L’epopea dell’uomo-brand Cristiano Ronaldo si autoalimenta in tempo reale. Limitandosi alle sole festività natalizie, sono bastate due epifanie – la comparsata ai Globe Soccer Awards e l’intervista rilasciata per DAZN, con i bookmakers pronti a quotare la liaison tra l’onnipresente Leotta e il marito di Georgina – a generare attorno all’atleta di Madeira un rinnovato alone di immortalità i cui punti cardine – indice di una modalità comunicativa tipicamente “ronaldiana”, celebrativa e al contempo divinatoria – possono essere riassunti come segue:

  1. dopo il ritiro CR7 si dedicherà a studiare l’inglese, nell’ottica di girare un film a Hollywood (si noti che non si è menzionata, tra le abilità da perfezionare, la recitazione);
  2. l’augurio di Ronaldo per il 2020 è che possa «essere un anno eccellente, come lo sono stati questi ultimi»;
  3. rispetto al recente gol alla Sampdoria, incensato non tanto per lo stacco quanto per il tempo trascorso in volo (ma per accantonare il paragone con Jordan si è mosso, in prima persona, nientemeno che Ettore Messina), l’atleta ci ha tenuto a precisare di essere in grado di saltare anche più in alto.

Senza entrare nel merito dei contenuti, ciò che colpisce è la loro formulazione: si sceglie costantemente di tirare in ballo i limiti, scomodare i record, garantire il plus ultra.

Guida necessaria alla decodifica di queste ed altre esternazioni è, da oggi, il volume Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale (66thand2nd), con cui Fabrizio Gabrielli – autore la cui Weltanschauung è afferrabilissima, in controtendenza rispetto a quella del pesce rosso cui era intitolato il suo fortunato blog giovanile – fa dono al lettore di strumenti semiotici definitivi sulla questione-CR7. Attraverso un flow che da tempo gli è valso – grazie al gioiello Sforbiciate – l’inclusione tra gli imprescindibili della narrativa sportiva (e non solo), Gabrielli ha dato vita a una bio-agiografia ragionata che mette alla prova il nostro (e il suo) bigottismo preconfigurato: è un invito ad abbandonare, per una volta, la barricata degli apocalittici; è un tentativo di superare il preconcetto del supereroe antipatico a priori; è la testimonianza di un culto resa non da un adepto, ma da un antropologo che ne ha visitato i luoghi. Ma non è tutto: nel collocare un emblema della contemporaneità su un piano non troppo distante da certa letteratura postmoderna, Gabrielli ci ricorda che dagli anni dei Cerotti Medicati “Tucson” non siamo poi tanto lontani.

Se – tanto per restare in àmbito agiografico – l’Ascensione di Roberto Baggio di Santoni e Salimbeni contava su un personaggio già martirizzato come emblema della sconfitta e simpatico alle madri, cimentarsi con CR7 è tutt’altra cosa. La scelta di un soggetto non “romantico” e mainstream, operata per giunta a cavallo di una congiuntura favorevole (tale è il passaggio in Italia del più seguito al mondo), poteva rivelarsi un rischio, ma trova piena legittimazione nelle strategie narrative messe in atto dall’autore. Il racconto, giocato su piani diversi, è scandito per luoghi, età e momenti topici: dalla condizione atipica dell’isolano di Madeira si arriva, passando per figure più o meno paterne e partite cruciali, alla falena di Euro 2016 (la “cristallizzazione” della generazione di Quaresma e Moutinho a spese delle “tre G”, Griezmann, Giroud e quel folle di Gignac, altro ’85) e al gol in rovesciata alla Juventus (un «Gronchi rosa»). Alla terza persona, che è prevalente, Gabrielli alterna apostrofi a Cristiano e alcuni inserti autobiografici, confermandosi peraltro efficace sperimentatore in termini di plurilinguismo. Al preciso uso delle fonti – via via indicate in nota – si abbina una moltitudine di riferimenti letterari: dagli espliciti rimandi a Brera, Wallace, Fenoglio e Soriano (ma sono solo alcuni), si passa con disinvoltura a immagini omeriche e metafore bibliche. Per questi elementi, che sono ormai marchi di fabbrica, il salto da Michele Zanutta a CR7 può considerarsi perfettamente riuscito.

