Siamo giunti alla quinta e ultima tappa della presentazione dei libri finalisti del Premio Narrativa Bergamo 2024. Gli incontri con gli autori si tengono alla Biblioteca Tiraboschi di Bergamo per cinque giovedì di fila alle ore 18. Dopo Marco Rossari, Tiziano Scarpa, Franco Stelzer e Luca Scarlini, domani sarà il turno di Benedetta Fallucchi.


Un romanzo che abbia come protagonista la vescica è una premessa intrigante, affascinante. L’anticipazione di un piacere di lettura, tanto meglio se “proibito”, data la natura intima e socialmente poco consona dell’organo «ambiguo, forse persino ipocrita» (p.15) in questione. La vescica come contenitore degli scarti del nostro corpo e – poiché il dualismo corpo-anima è ormai antiquariato – della nostra persona tutta. La vescica come sede della vergogna, del non detto, spazio liminale tra dentro e fuori. Spazio che risente della disfunzionalità nei rapporti della donna a cui la vescica appartiene e che subisce un’alterazione della normale funzione fisiologica: riempirsi e svuotarsi al momento giusto. La vescica, infine, come sineddoche del corpo femminile; un corpo che, per come viene socializzato, deve contemporaneamente mostrarsi accogliente ed espellere senza indugio, trattenere e rilasciare nei giusti tempi e luoghi emozioni, frustrazioni, vissuti inaccettabili.

La vescica dell’anonima protagonista dell’esordio narrativo di Benedetta Fallucchi, L’oro è giallo (Hacca 2023), finalista al Premio Narrativa Bergamo 2024, è organo-simbolo delle tappe di formazione biografica all’insegna di una dicotomia tra il trattenersi e il lasciarsi andare. La bambina che fatica a controllare lo stimolo a urinare viene sottoposta ad un’educazione totalitaria della minzione ad opera di madre, zia e dottori. Tale rigidità rispecchia il controllo operato sul corpo femminile rispetto a quello maschile, educato all’esuberanza anche in materia di deiezioni. Fallucchi riporta, citando l’architetta e attivista Leslie Kanes Weisman: “I ragazzi vengono allevati nella nostra società per essere spazialmente dominanti… Le ragazze vengono cresciute nella nostra società per aspettarsi e accettare le limitazioni spaziali” (p. 51). Dopo infanzia ed adolescenza, la protagonista vive la relazione con Giovanni, che lavora nel mondo del cinema ed è spesso lontano, dal quale ha un figlio, Nicola.

Parallela a questo racconto in tre tappe – infanzia, adolescenza e maternità – si snoda una linea saggistica di brevi capitoli che trattano la presenza e il significato dell’urina in opere d’arte moderne e contemporanee e che sono di grande interesse, sia per la particolarità della materia – certo non di primo piano nella maggior parte dei manuali di storia dell’arte – che per la qualità puntuale dell’esposizione dell’autrice. Questi intermezzi concentrano elenchi di rappresentazioni e concettualizzazioni artistiche, arricchite dagli interessanti collegamenti e riflessioni di Fallucchi il cui tema centrale sono i comportamenti di genere.

La trama di L’oro è giallo si concentra su esperienze che paragonano costantemente la condizione medica ed esistenziale della protagonista, in un susseguirsi di situazioni topiche della narrativa sull’esperienza femminile: l’educazione, il confronto anche traumatico con il maschile, la maternità, l’equilibrio di coppia, il tradimento, la riconciliazione con sé stesse. A riverberare nella vita adulta sono le esperienze di una crescita scandita dal conflitto con la vescica: venire messa in condizione di non poter urinare dai parenti poco accorti e provare la vergogna di farsela addosso, la vergogna di essere colta di sorpresa da un bisogno impellente per strada di notte, dover insegnare al proprio figlio piccolo come si va in bagno e rimanere umiliata dalla sua naturalezza, la trasformazione sotto lo sguardo maschile della ragazza che fa pipì, con un atto che “si tinge di impudico, e quindi di erotico” (p.36).

Proprio questo plot, dalla successione abbastanza prevedibile, rischia a volte di andare a detrimento dei picchi patetici presenti in alcuni eventi narrati, riducendone il potenziale riverbero in chi legge.

Sempre in tale verso – quello di una dispersione del materiale emotivo – opera la sintassi del periodo. Frasi brevi giustapposte o spezzate da continui punti fermi:

Accendo un’altra sigaretta, rimando appoggiata alla ringhiera a guardare sotto, poi mi siedo e prendo il telefono. Guardo la gente che commenta sui social, anche lì non scrivo nulla, non partecipo, mi limito a guardare dal mio balcone. Dell’ossessione per la vista avrà forse beneficiato il mio lavoro. A volte ne ha beneficiato anche il lavoro di Giovanni (p.119);

e la tendenza a un ritmo accelerato con l’uso insistente di virgole nelle parti più concitate per poi tornare a massime scandite dai punti.

Faccio la doccia a Nicola, stendo i costumi bagnati, mi sembra di aver recuperato le forze, almeno fino all’ora di cena, quando il tremore ritorna, e più forte di prima, e anche la febbre. Preparo la cena. Provo a mangiare ma non riesco. Aspetto un po’ per riprendere un’altra Tachipirina. Ho male sotto alla pancia, ma sembra arrivare anche dietro, fino alla punta della schiena, come se mi dolesse il coccige (p.33).

