Pubblicato per la prima volta in lingua originale nel 2019 e tradotto in Italia lo scorso settembre da Silvia Cosimini, Il tempo e l’acqua di Andri Snær Magnason è l’ennesimo gioiello editoriale uscito dai sicuri torchi di Iperborea, la casa editrice milanese che ha fatto della diffusione della letteratura nordica in Italia la propria missione.

Molto più che un “semplice” libro sul cambiamento climatico, scritto da un autore da molto tempo appassionato alla scienza e impegnato nell’attivismo ambientale, Il tempo e l’acqua si presenta come una composizione articolata, una raccolta insolita e stratificata che sottende una riflessione di ampio respiro condotta a partire da un interrogativo più che mai urgente: quale letteratura e quale ideologia possono essere chiamate a interpretare i problemi di immensa portata che l’umanità si trova ad affrontare oggi per la prima volta nella sua storia? Si tratta di una questione densa che non solo chiama in causa molteplici aspetti, linguistici e culturali, ma che ci rimanda direttamente al dibattito sul giudizio di valore della letteratura. La domanda è senza tempo e di grande rilevanza: che influenza può avere la letteratura sugli individui e sulla collettività? Quale il suo potere? Quale la sua funzione?

Il tempo e l’acqua è la risposta che Magnason offre alla questione. Se l’umanità sembra incapace di comprendere razionalmente ed emotivamente la sfida cruciale posta dal cambiamento climatico, e di operare un deciso cambiamento di abitudini all’insegna della sostenibilità e del rispetto della natura, Magnason ricorre alla scrittura letteraria per rendere la sfida accessibile, osservabile in quanto fenomeno concreto anziché alieno dalla vita quotidiana.

Nessuno poteva assumersi questo compito meglio di un islandese, rappresentante di un popolo che sembra godere di un rapporto privilegiato con la natura, se non altro perché essa gli si manifesta nelle sue forme più grandiose e primordiali, incidendo sulla vita della sua collettività in modo tutt’altro che trascurabile. Per la maggior parte degli abitanti del mondo occidentale i ghiacciai costituiscono entità sconosciute e distanti; attraverso il racconto della vita e della mitologia islandesi il libro tenta di renderli familiari al lettore, in modo da sollecitare l’attivazione dei processi di riconoscimento cognitivo ed emotivo necessari ad una presa di coscienza del problema posto dal loro scioglimento. L’Islanda è il paese nel quale i cambiamenti climatici si percepiscono a vista d’occhio, ed è quella islandese la prospettiva che Magnason vuole offrire ai suoi lettori affinché non possano più rimanere indifferenti di fronte alle drammatiche trasformazioni che il pianeta sta subendo. Per questo non si parla genericamente di “ghiacciai”, ma dello Vatnajökull, dell’Okjökull, e non se ne parla soltanto in termini scientifici, ma di esperienza culturale e personale.

I problemi di carattere scientifico, gli agenti ed eventi che ruotano attorno a questi luoghi vengono così ricondotti a una dimensione di tradizione letteraria, di narrazione storica o di vita quotidiana e familiare; e tuttavia essi non vengono banalizzati, ma acquisiscono una profondità e una consistenza maggiori grazie a una risignificazione plurima che investe l’intero mondo naturale. L’autore tenta di risacralizzare la natura agli occhi del lettore contemporaneo, usando metafore e immagini della tradizione letteraria per dare nuova forma a fenomeni scientifici e restituire grandiosità agli elementi e alle forze che l’uomo ha ridotto a meri strumenti al servizio dei suoi superflui bisogni consumistici. Questioni scientifiche vengono così rielaborate narrativamente e coloro che se ne occupano assumono lo statuto di personaggi ficti. Il caso del responsabile dell’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico di Potsdam in Germania, Wolfgang Lucht, che assurge al ruolo di Cassandra è paradigmatico. Proprio come nelle pagine di una tragedia di Sofocle o di Euripide, gli scienziati ci ammoniscono come oracoli e come tali rimangono inascoltati e non riescono a evitare che il corso degli eventi precipiti inesorabilmente.  

L’autore raccoglie e compone elementi molto diversi per la costruzione di un universo di significati intorno al problema climatico, e per questo il libro si configura come una raccolta di testi estremamente eterogenea. Ai racconti della mitologia classica e norrena seguono riflessioni sulle religioni monoteistiche e sulle spiritualità orientali, considerazioni di ordine politico che implicano un’aspra e diffusa critica al sistema capitalista, racconti di famiglia e di vita quotidiana, che si alternano a momenti di divulgazione più prettamente scientifica, il tutto coordinato dall’azione moderatrice dell’autore che accosta le narrazioni più diverse intorno al tema del rapporto tra uomo e natura. Ma l’alternanza fra allarmanti appelli all’umanità e scritti di natura più aneddotica si comprende anche in virtù del tentativo di rendere più tollerabile il monito martellante di un’apocalisse sempre più imminente. Tuttavia, nel corso della raccolta la distribuzione dei testi sembra progressivamente ricalibrarsi e la proporzione inizialmente a favore della letterarietà si sbilancia verso il polo opposto. L’aumento degli inserti di carattere scientifico sembra voler garantire al lettore l’accesso graduale a un territorio che risulterebbe altrimenti aspro e non accogliente.

