In attesa della cerimonia di premiazione della XLedizione del Premio Narrativa Bergamo, che si terrà sabato 27 aprile alle ore 18 al Teatro alle Grazie di Viale Papa Giovanni XXIII, proponiamo delle brevi interviste con i cinque autori finalisti. Chiudiamo oggi con Benedetta Fallucchi, in cinquina con L’oro è giallo (Hacc


Innanzitutto, una domanda preliminare: come è nata l’idea di questo romanzo?

L’oro è giallo è nato dal convergere di alcune riflessioni e letture, nonché dal semplice vissuto di corpo femminile. L’ultimo elemento è il più evidente: fin da ragazzina, come molte donne, mi sono confrontata con la differenza di genere insita nella diversa modalità di soddisfare i propri bisogni fisiologici tra maschi e femmine; nel tempo sono andata interrogandomi sempre più sul portato culturale di un atto generalmente ritenuto “naturale”, spontaneo.
Inoltre – senza voler entrare nel ginepraio del dibattito su patto narrativo, autobiografia, autofiction o «autobiographie honteuse» – l’esperienza di lettrice mi ha offerto negli ultimi anni la possibilità di ragionare sul racconto di traumi, malattie e disagi, in molti casi considerati tabù e sempre aggrappati alla prima persona singolare, a quell’io che, come diceva Gadda, è “il più lurido di tutti i pronomi”. A fronte di molti romanzi in cui la voce narrante descriveva patimenti legati a depressioni, disordini alimentari o malattie croniche, c’era, c’è, il cosiddetto mondo reale. Anche i media e i social media rigurgitano dichiarazioni di personaggi noti e meno noti, influencer e gente qualunque, sui loro privati malanni, dai più comuni ai più inusuali, quasi a contendersi la patologia più esotica e ignota (come la vulvodinia, tanto per citarne una che è apparsa per un periodo nel dibattito pubblico).
C’è stata poi una lettura cruciale per l’idea del romanzo, ovvero Il male oscuro di Giuseppe Berto. Le pagine in cui il narratore –  la voce del pazzo, come la chiama Emanuele Trevi –  descrive una lunga notte di terrore causata dall’ematuria, e riflette a più riprese sulla propria orina collegandola alla vicenda del padre morto, fino a recarsi al mattino dopo in clinica per procedere con gli accertamenti; e in generale tutto il ragionare spezzato, a singulti, sulla malattia come dato medico ma anche come castigo, mi avevano molto colpito; mi avevano fatto intravedere il potenziale narrativo di un racconto “crudo” incentrato sulla banalità del corpo.

In L’oro è giallo a più riprese vengono tracciati, sia nella linea narrativa che in quella più saggistica del libro, paralleli tra i modi, gli atti, le circostanze della minzione e il diverso modo con cui la società getta il suo sguardo sul corpo femminile rispetto a quello maschile. In che modo il corpo e la vescica della protagonista possono essere considerati una rappresentazione del corpo femminile contemporaneo? Quanto c’è di politico in questa rappresentazione?

L’oro è giallo è prima di tutto una storia, ovvero il racconto di un caso individuale; dunque i continui rimandi tra la vescica, il corpo femminile e il modo in cui esso è culturalmente connotato trovano una prima, fondante, ragion d’essere nella costruzione della voce narrante; in seconda battuta, c’è, certo, anche la volontà di tracciare un percorso che conduca il lettore a vedere, attraverso il ricorso alle opere d’arte, come per secoli il corpo delle donne sia stato negletto, disprezzato, o guardato eminentemente in chiave erotica; e come solo quando il ruolo sociale femminile si è imposto attraverso i processi di emancipazione è stata la donna stessa a rimettere il proprio corpo al centro sia della rappresentazione che del dibattito. Il romanzo dunque si innesta in questo campo di rivalutazione di umori, secrezioni e peculiarità del corpo femminile – quel “corpo succulento”, come lo chiama la storica Barbara Duden – di cui le donne sono state lungamente spossessate.

Questo è un libro ibrido e scisso tra una parte dedicata all’analisi di opere artistiche e una narrativa che però si compenetrano e si completano a vicenda – come è scissa e poi ricomposta la protagonista – vicino a quali altri titoli potrebbe o vorrebbe stare vicino nello scaffale di una libreria? Chi potrebbero essere i suoi compagni di elezione?

Poiché le fonti e i riferimenti sono molteplici, credo che L’oro è giallo possa affratellarsi con diverse tipologie di libri, sia narrativi che saggistici.
Nel caso della narrativa, il corpo è talmente un tema centrale e ricorrente che è impossibile stilare una tassonomia dei romanzi che se ne sono occupati; posso solo nominare quei libri che, nel momento della stesura, e ognuno a suo modo, mi hanno accompagnato nel tentativo di scendere nei meandri del corpo. Oltre a Il male oscuro di Berto, alcune pagine de La coscienza di Zeno di Italo Svevo, Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino, l’ossessione per il corpo maschile nel personaggio-alter ego Zuckermann in Philip Roth; e poi, ancor di più: Storia di un corpo di Daniel Pennac, L’evento di Annie Ernaux, Baffi di Emmanuel Carrère, una raccolta di racconti edita da Minimum Fax che si intitola Lezioni di Anatomia, i racconti di Jean-Paul Sartre nel Muro (in particolare Intimità).
Sul versante saggistico, porrei L’oro è giallo su uno scaffale confinante con la produzione femminista (due titoli ad esempio: Invisibili, di Caroline Criado Perez e La città femminista, di Leslie Kern). O vicino ai saggi più specificamente dedicati al corpo femminile nelle sue varie manifestazioni (per esempio il tema del tabù del ciclo mestruale è stato per me importante); così come lo metterei accanto ad alcuni testi che esplorano la nostra relazione con le deiezioni e con il loro costrutto sociale, il bagno: in questo senso Il grande bisogno, di Rose George e Toilet, Public restrooms and the politics of sharing di Harvey Molotch e Laura Norén sono stati per me letture fondamentali.

L’oro è giallo è il tuo esordio narrativo: come vedi il tuo percorso di scrittrice futuro? Verso cosa vorresti indirizzarti, se hai già un’idea?

Beh, mettere insieme la parola scrittrice e futuro è un atto fideistico che ancora stento a compiere. Ho il sospetto di poter utilizzare questo termine solo postumo, almeno se applicato a me stessa: per il momento mi limito a dire che ho scritto e pubblicato un libro. Non vorrei ritrovarmi a fondare la mia identità su un hapax! Detto questo, continuo a scrivere (e studiare), compatibilmente con il resto della vita, che è preponderante e invadente. Preferisco però non dire nulla su progetti che magari non troveranno mai concretizzazione al di fuori dello schermo del mio laptop, attenendomi alla massima di Wittgenstein «Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere».

Infine, una domanda leggera, che rivolgiamo sempre ai finalisti del Premio Bergamo: quale tratto del tuo libro pensi possa farlo vincere?

Sorvolando deliberatamente su ciò che c’è di più costitutivo in un romanzo, ovvero la scrittura, la trama, ecc., direi che il tratto più significativo de L’oro è giallo è la scelta di un tema “ridicolo”. Nel bene e nel male.