Concludiamo la presentazione dei libri finalisti del Premio Narrativa Bergamo 2022. Dopo Francesco BianconiAndrea IngleseMaurizio Torchio e Davide Orecchio, è il turno di Elisa Ruotolo, che domani alle ore 17.30 incontrerà il pubblico del premio alla Biblioteca Tiraboschi di Bergamo.


Pubblicato nel 2021 per Feltrinelli, nella collana I Narratori, Quel luogo a me proibito è il romanzo con il quale Elisa Ruotolo si aggiudica un posto nella cinquina dei finalisti del Premio Bergamo di questo 2022.

All’origine del romanzo c’è il rovente senso di vergogna di una famiglia ossessionata dal pudore, di una stirpe segnata dal rigido schematismo delle convenzioni, erette in nome del senso del decoro, e di una bambina che ne subisce la morsa. Da questo rovello si sviluppa il racconto di un trauma e del tentativo di superarlo, liberandosi delle inibizioni che esso ha causato nella vita di un corpo castrato invisibilmente.

L’iniziale scorcio sul passato familiare della protagonista illumina le cause che si annidano nell’inconscio sottostando ai limiti che le impediscono l’accesso alla propria sfera intima. La narrazione segue il percorso incerto che si delinea mentre la donna cerca di liberare la propria intimità domata, dilaniata tra pulsioni opposte che non trovano una ragione d’equilibrio.

Questa «storia di una grande paura» si fa leggere come un romanzo di formazione tardiva, una formazione che dovrebbe realizzarsi nella scoperta del desiderio e nell’incontro con un altro corpo, al quale tuttavia la protagonista non riesce ad abbandonarsi, decretando il fallimento degli istinti di fronte alla morale imposta. Un reale motivo di maturazione si scorge più avanti nella confessione del proprio dolore che la protagonista riesce a fare a Nicla, storica compagna di classe dell’infanzia, da sempre agli antipodi rispetto a lei per atteggiamento ed esperienze. Se l’uomo di cui la protagonista si innamora, Andrea, non riesce a ottenere la fiducia sufficiente perché lei possa amarlo in modo disinibito, spiritualmente e carnalmente, è il rapporto sororale con Nicla che le insegna a superare il dolore e ad accettarsi senza giudizio. Perciò la formazione appare doppiamente tardiva: da una parte perché si compie molto dopo il periodo biografico dell’adolescenza; dall’altra perché avviene soltanto quando ormai l’amore e la possibilità di viverlo sono perduti.

Il romanzo non conosce divisione in capitoli, ma la struttura presenta una macro-divisione in tre parti: la prima è la presentazione dei prodromi, dell’ambiente familiare di provenienza e dell’infanzia della protagonista; la seconda è la storia della prima esperienza d’amore; la terza è la narrazione dell’abbandono, della perdita di questo amore.

L’inizio della narrazione ricorda vagamente i migliori incipit morantiani, con la descrizione della generazione degli anziani della famiglia, in particolare delle nonne, figure sofferenti ma ribelli che imprimono il loro carattere alla stirpe. L’ambientazione meridionale, la presenza empaticamente percepita degli animali, di cui si sottolinea la somiglianza con gli umani della famiglia, il tema dell’orfanità della madre, i caratteri burberi e ispidi dei padri sono elementi tipici di molti racconti della letteratura italiana intorno alla famiglia. La voce è quella di una narratrice femminile omodiegetica, che nella prima parte sottolinea la propria non onniscienza, dichiarando di riportare soltanto ciò che le è stato raccontato. Eppure, talvolta tradisce una padronanza fin troppo precisa degli eventi e dell’interiorità dei personaggi che li hanno vissuti, grazie a una visionarietà immaginativa capace di colmare le lacune delle storie, rivelando la labilità del confine fra verità e falsità, fra ricordo e sogno.

Quello descritto inizialmente da questa voce è un mondo popolato soprattutto da donne: da nonne, madri e bambine, all’interno del quale gli uomini risultano spesso figure incomprensibili, caparbiamente chiuse in un ostentato silenzio. Quest’inconoscibilità del maschile, che pertiene alla prospettiva della protagonista, si deve al fatto che per lei ogni rapporto con gli uomini rimane precluso in quanto connotato vergognosamente. È sul tema del pudore, infatti, che si concentra questa prima ricognizione dell’infanzia, segnata dalla rigidità dei dettami materni, dall’ossessione della madre per il giudizio pubblico e dal conseguente tentativo di celarsi all’interno di uno spazio privato castigato, nel quale proteggersi dal pettegolezzo. Il senso della rinuncia e una morale dei buoni costumi influenzano profondamente il carattere della bambina, la quale soffre di una distorsione prospettica, perché non potendo conoscere la realtà per com’è, se la figura all’interno di una fantasia fobica: l’impurità tanto condannata sporca così ogni sua immagine mentale.