L’eterogeneità della materia, dunque, non si ricompone soltanto in virtù della coerenza tematica, ma innanzitutto attraverso la successione non casuale dei testi, ordinati a rappresentare il percorso di maturazione e interiorizzazione del problema climatico da parte dell’autore, che dal rifiuto iniziale passa all’accettazione del compito a cui gli scienziati lo chiamano, fino a sentirsi sacralmente investito dell’incarico dopo aver sognato la mucca Auðhumla, la mitologica generatrice del mondo secondo l’Edda di Snorri. Anche il finale sembra riconfermare l’unità di una struttura che si chiude circolarmente, riproponendo la scena iniziale simmetricamente riflessa in un ipotetico futuro.

Dal punto di vista della modalità enunciativa la coerenza è garantita dal carattere autobiografico che filtra tutta la narrazione. Si tratta di un espediente tipico del genere ibrido a cui il libro fa capo, genere ampiamente sfruttato negli ultimi decenni, che combina divulgazione saggistica e finzionalità narrativa, spesso saldate tra loro dal tono personale di un autore/narratore che racconta in prima persona. La scelta delle fotografie inserite lungo il testo è coerente con il suo duplice carattere di reportage saggistico e prodotto artistico insieme: fotografie in bianco e nero e alcune illustrazioni aumentano il valore del prodotto librario rendendolo più godibile e, contemporaneamente, contribuiscono a confermare l’attendibilità alle informazioni riportate.

Anche a livello cronotopico le spinte centrifughe non mancano di ritrovare una certa complessiva unitarietà. L’oscillazione costante fra passato, presente e futuro sottolinea gli strettissimi rapporti causali fra eventi distanti nel tempo, corroborando così l’ipotesi che la responsabilità dei cambiamenti che avverranno nel giro di un secolo sia da individuarsi nelle azioni e nei comportamenti che l’uomo ha tenuto nei decenni passati e continua a perpetrare oggi, confermando l’importanza che ancora possono avere le nostre scelte nello scongiurare il destino che altrimenti sembra attenderci. Paradossalmente, salvare il pianeta parrebbe comportare, da una parte, un atto di proiezione verso il futuro, nel senso di una rapidissima accelerazione delle innovazioni tecnologiche, e dall’altra un ritorno verso un passato precapitalistico e preconsumistico.

La duplicità di questa tensione si riflette non solo nel diversificato intreccio cronologico delle varie narrazioni che compongono l’opera, ma anche nel rapporto fra le generazioni richiamato a più riprese. Protagoniste di molti dei racconti sono le figure dei nonni, custodi fedeli della memoria e rappresentanti di un mondo perduto, ormai sommerso dal tempo – è una coincidenza significativa che il nonno Arni porti lo stesso nome di Arnas Arnæus, l’eroe che nella Campana d’Islanda di Halldór Laxness dedica la propria vita alla ricerca e alla conservazione del patrimonio letterario del popolo islandese, il suo tesoro più grande e la nobile prova del suo immenso valore. D’altra parte, anche i figli sono più volte evocati nel lungo discorso di Magnason, che nei loro confronti sembra sentire il peso del senso di colpa di una generazione che ha anteposto egoisticamente i propri interessi a quelli dei suoi discendenti. Analogamente, i repentini salti spaziali da un luogo all’altro del pianeta rimandano evidentemente all’importanza di un’unica realtà globale: i paesi più diversi ne sono parte in quanto si sviluppano tutti intorno a un sistema economico che ne determina la ricchezza o li rende vittima collaterale delle proprie disastrose conseguenze.

Di fronte a una raccolta che accumula testi tra loro così diversi e che si snoda per un numero di pagine considerevole, ci si potrebbe chiedere se un’essenzialità e una concentrazione maggiori non avrebbero potuto sortire un effetto di più forte impatto e presa sul pubblico. Se infatti la ricorrenza insistita di concetti e immagini sembra strumentale al fare breccia nella coscienza dei lettori, la ripetitività di certe considerazioni – per quanto importanti – rischia di provocare assuefazione e disinteresse in un lettore già scoraggiato dalla gravità del tema. Si tratta, tuttavia, di un rischio che l’autore pare essere pronto a correre, poiché è proprio in virtù della sua misura allungata e del suo passo costante che l’esperienza di lettura de Il tempo e l’acqua permette di intraprendere un percorso verso il raggiungimento di una consapevolezza più razionale e meno distaccata del problema climatico.

È proprio grazie alla comprensione interiorizzata e all’accettazione progressiva raggiunte lungo la raccolta che risulta infine possibile pervenire a una certa serenità, senza incorrere per questo in alcuna svalutazione della gravità dell’emergenza. Pur non trattandosi di una lettura immersiva, l’opera crea un’eco capace di riverberarsi a lungo nella mente e nella coscienza dei lettori, grazie alla tessitura di un intreccio di riferimenti testuali, letterari, storici intorno al cambiamento climatico e grazie ad una rappresentazione non asettica di dati meramente scientifici e matematici. In questo senso si può dire che Magnason raggiunga pienamente il suo obiettivo, proponendo un prodotto che tenti di infrangere quell’“apatia di massa” che sembra caratterizzare la nostra società.

Ciò che resta allora da chiedersi è se ci saranno individui disposti ad accogliere questo appello, se ci saranno lettori in grado di raccogliere la sfida posta da una narrativa di impegno sociale che nonostante le difficoltà insite in un sistema culturale in profondo mutamento non vuole rinunciare a quella funzione morale che le è sempre stata propria e che costituisce la sua ragione d’essere più profonda.


Andri Snær Magnason, Il tempo e l’acqua (2020) – trad. it. Silvia Cosimini, Milano, Iperborea, pp. 352, € 19,50.