Piaccia o no, sostiene Gabrielli, Ronaldo ha caratterizzato un’epoca ed è – come nessuno – inesauribile fonte di paragoni e dualismi creati ad arte. Posta la quasi compiuta damnatio memoriae ai danni di Ronaldo “il Fenomeno”, una fetta consistente di appassionati tende a mutuare acriticamente il parallelismo tra CR7 e il quasi coetaneo LeBron James, leggende viventi accomunate dalla (ora molto in voga) “ossessione per la vittoria”, che si concretizza in maniacalità nella preparazione fisica. Altrettanto ovvio, eterno e inevitabile è l’accostamento al collega argentino in forza al Barcellona, cui Cristiano è associato – se non per la ritrita immagine della competizione che giova ad entrambi – per la devozione al lavoro. Secondari, ma sempre dietro l’angolo, i raffronti con altre leggende portoghesi (da Eusébio a Luís Figo) e celebri numeri 7 dello United (Best, Cantona e Beckham): in questa densa selva di richiami, Gabrielli è abile a ritrovare, di volta in volta, il solco tracciato da Cristiano. Ma CR7 compete ormai soprattutto con se stesso: sta lavorando, tra primati e statue da ritoccare, alla propria iconografia post-mortem. Non teme l’invecchiamento, ma la fine. Qui, su un punto dolente e unificante, Gabrielli riporta Ronaldo sulla terra e con delicatezza lo ricolloca su un livello più umano e familiare. Eppure, ciò non basta a renderne la figura meno controversa: benché l’etica di Ronaldo consista nell’andare «oltre l’etica», non passano inosservati – perché per nulla “iconici” – il gestaccio all’Atlético, il bullismo su Florenzi o la ridicolizzazione dell’Islanda. Né si può sorvolare sull’evasione fiscale e soprattutto sulle accuse di stupro, che oscurano le numerose conquiste («in Lamagna duecento e trentuna») e le statistiche sui portieri battuti: a quest’ultimo aspetto, che Gabrielli tiene in serbo per i capitoli finali, sono dedicate pagine sì documentaristiche, ma decisamente anti-apologetiche. Si caratterizza con ironia la messa in moto del carrozzone-CR7, a cui non sono estranei i casi del fido scudiero Bernardeschi (roba da Gunnar Bjöstrand) o dell’antagonista improbabile, Sorrentino.

Il libro si chiude con un epilogo intitolato La passione: si tratta, nei fatti, del resoconto della finale dell’Europeo, evento spartiacque che ha dato avvio a una nuova fase della carriera di Cristiano. Dopo l’ascensione – divenuta ufficiale già alla conquista della Décima (2014) – e con il venir meno di alcune prerogative messianiche «“ha scoperto che il suo corpo è capace di tradirlo»), il giocatore si è riadattato a «nuova versione di una vecchia divinità di culto». Ma prima di passare alla sua terza vita calcistica, CR7 è riuscito a radicarsi con ancora maggior forza nell’immaginario collettivo. Forse proprio grazie alla sua dimensione umana, implicita ammissione di finitezza, Cristiano si è potuto fregiare di un’aristìa del tutto anomala, contribuendo a vincere il torneo da bordocampo. Per il resto, ora più che mai, è condannato al mantenimento del suo six pack, è diete e fatica, è sovraesposizione e doveri da role model. In definitiva, è un uomo forse più triste di quanto la sua fama non induca a pensare, benché rappresenti un futuro che è già qui. Attraverso una lettura del genere, la parabola di un semidio che si normalizza, ma non per questo finirà per starci simpatico, anche i più contrari all’assurzione di CR7 a modello estetico e morale avranno di che meditare. Certo è che tutti, nella Società dello Spettacolo, saremo spettatori (involontari) del continuo della saga.


 

cr7Fabrizio Gabrielli, Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale, 66thand2nd, Roma 2019, 240pp. 17,00€