza per chiudere con i font editoriali.

Poi c’è Romano Braggadocio, con un cognome da trovatello che pare «in inglese abbia un brutto significato» – ovvero vaniloquio, millanteria – per il gusto calembour dell’ufficio anagrafe. Specializzato in rivelazioni scandalose, Braggadocio è un mitomane, complottista e dietrologo paranoide alle prese con lo scoop della vita, posto che Mussolini (quello vero, non il sosia sfigurato a Loreto) sia stato salvato in Argentina dalle forze alleate contro il pericolo sovietico, coinvolto in tutti gli eventi del periodo più terribile del nostro paese, convocato di ritorno in Italia e morto durante il viaggio, per il trionfo sfiorato del Golpe Borghese. Ecco cosa diventa Numero Zero: la dietrologia in apnea di cinquant’anni di storia d’Italia, da Gladio alla Propaganda Due, dai misteri vaticani alle incursioni terroristiche fra le linee di sinistra. Le elucubrazioni di Braggadocio animano, seguendo «la logica di un pazzo esibizionista, ma di un pazzo che ha informazioni attendibili», le pagine più intense e prolisse del Numero Zero di Eco, che però non hanno l’appetito né l’alta struttura della sua solita letteratura coltissima. Sono le trame ambientate, anzi avvolte tra via Bagnera («la strada più stretta di Milano», quella di Antonio Boggia, il primo serial-killer dell’Italia unita) e la chiesa di San Bernardino alle Ossa, con i suoi mosaici di teschi per una perfetta deriva noir di fine racconto.

In termini di complottismo o di romanzo gotico, Numero Zero riplasma in echi sparsi tutta la materia de Il pendolo di Foucault e Il cimitero di Praga, così come l’umorismo dotto e lo scrupolo semiotico della maestria professorale: esemplare la corrispondenza, per l’angolo posta di Domani, fra Aleteo Verità e il signor Smentuccia in riferimento all’articolo “Alle Idi io non vidi”. Perché però queste forme sono qui meno stratificate, sommarie e se vogliamo “trascurate”? Perché adesso Eco si misura per la prima volta (in narrativa) coi tempi moderni che non gli piacciono, e pertanto vuole smitizzare la sua cifra letteraria nella per lui “banalità” degli anni Novanta. Perché Numero Zero è un libro brutto solo se si accetta che sia stato scritto espressamente “male”. E chi pensa che l’autore abbia copincollato per indolenza un intero paragrafo di Wikipedia alla voce Licio Gelli, maestro venerabile della loggia massonica segreta P2, dovrà certo preoccuparsi di essere stato affetto da sindrome di “haters da social network”.

81vQk+iOF8L._SL1500_Eco, alla maniera di Calvino e di un raffinato gusto alla OuLiPo, scherza col lettore e sceglie un perfetto capro espiatorio, il giornalista e la sua vil razza, per esibire con enfasi misurata tutta la decadenza della modernità. Numero Zero è allora anche un pamphlet di denuncia della cultura italiana, quella del carrierismo, dei buoni salotti e di una Milano da camarilla: un libro di querela della macchina del fango, del culto del sospetto, della notizia a sensazione, dei fatti non accertati e delle fonti non citate, dei coccodrilli e dei rimpasti, degli squali e degli imbrattacarte quando ancora, per l’appunto, non c’era il web o si pensava che il cellulare potesse consumarsi in una moda passeggera. Assenza di confronto critico, appiattimento sul presente, mancanza di adeguati filtri all’eccesso informativo: di questo, del resto, già parlava Umberto Eco nel 1964 (Apocalittici e integrati) e intervistato da Doppiozero sui disordini del web e dell’attuale condizione culturale.

A proposito, il protagonista di Numero Zero, il nostro campione perdente (o collezionista di sconfitte) si chiama Colonna, fa facchinaggio culturale traducendo dal tedesco e compilando da nègre per un giallista di serie, ha cinquant’anni e dovrà sovrintendere i lavori redazionali. Così, se Domani non vedrà mai la luce, scriverà Domani: ieri, prestandosi da ghost writer al bestseller di Simei. Proprio lui, il primo attore di Numero Zero, non l’avevamo ancora citato per la sua “inutilità”, o perché in fondo sarà Colonna ad assuefarsi alla corruzione autorizzata en plein air, al mafioso in parlamento, all’evasore al governo, a una «calma sfiducia nel mondo che ci circonda».

Se il libro sorprende (nel bene e nel male) quando riecheggia certe squisitezze critiche o digressioni professorali di Diario minimo o Costruire il nemico, ricicla poi qualche Bustina di minerva di troppo per infiammare la brace: Numero Zero non sarà certo l’opera eccellente, ma forse quanto basta per lasciare il segno del semiologo. You’ll see your problems multiplied, If you continually decide, To faithfully pursue, The policy of truth. Umberto Eco ce lo spiega a suo modo, ma con la penna a sfera invece del calamaio, in quest’inedito “libro brutto” di materia Stay-behind.