Fuori dagli schemi, il mestiere di scrivere raccontato da chi lo fa è una serie di interviste a scrittrici e scrittori pensata per esplorare alcuni aspetti del lavoro sul testo letterario che normalmente vengono lasciati da parte, taciuti o tenuti gelosamente nascosti. Fuori da schemi interpretativi per addetti ai lavori, le interviste si concentrano su schemi concreti, che di volta in volta possono essere scalette, appunti, brogliacci, alberi genealogici, schede dei personaggi, disegni, tabelloni da detective e crazy wall…
Oltre a porre alcune domande dirette su questo o quel problema tecnico, abbiamo chiesto agli intervistati di metterci a disposizione parte dei propri scartafacci e di discuterli insieme a noi. Ma l’obiettivo più importante di questi dialoghi è invitare gli appassionati di letteratura a esplorare il backstage del testo insieme a chi lo ha concepito e realizzato, sia per conoscere aspetti nascosti di testi letti e apprezzati, sia per scoprire opere, autrici e autori che ancora non si è avuta l’occasione di incontrare.
Le precedenti interviste sono state fatte a Giorgio FontanaClaudia DurastantiFilippo TuenaMelania G. MazzuccoAlessandro Piperno, Domenico StarnoneGiorgio FalcoHelena JaneczekNicola Lagioia e Valeria Parrella.
[questa rubrica è nata da un’idea di Claudio Lagomarsini]


Massimo Carlotto

Massimo Carlotto esordisce nel 1995 con Il fuggiasco, romanzo d’ispirazione autobiografica dedicato all’attivista e detenuta Silvia Baraldini. Nel 1998 pubblica Le irregolari, romanzo che indaga la repressione sudamericana degli anni Settanta e il fenomeno dei desaparecidos, grazie anche all’esperienza in prima persona avuta in Argentina con le Abuelas de Plaza de Mayo. Queste prime prove letterarie introducono un elemento ricorrente nel romanzo di Carlotto, ossia l’interesse per i legami tra crimine, politica e società. Seguiranno tra le pubblicazioni più note Arrivederci amore, ciao (2001), L’oscura immensità della morte (2004), L’alligatore (2007), La signora del martedì (2019). Considerato tra i noiristi migliori della sua generazione e tra i più importanti a livello internazionale, la sua scrittura si distingue per utilizzare il romanzo di genere non solo come intrattenimento, ma come occhio vigile per comprendere la realtà contemporanea. Nel 2021 pubblica con Rizzoli E verrà un altro inverno.

Nei suoi romanzi lei ricorre a un bacino di temi e situazioni che traggono ispirazione da oggetti reali, legati allambiente della malavita; spesso i protagonisti sono stretti in una morsa che li ingabbia, dovuta alle circostanze messe in moto dagli eventi criminali. Solo per citare alcuni esempi, penso ai protagonisti di Senza sapere quando, Il fuggiasco, Arrivederci amore ciao. Invece nel suo penultimo romanzo, La signora del martedì (Edizioni e/o, 2019) lo schema cambia, si fa più arioso, direi che questo romanzo è quasi un divertissement, almeno nelle parti più divaganti, in cui si avverte un vero e proprio piacere della scrittura anche nel tratteggiamento bozzettistico di alcuni personaggi (penso al signor Alfredo, ad esempio). Seppur al centro del racconto cè un cuore cupo, fatto di violenza e ingiustizia, i personaggi che lo contornano introducono un tocco più leggero, variegato. Mi chiedo se questo sia indicativo di un cambiamento in atto, ossia se- letterariamente parlando- scendere nei bassifondi del crimine non le basta più e se quindi la sua scrittura si stia allargando verso altri territori. Se sì, può spiegarci perché e che cosa la spinge in tale direzione?

Per 25 anni mi sono occupato della relazione tra la criminalità organizzata e quegli ambienti della nostra società che dovrebbero essere assolutamente “immacolati”, estranei a qualsiasi forma di collusione malavitosa, quali la politica, l’imprenditoria e la finanza. Ho cercato quindi di applicare sulla realtà raccontata uno sguardo totale che osservasse anche i fenomeni economici, ed ho utilizzato il crimine come pretesto per parlare di tutto ciò che si muove intorno alle trasformazioni criminali. Tutto questo ha determinato per 25 anni una denuncia molto puntuale dei movimenti criminali, proprio perché il mio discorso è sempre stato profondamente ancorato al reale. Dal punto di vista del metodo la scrittura del romanzo per me si è sempre articolata in tre momenti fondamentali: osservazione di una situazione reale; ricerca e raccolta del materiale grazie agli strumenti del giornalismo investigativo; miscela del materiale documentario con gli elementi della finzione romanzesca.