In questa prima parte la figura della protagonista si caratterizza soprattutto in opposizione a Nicla, molto più disinibita ed estroversa, nei confronti della quale si sviluppa un tipico antagonismo infantile che influenza il seguito della storia. Mentre questa frequenta i coetanei di sesso maschile, a suo agio all’interno del loro spazio in classe o altrove, la protagonista subisce le angherie della nemica, incapace di difendersi e di ribellarsi, e guarda con ammirazione e paura la capacità della compagna di vivere la propria sessualità. «Si crede sempre che l’infanzia sia il tempo della purezza, mentre è solo quello delle verità che in seguito saranno custodite di nascosto». Così, il tentativo di celare le proprie pulsioni diventa tanto imperante da condizionare l’intera esistenza della protagonista, riducendola all’invisibilità, tanto che nell’intera narrazione il suo nome non è mai esplicitato o pronunciato da alcun personaggio. Anche questa caratteristica la rende diversa dai suoi compagni e piuttosto riconduce il suo personaggio a quello della matrigna di suo padre, rinchiusa tra le mura di casa e costretta a fare da serva a un anziano egoista.

A causa dei traumi che corrompono il suo carattere, anche da adulta la protagonista rimane bloccata nella dimensione del passato, pervasa da un’infanzia che la inchioda ai paletti che si è imposta. Così, quando conosce un uomo con il quale intessere una relazione amorosa, non riesce mai a obliarsi nel sentimento per il tempo necessario a compiere l’atto d’amore. Sembra che la dimestichezza con il mondo libresco che la caratterizza sia il contrappunto dell’incapacità di muoversi tra le coordinate della realtà dei rapporti umani: l’unica dimensione nella quale può esistere serenamente è quella incorporea della scrittura. Altrimenti, nella concretezza dei contatti quotidiani, la tensione fra desiderio e corpo la assilla senza posa: un’intima spinta vitale si scontra con un corpo che non sa sciogliere i nodi che lo trattengono. In virtù di questa tensione, la protagonista finisce per vivere un continuo straniamento, la sensazione della separazione insolubile di corpo e anima, che in definitiva significa la non appartenenza a se stessa. Non si sente simile a sua madre o a sua sorella, perché percepisce una vocazione per l’abisso, vocazione che tipicamente accompagna l’amore per la letteratura in quanto esperienza abissale, e che in questo caso viene puntualmente frustrata. La narratrice sente il richiamo dionisiaco, ma si castiga entro le forme solo apollinee, incapace di trovare la giusta misura. Così, quando l’amore di Andrea le impone di trovare un senso di interezza del sé per poter essere vissuto, lei non può che fallire. Di nuovo, la protagonista si caratterizza per opposizione, questa volta nei confronti dell’uomo che ama, che le mostra tutte le possibilità di cui lei non ha mai potuto disporre. L’opposizione si definisce innanzitutto come tensione fra società borghese e rifiuto delle convenzioni sociali: al contrario della protagonista, Andrea vive assecondando i propri istinti e desideri, senza preoccuparsi di avere punti di riferimento materiali. Nella terza parte del romanzo, l’immagine del quadro della Madonna che copre il poster pornografico è emblematica della critica all’ipocrisia borghese: allo stesso modo la coltre del buon costume cerca di nascondere l’istintualità dei corpi, ma celandole protegge e corrompe le pulsioni sessuali sottostanti.uando

La parabola narrativa raggiunge l’acme con l’ennesimo sforzo di Andrea per spingere la protagonista ad accedere al luogo proibito della sua stessa intimità, ma le fragili sicurezze acquisite non reggono la prova e il rapporto fra i due non sopravvive all’ulteriore colpo. La protagonista perde l’amore e cade nella disperazione: dal momento che l’intero arco della gioventù si condensa nel breve spazio di un periodo della vita adulta, anche il dolore della perdita si amplifica in ragione di questo meccanismo. Ma il ritrovato rapporto con Nicla, la quale non si assoggetta alla vergogna e sa vivere con intensità inedita, la aiuta ad aprire un vano nella propria sfera privata, ad ammettere i propri limiti e a superare parzialmente il dolore.

Nel complesso, si tratta di una narrazione unitaria e coerente, che sviluppa e svolge con completezza e precisione il tema attorno al quale si articola. Lo stile si distingue per una scrittura preziosa che tende a interpretare per immagini e metafore la realtà che vuole rappresentare. L’aggettivazione si fa talvolta molto abbondante, ma la ridondanza è in linea con il tratto di artificiosità che caratterizza la protagonista. L’ossessione per il pudore la condanna all’inautenticità, ed è sul rimorso di non essere stata in grado di superarla che si chiude con una nota amara il romanzo di Ruotolo, la storia di una paura non superata, la storia di una prigionia scontata entro le antiche mura che delimitano una coscienza.


Elisa Ruotolo, Quel luogo a me proibito, Feltrinelli, Milano 2021, 160 pp. 15,00€