Uno stile già sentito, che sa di consuetudinario per molta narrativa italiana contemporanea e che non può che far sperare in un’evoluzione, visto quanto bene esso si modula nelle sezioni saggistiche di questo romanzo.

Il vasto repertorio delle sostanze usate nell’arte – oltre alle più ovvie, urine e feci, compare lo sperma, la saliva, il sangue – illustra bene la profondità della relazione che intratteniamo con il disgusto. Essa non è che una parte della relazionecon il nostro corpo e i suoi umori. Idolatrato nel suo ruolo di contenitore, tirato a lucido, pompato o asciugato a seconda dei tempi e delle estetiche, il corpo è rinnegato nelle sue funzioni primarie, senza le quali non potrebbe esistere ma che lo rendono terribilmente mortale. Eppure non si dà bellezza né candore senza l’abietto che perturba, che stravolge, che tradisce, che insozza (p.66).

Il lessico è immediatamente comprensibile, quasi sottotono, quotidiano e affabile, con una costellazione irregolare di arcaismi che incuriosiscono quando non stonano: gli “afflati”, “l’abulia”, un fisico “giunonico”, il tempo “insperato”, la pelle che “essuda odori”, locuzioni come “mi stipo in uno dei loculi”, e i termini per riferirsi alle parti intime come “le pelvi” e “le pudenda”.  Abbondano metafore e parallelismi che cercano di dare ad alcune immagini della quotidianità una patina mistica o poetica. L’impressione generale è quella di un linguaggio che cerca di mantenere un costante equilibrio tra leggibilità estrema e dignità letteraria, bilanciando il basso o la medietà con escursioni lessicali e retoriche nell’alto e nel lirico: il risultato, benché degno  non è del tutto convincente.

Tuttavia, il romanzo di Fallucchi si legge con interesse per via delle sue premesse, delle intuizioni brillanti, diluite in una trama abbastanza prevedibile ma che non si dilunga troppo e inframezzate da gustosi “quadri” di curiosità artistiche. Il racconto, all’insegna della scissione dentro-fuori, della continua frustrazione della protagonista, di una vita all’insegna di una “continente relazione col mondo” (p.77) che inchioda la protagonista alla sua realtà, squarciata solo da lampi di incontinenza fisica  si chiude con un finale conciliatorio, che rimettere ordine e riunisce le parti frammentate della donna, vescica inclusa. La scrittura, prevedibilmente, fa da collante e permette di riordinare e restituire sotto forma di racconto il vissuto personale.

Diventare adulti significa controllare i propri orifizi. Inclusa la bocca. Ma controllarli deve per forza significare cancellarli? Che succede se, mentre li controllo, gli do anche voce? (p.15)

Si riconosce nella gestione narrativa del libro una certa qualità giornalistica proveniente dalla formazione professionale dell’autrice; così come le sue variegate conoscenze culturali che contribuiscono a costituire la gran parte dell’appeal del testo con un catalogo di curiosità artistiche che integrano efficacemente la linea narrativa, dall’excursus sulla concezione dell’ombra dignitosa nei bagni giapponesi confrontata con la cruda luce delle piastrelle europee, al cubo trasparente dell’installazione Don’t miss a sec di Bonvicini, collocato al centro di un vernissage, al cui interno l’utente può osservare l’esterno mentre fa i suoi bisogni, in una sorta di panopticon in cui il controllore è potente ma contemporaneamente esposto al ridicolo.

Per quanto riguarda la riflessione teorica e narrativa sul corpo femminile, Fallucchi si inserisce in una corrente ormai ampiamente nutrita che rivendica la centralità di questo corpo, la sua alterità, ciò che deve accettare e sopportare in questa società e, infine, come può essere libero e non scisso. In questo il romanzo cattura alcuni spunti interessanti (specie quando la vescica è assunta a sineddoche e il dualismo esuberanza/controllo è applicato alle dinamiche di genere) che aggiungono qualcosa al discorso pubblico sui corpi in letteratura. Se fino a un ventennio fa era scontato trovare un’egemonia di autori maschi che parlavano del corpo dei loro personaggi e della loro sessualità (tra gli italiani Pier Vittorio Tondelli ed epigoni, Aldo Busi, Francesco Permunian, Tiziano Scarpa, Niccolò Ammaniti; tra i giovani, in controtendenza, spicca l’esordio grottesco La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio), mentre alle autrici “corporali” veniva riservata un’attenzione minore, è tendenza ormai assodata che il corpo nella letteratura italiana contemporanea, specie “giovane” o sui giovani, sia eminentemente femminile (Isabella Santacroce in primis, Valeria Parrella, Veronica Raimo e molte altre. Tra le uscite recenti Corpomatto di Cristina Venneri o Atti puri di Alice Scornajenghi); creando un nuovo paradigma di aspettative e topiche che ha ormai raggiunto un’ampia libertà e varietà.

Un romanzo come L’oro è giallo si legge con il rimpianto di un potenziale non pienamente sfruttato, con un interrogativo fisso per le direzioni che avrebbe potuto prendere ma che non ha preso. Ma qualora chi legge dovesse vincere questa fisiologica frustrazione si troverebbe tra le mani un esordio interessante, che accende il desiderio per l’esplorazione futura di questi temi, sempre tenendo conto che “Elucubrare sulla vescica è un lusso, come lo è qualunque scrittura di sé” (p. 16).


Benedetta Fallucchi, L’oro è giallo, Hacca edizioni, Roma 2023, 155 pp. 15,00€