Il punto è che dopo 25 anni mi sono accorto che stavamo un po’ tutti raccontando sempre la stessa storia e scrivendo lo stesso romanzo. Quindi mi sono chiesto: ma il noir può avere altri territori? La risposta è stata affermativa. Viviamo, infatti, in una società così complessa che può offrire infiniti mondi di esplorazione romanzesca. Per La signora del martedì sono quindi partito da un punto completamente diverso, molto lontano dalle fonti classiche del noir, e mi sono divertito a lavorare sulla categoria del corpo. Mi sono quindi chiesto che cosa succedesse ai corpi che hanno una sorta di utilizzo sociale, cioè i corpi che si prostituiscono – ricordiamo infatti che i tre personaggi principali del romanzo hanno avuto tutti esperienze di prostituzione – quando arriva il dopo e da lì sono partito per la mia ricerca. Tempo prima avevo incontrato il signor Alfredo, che esiste realmente e 40 anni fa era la più bella travestita di Padova ed è stata una sorpresa per me ritrovarla in abiti maschili. Dalla mia curiosità sui motivi che l’avevano spinta al cambio di look è nato un percorso di esplorazione sul corpo attraverso la ricostruzione di un mosaico: quindi l’ambiente della prostituzione negli anni in cui Alfredo era giovane, il mondo dei gigolò e il giro del cinema porno connesso alla pratica della prostituzione maschile. La mia ricerca è stata facilitata anche dai luoghi in cui vivo, considerando che Abano Terme, vicino Padova, è assai frequentato da gigolò. Attraverso questi circuiti, quindi, ho potuto raccogliere il materiale sufficiente per la scrittura della Signora del martedì, ma terminata la raccolta dei dati mi si presentava un altro nodo da sciogliere, quello della lingua. Avevo infatti la necessità di miscelare i linguaggi in modo che l’operazione linguistica fosse funzionale anche all’idea di pastiche della mia storia: e infatti nel romanzo si intrecciano i toni del melò con quelli del romanzo serio, la lingua del giornalismo e con quella del romanzo popolare. Il mio principale obiettivo era quello di dare spessore alla figura del protagonista, il signor Alfredo, e quindi ho deciso di mettere questo personaggio alla prova del teatro, utilizzando alcuni spezzoni del testo romanzesco sul quale stavo lavorando. Portando frammenti di storia sul palcoscenico ho avuto modo di osservare le reazioni del pubblico di fronte ai personaggi che stavo delineando e questo mi ha permesso di affinarli nella scrittura.

Esiste quindi anche una pièce teatrale della Signora del martedì?

In teatro racconto la storia del signor Alfredo da giovane, lo spettacolo è quindi una sorta di prequel che nasce da una costola narrativa del romanzo. Ci sono state delle rappresentazioni l’estate scorsa e, limitazioni permettendo, sono previste delle date anche per la prossima estate.

Sopra ha rivelato che il suo metodo di scrittura prevede tre momenti: osservazione; ricerca e raccolta del materiale e miscela di questo con gli elementi della finzione romanzesca. Nel caso della vicenda di Alfredo, quali sono stati i materiali a cui ha fatto ricorso? Ne avrebbe qualcuno da mostrarci e rispetto al quale spiegarci come ha operato l’integrazione con l’invenzione romanzesca?

Dovevo lavorare sul corpo dei protagonisti ed è quello che ho cercato quando mi sono sentito pronto alla scrittura. Come ho raccontato Alfredo l’ho incontrata in un ufficio postale. Grazie a lei ho ricostruito una rete di “corpi” che si erano prostituiti e che ora dovevano misurarsi con la vecchiaia e un’esistenza che non ammetteva la rivendicazione del passato ma addirittura la necessità di occultarlo. Poi mi sono dedicato ai gigolò che frequentano i set del cinema porno. Il materiale raccolto è esclusivamente orale. L’integrazione con l’invenzione romanzesca è avvenuta negli snodi di trama. I personaggi sono distillato di vita vissuta e del loro pensiero. La trama è il luogo dove si incontrano e interagiscono.

