In attesa della cerimonia di premiazione della XLedizione del Premio Narrativa Bergamo, che si terrà sabato 27 aprile alle ore 18 al Teatro alle Grazie di Viale Papa Giovanni XXIII, proponiamo delle brevi interviste con i cinque autori finalisti. Tocca oggi a Luca Scarlini, in cinquina con Le streghe non esistono (Bompiani 2023).


Comunismo, femminismo, marxismo, cultura angloamericana, omosessualità e anticipazione dell’universo queer: quanto del rapporto tra Luca-personaggio e il Retore è in realtà occasione per cantare un periodo storico ben preciso, per rappresentare un manifesto generazionale?

Il romanzo è in primo luogo il tentativo di capire un periodo vissuto, che solo in distanza può caricarsi di un senso diffuso. In primo luogo è proprio il tentativo di comprendere un senso del reale, che sfuggiva a me bambino. Questa opera ha parlato a lettori della mia età, che si sono riconosciuti in un tono generale, anche se non negli episodi specifici della narrazione. Lo scontro padre-figlio è cardine della narrativa novecentesca, come modo di narrare gli esiti, spesso traumatici, di una società in trasformazione. Il “particulare” della vicenda vuole porsi in risonanza con un’epoca di metamorfosi estreme, e spesso dolorose, ma la stesura di un manifesto non era mio scopo, quanto quella di definire i termini di un momento storico, oggi largamente dimenticato, e che ancora risuona.

Il titolo Le streghe non esistono,si scopre leggendo, assume quasi i contorni di una domanda retorica. Cosa Luca-autore è arrivato a definire magia/stregoneria e in che modo l’esistenza di questo elemento determina le vicende di Luca-personaggio?

La magia è una speranza per uscire da un mondo di cui non si comprendono i meccanismi, né si accettano i limiti.  Non tanto un credo, quanto la necessità di una visione che esca dai limiti della determinazione economica, che il capitale ha stabilito nel dopoguerra come unica realtà. Non si tratta di una credenza precisa, né di un’appartenenza al mondo esoterico, che spesso ho incrociato, ma di una visione dell’essere umano come possibile detentore della vera felicità, indipendentemente dal proprio potere di acquisto.

Nonostante i protagonisti di questo romanzo siano uomini, la sensazione generale è che le redini narrative vengano poste in mano a figure femminili. Quali sono le spinte che muovono questa scelta nella vita non solo del libro, ma anche dell’autore?

Le donne sono determinanti nel reale, come nella cultura: agli eventi culturali la presenza maschile è sempre più esigua. La creazione della vita e delle forme sono poteri magici a tutti gli effetti: l’orrenda piaga dei femminicidi, sempre crescente, senza che lo stato si opponga, è una reazione patologica e terrificante di uomini frustrati a queste capacità.

Infine, una domanda leggera, che rivolgiamo sempre ai finalisti del Premio Bergamo: quale tratto del tuo libro pensi possa farlo vincere?

Forse l’autoironia, che è iniettata in dosi massicce nella vicenda, essendo da sempre nemico giurato dei piagnistei e delle lamentazioni letterarie.