Il piano sequenza è una tecnica di ripresa cinematografica che consiste in una sola inquadratura insistita, senza tagli e interventi di montaggio. La sua realizzazione richiede grande abilità, ma soprattutto un’eccellente capacità di orchestrazione da parte del regista. Diversi autori si sono cimentati nell’impresa di girare in piano sequenza, tra i casi più famosi Hitchcock in Nodo alla gola (Rope) e, tra i più recenti, Sokurov nella sua Arca russa. Ora è il turno di Alehandro Gonzalez Inarritu, che nel suo Birdman, allestisce una giostra in costante movimento, un’unica rutilante corsa tra i corridoi di un teatro di Broadway, dove va in scena l’eterna lotta tra arte e spettacolo, dall’esito tutt’altro che scontato.

Il regista messicano firma un’opera ironica, frenetica e grottesca, dopo averci abituato a ben altri registri, a partire da Amores perros fino a Biutiful, interpretato da un intenso Javier Bardem. Il cinema di Inarritu, infatti, ha sempre portato in scena il disordine del mondo e la sua inestricabile quanto imprevedibile rete di legami e connessioni; le sue pellicole sono mosaici di esistenze fragili alla ricerca di una collocazione in un piano più grande. Solo Biutiful esce dalla consueta struttura corale, seguendo le vicende di un solo uomo che conduce una vita lungo l’invisibile confine tra vivi e morti, in una sorta di realismo magico tanto caro a molta letteratura sudamericana. Birdman si presenta quasi come una sintesi del cinema di Inarritu, in quanto opera costituita da più voci, ma allo stesso tempo ricca di quegli elementi sovrannaturali di cui si arricchiva il precedente lavoro. Al posto di inquieti fantasmi di operai cinesi sfruttati e falene nere sul soffitto, troviamo la voce cavernosa di un supereroe dalle fattezze di un pennuto, che ricorda ossessivamente al protagonista le sue origini gloriose di strafottente e onnipotente star di Hollywood, di cui ora non rimane che un patetico simulacro alla ricerca di uno seconda chance come artista di teatro.

Birdman è la storia di Riggan Thomson, attore sul viale del tramonto, che deve la sua enorme fama a una serie fortunata di episodi su un supereroe dalle fattezze di uccello nei primi anni novanta.
Intenzionato a scrollarsi di dosso questa maschera, Riggan scommette tutto su un ambizioso quanto ingenuo lavoro teatrale, in cui riversa fino all’ultimo centesimo: una trasposizione dell’opera di Carver Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore, di cui è produttore, regista e attore protagonista. Nel suo delirio di onnipotenza trascina chiunque, dalla figlia appena uscita da un centro di disintossicazione che diventa la sua tuttofare, al suo migliore amico a cui affida il molteplice ruolo di avvocato, manager e problem solver. Come in una sorta di Opening night di Cassavetes che viaggia a mille allora, assistiamo al tragicomico susseguirsi di prove sul palco sempre più assurde, anteprime al cardiopalma in cui ogni battuta può decretare la fine dello spettacolo.

Dicevamo piano sequenza: una tecnica che punta a negare l’essenza stessa del cinema, ovvero il montaggio, per veicolare un messaggio ben definito, figura retorica di un linguaggio, quello del cinema, che non può essere neutra, ma intende rimettere al centro la supremazia quasi dittatoriale dell’autore, che sorvola e guida lo sguardo dello spettatore, tenendo insieme ogni cosa. Si potrebbe dire che il piano sequenza sia quel modo di girare un film che più avvicina il regista a un dio in grado di dare unità ai singoli elementi, racchiudendoli in un unico respiro.
Quasi come in un Orlando furioso di ronconiana memoria, seguiamo a rotta di collo le vicende di questi disperati attori che bruciano di desiderio di successo, ma si trovano ad affrontare un ostacolo più difficile di qualsiasi ruolo da interpretare: la paura di loro stessi. Michael Keaton e Edward Norton, nei rispettivi ruoli di Riggan Thomson e Mike Shiner, sono i campioni di due americhe contrapposte, di due speculari Newyork, la prima ignorante e trionfante figlia dei ruggenti anni reaganiani, la seconda decadente e nevrotica del teatro impegnato, post 11 settembre, lontana dal pubblico, chiusa in un discorso autoreferenziale, che vive solo sul palcoscenico e aborre l’agghiacciante crescita di una popolarità purulenta a discapito del vero prestigio. Riggan è a tratti un personaggio dostoevskiano, un uomo mediocre, con poco talento, che sgomita e sbraita per entrare in una cerchia, quella dell’arte, a cui non potrà appartenere per questioni, si potrebbe dire, di sangue. Se Riggan vuole superare la prova, dovrà compiere sacrifici, bruciare ogni cosa, perché chi non conosce la parola segreta per entrare nella società degli eletti, deve portare in dote la propria carne. Per vincere la sfida, l’ex Birdman dovrà così smettere di recitare sul palco e offrire al pubblico, il suo nudo dramma di uomo.

Inarritu propone dunque una nuova riflessione sul sogno americano, interpretandolo in chiave tragicomica: Riggan è prigioniero del fantasma del suo stesso successo, che lo esclude automaticamente dal mondo della vera arte.

Con questa pellicola, il regista messicano denuncia la deriva di un cinema americano gonfiato, la cui sopravvivenza dipende ormai da tartarughe mutanti e uomini in calzamaglia in grado di rimpinguare le casse di un’annata, quella del 2014, tra le più magre degli ultimi anni; eppure lo fa senza salire in cattedra, evitando facili moraleggiamenti: i supereroi non sono il male, lo è la nostra crescente disattenzione, la nostra atrofizzata capacità di distinguere un lavoro di valore dal semplice intrattenimento, persi in canali di comunicazione sempre più concentrati ad accumulare masse di utenti che “condividono” piuttosto che sviluppare vera critica.

Film potente e ambizioso, in cui un cast di attori formidabili (tra cui non vanno dimenticate Naomi Watts e Emma Stone) sfoggia un impressionante bagaglio tecnico, spesso celato da cattivi copioni, ricordando al pubblico che per essere sedotti dal cinema non servono esplosioni.

Birdman (USA 2014 Commedia 119′) di Alejandro González Iñárritu con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts