Il sipario di Guerre, primo romanzo ricavato in fretta e furia dalla massa di scartafacci céliniani tornati alla luce nel 2021, si alza sulla gloriosa figura di Ferdinand riversa nel fango, sotto la pioggia battente. A prendere faticosamente la parola è, qui come in tutta l’opera di Louis-Ferdinand Céline, lo stesso personaggio-avatar, ancora una volta scampato alla carneficina della Storia:

«J’ai bien dû rester là encore une partie de la nuit suivante. Toute l’oreille à gauche était collée par terre avec du sang, la bouche aussi. Entre les deux y avait un bruit immense».

Con la testa sconvolta dalla «poltiglia sonora» e il braccio destro che gli manda delle fitte infernali, fin «nel crudo della carne», ecco che il reduce per eccellenza della letteratura novecentesca, l’antieroe del Voyage au bout de la nuit, comincia a trascinarsi in un paesaggio devastato, fra cadaveri straziati e carcasse di veicoli ancora fumanti, mentre in lontananza un campanile appare e scompare nel delirio della febbre.

Siamo nelle Fiandre, nei dintorni di Ypres sul finire del 1914, e il giovane corazziere, riavutosi in qualche modo, capisce di essere l’unico sopravvissuto al micidiale bombardamento del suo convoglio da parte delle truppe tedesche: «Il avait plus l’air de rester que moi en fin de compte dans cette saloperie d’aventure». A suon di allucinazioni, attacchi di vomito e svenimenti, il disgraziatissimo finirà ricoverato presso il “Virginal Secours” della sedicente Peurdu-sur-la-Lys, nelle retrovie del fronte, affidato alle premure della passionale signorina L’Espinasse e del dottor Méconille, impaziente di estrarre la pallottola (!) conficcata nell’orecchio del degente. Vicino di letto è un certo Bébert/Cascade, un drittone che di mestiere fa il protettore a Parigi e che, dall’alto dei suoi diciannove anni e mezzo, dispensa all’amico ruvidi ma ineccepibili consigli di vita. Su tutto aleggia il tragicomico presentimento di un destino funesto, la paura di essere accusati di diserzione o tradimento e di finire al muro.

Vergato di getto fra il Voyage (1932) e Mort à crédit (1936), evidentemente non rivisto per la pubblicazione, Guerre rappresenta non tanto il seguito dell’esordio céliniano, quanto piuttosto (a meno che non si accetti l’ipotesi dell’abbozzo scartato) il ritorno su di una vicenda in esso soltanto allusa: le circostanze, insomma, del grave ferimento di cui fu vittima il corazziere Ferdinand sul fronte occidentale, storicamente avvenuto nell’ottobre 1914 a Poelkapelle – e sul quale le prime sequenze del Voyage di fatto glissano, accampando la difficoltà di raccontare una simile esperienza.

A novant’anni dalla loro stesura, in altre parole, le prime pagine del manoscritto pubblicato sotto il titolo di Guerre mettono finalmente in scena il culmine di quel «trauma originario» che è stata la Grande Guerra nell’opera-vita di Céline, e insieme rappresentano l’atto di fondazione della sua automitografia di “scemo di guerra”, coltivata con genio istrionico per una vita intera: «J’ai attrapé la guerre dans ma tête», si legge nelle prime righe del testo. Ed è già una dichiarazione di poetica, il nocciolo dolo(deli)rante della straordinaria opera céliniana: perché in Guerre, a essere raccontato, non è tanto il vivo dell’esperienza bellica (da qui le critiche sull’arbitrarietà del titolo, usato dall’autore in un paio di lettere del ’34 per riferirsi verosimilmente al progetto di Casse-pipe), quanto le sue conseguenze catastrofiche nel corpo e nella mente, emblematizzate dal frastuono d’uragano che, come un Leitmotiv rumoristico, travaglia senza tregua la testa di Ferdinand, entrando in risonanza con il rimbombo delle cannonate che turbano la pace sospesa di Peurdu-sur-la-Lys.

A un certo punto, già rassegnato ai terribili presagi che gli affollano la testa, Ferdinand verrà improbabilmente decorato di una médaille militaire per il coraggio dimostrato durante l’attacco al suo reggimento (la stessa medaglia, in quella finzione al quadrato che è la sua biografia, tornerà utile a Céline molto più tardi, nel 1951, quando sarà processato per i suoi trascorsi collaborazionisti quindi amnistiato in quanto eroe di guerra). L’istinto di sopravvivenza, l’egoismo più disperato permetteranno al Nostro di tornare alla vita e di imbarcarsi con la prostituta Angèle, vedova e traditrice di Cascade, alla volta dell’Inghilterra (come narrato nei manoscritti ora recuperati sotto il titolo di Londres, appartenenti alla rocambolesca storia redazionale di Guignol’s band).

Nell’intreccio di pulsione mortifera e brutale vitalismo che innerva il racconto di Guerre, dalle descrizioni più ripugnanti alle esilaranti scene porno in compagnia di Angèle; nel tono sempre ammiccante, sarcastico, incazzoso, a tratti aforistico della narrazione trasuda già tutto l’umor nero della grande arte céliniana: contro ogni ottimismo consolatorio, contro la trappola dei buoni sentimenti, Céline sa che i più nobili ideali civili sono sempre pronti a cedere ai più bassi istinti della carne. Soccombere o sopravvivere, à la guerre comme à la guerre, strappando all’orrore barlumi di delirio in musica.


Lous-Ferdinand Céline, Guerre, Gallimard, Parigi 2022, 185pp. 19,00€