In attesa della cerimonia di premiazione della XXXVIII edizione del Premio Narrativa Bergamo, che si terrà sabato 30 aprile alle ore 18 in Sala Piatti di Città Alta (qui tutte le istruzioni per partecipare), proponiamo delle brevi interviste con i cinque autori finalisti. Dopo Francesco BianconiElisa RuotoloAndrea Inglese e Maurizio Torchio, chiudiamo oggi con Davide Orecchio, in cinquina con Storia aperta (Bompiani 2021).

Nella Nota conclusiva di Storia aperta, dove spieghi ai lettori l’origine autobiografica di questo libro, scrivi: «Mi interessava dare consistenza a un personaggio tipico di quella stagione». Pietro Migliorisi è un personaggio “tipico” per l’esperienza biografica e per il modo in cui l’hai composto, al tempo stesso però ci appare come un personaggio unico, eccezionale per il modo in cui ha attraversato – ideologicamente e anche sentimentalmente – il secolo: dove hai cercato il punto di equilibrio tra questi due poli?

La tipicità di Pietro ha una natura storiografica e saggistica, deriva dalle fonti consultate, dalla memorialistica, dalla scelta di alcuni percorsi biografici che, assieme a quello di mio padre, compongono l’ispirazione non finzionale di Migliorisi. La sua unicità, però, è di natura strettamente letteraria, nasce dall’invenzione o dalla composizione stilistica del carattere, della voce, delle vicissitudini. Dunque è un personaggio a suo modo esemplare se lo guardiamo dal punto di vista storico, e invece “non riproducibile” se lo guardiamo dal punto di vista letterario. Alcuni tratti storici del suo carattere fanno di Pietro una figura tipica: i libri letti, i film visti, le guerre combattute, la concezione morale della politica… Altri aspetti intimi lo rendono unico, e sono quelli per i quali ricorro all’invenzione o alla memoria: episodi biografici, idiosincrasie e passioni, relazioni con le donne, solitudine, rapporto filiale con il partito. Non so se vi sia un equilibrio oggettivo, e in fondo singolarità e tipicità non sono geometricamente distinte, l’una condiziona l’altra. Diciamo che a me interessa di più l’aspetto letterario, cioè è su quello che lavoro, e quindi l’unicità prevale.

Come sempre nei tuoi libri, anche in Storia aperta l’archivio ha una rilevanza evidente, che si riconosce qui anche nel modo in cui fonti come l’Enciclopedia del fascismo, il Libro del regno o i Sillabari rossi diventano “figure” del racconto. Quale è stata l’intenzione che ha dettato questa tua scelta narrativa?

Nelle ricerche preparatorie alla prima parte del libro, quella sul fascismo, mi sono imbattuto in molta letteratura primaria e secondaria dalla quale emergevano tesi diverse, se non antitetiche, ad esempio riguardo la natura afascista o antifascista o criptocomunista o superfascista della cosiddetta generazione del lungo viaggio. Quando mi sono messo a scrivere, ho dovuto rendere conto di queste fonti. Ma dovevo farlo in un romanzo. Occorreva tenere a bada la temperatura saggistica e aumentare, invece, quella narrativa. Una delle soluzioni che ho adottato sono appunto i personaggi-libro: parlano a voce alta, agiscono, si azzuffano, rimproverano e rincorrono anche il narratore. Si tratta di una drammatizzazione delle fonti, insomma.

Le Vite anelastiche di Felice Chilanti, Michela Tropeani e il Comunista rappresentano tre intermezzi nel lungo racconto della vicenda di Migliorisi, dal quale si distinguono anche per una diversa soluzione stilistica: come mai hai voluto separare così nettamente questi capitoli? Potremmo intenderli come tre nuove “città distrutte”?

Secondo me, per lo stile, le “città distrutte” di Storia aperta sono i tre capitoli biografici controfattuali Pietro il nero, Pietro il dolce e Pietro il rosso. Ma certo – se mettiamo da parte la loro natura stilistica sincopata, diciamo “poematica” – anche le tre Vite anelastiche fanno parte del gruppo. Quindi il libro ha sei capitoli biografici su 24: non riesco a separarmi dalla scrittura di vite. La scelta di scrivere quei capitoli anelastici nasce dal prototipo di Chilanti, che avevo già pubblicato su Nazione Indiana anni fa. Ho proseguito su quel percorso per dare risalto in capitoli autonomi ai tre personaggi principali che accompagnano la storia del protagonista.  

Infine, una domanda più leggera che da sempre rivolgiamo ai finalisti del Premio Bergamo: quale tratto del tuo libro pensi possa farlo vincere?

Propongo un tratto non del libro ma del suo autore, che è alla terza partecipazione al Premio Bergamo, e finora è sempre arrivato ultimo. Ma questi ultimi, ci si chiedeva un tempo, saranno mai primi?