Il “super-protagonista” della Signora del martedì sembra essere il mondo degli spettatori che seguono le vicende dagli spalti dei media, e lo sforzo dei personaggi è anche quello di staccarsi di dosso il “confezionamento” narrativo ricamato dal racconto mediale (mi viene in mente, ad esempio, che questo tema è principale o in sottotraccia anche in alcuni romanzi di Donato Carrisi; penso ad esempio a La ragazza nella nebbia). Anche in questo senso il romanzo si presenta come un noir “anomalo”, il mostro è nella cornice, e la cornice siamo noi. Quello che intendo dire è che i lettori/spettatori dei nostri anni hanno maggior familiarità rispetto al passato con il linguaggio di genere e anche con certe fisionomizzazioni narrative, da cui il racconto della cronaca nera attinge a mani basse (è esemplare, nel suo romanzo, la definizione di “amanti diabolici” che funziona come titolo scandalistico, ma è lontano dalla verità della storia). Rispetto a quanto detto possiamo fare almeno un paio di considerazioni: da una parte labitudine a un certo tipo di schemi narrativi ha ridotto, in un certo senso, la tavolozza interpretativa di chi legge la cronaca- forzando i contorni della persona verso quelli del personaggio- dallaltra lusura di certi modelli “attanziali”, la loro immediata riconoscibilità, richiede al noir lo sforzo di sapersi reinventare per non cedere alla stanchezza della ripetizione… Secondo lei il poliziesco ha al suo interno le risorse per poter competere con le sfide, anche cognitive, che il mondo contemporaneo pone allo scrittore di noir?

Il poliziesco no, il noir sì, perché il poliziesco è legato a una dimensione consolatoria che ripropone uno schema fisso (indagine-soluzione-assoluzione), mentre il noir ha maggiori possibilità di espressione in quanto tiene maggiormente conto dell’immaginario del lettore. Quest’ultimo infatti è fondamentale e deve essere sempre oggetto di analisi da parte dell’autore.  Nel noir non ci sono solo i codici del genere a orientare la narrazione, ma c’è molto di più: ci sono il cinema, la televisione, le serie tv, la politica e la sua rappresentazione, la pubblicità. Tutto questo fa parte dell’immaginario del lettore e lo sforzo da fare, secondo me, è di interpretare questo tipo di immaginario per affrontare nuovi terreni e raccontare nuove cose.

Riporto come esempio il mio ultimo romanzo, E verrà un altro inverno (Rizzoli, 2021): il centro del romanzo è la relazione che esiste tra criminalità e persone “perbene”, cittadini al di sopra di ogni sospetto. La domanda da cui nasce il libro è: come delinquono le persone perbene? Questo, in sintesi, è il senso del romanzo. Per rappresentare questo mondo ho dovuto costruire dei personaggi assolutamente reali, che non solo ho “pescato” dalla cronaca, ma che sono anche in linea con l’immaginario del lettore contemporaneo. Questo è un immaginario molto diverso, per fare un esempio, da quello di chi leggeva Sciascia perché molto più ricco di immagini. Il lettore di Sciascia aveva una cultura legata prevalentemente al cartaceo, mentre oggi l’immaginario è assai più denso di stimoli extraletterari. Lo scrittore di noir deve tenerne conto, però bisogna lavorare in controtendenza: la letteratura non si può svendere a favore di un regime solamente visivo e cinetico. Anzi, la letteratura deve rivendicarsi come altro rispetto a tutto questo, ma per farlo è necessario abbandonare i plot triti, la stereotipia di certe figure (come quelle dei tanti investigatori che nascono ogni giorno dalla penna di qualche scrittore). Dobbiamo farlo perché possiamo offrire altro, attraverso però uno sforzo di osservazione ossessiva; solo questo ci permetterà di andare oltre la mera orizzontalità tra criminalità organizzata e società, a favore di una visione più complessa dei meccanismi criminali e delle sue relazioni con la realtà in cui viviamo.

A tal proposito mi viene in mente che anche in Arrivederci amore, ciao e in Nord-est i protagonisti sono persone comuni che si ritrovano in un certo senso intrappolate nella zona grigia del crimine “sommerso”, mettendo in atto comportamenti che sfruttano i circuiti a confine tra legalità e illegalità. Questi personaggi sembrano amplificare, in realtà, delle modalità che a un livello inferiore sono comuni a molti cittadini e mi riferisco soprattutto al compromesso, alla ricerca della scorciatoia per trovare la strada più facile. Mi sembra dunque che il suo ultimo romanzo segua questo filone in cui si rappresenta- mi conceda leco letteraria- la “banalità” del crimine.

Esattamente, il punto è proprio che la corruzione nel nostro Paese ha fatto da cinghia di trasmissione a un crollo della dimensione morale. Un tempo quando una persona veniva accusata di corruzione si vergognava, oggi invece sembra che sia tutto diluito e anzi, molte volte ostentato. Nel senso che ci sono una serie di reati come quelli ecologici, finanziari, amministrativi che non vengono percepiti come tali, e spesso chi viene accusato minimizza e tenta di derubricare questi illeciti a categorie più blande, che ricadono sotto il nome di “incidente” o ragazzata, schermandosi ovviamente dietro la facciata di “persone perbene”. Ho sentito quindi la necessità di condurre delle ricerche su questo tema perché credo che sottenda dei meccanismi molto pericolosi, e credo anche che bisogna iniziare a denunciare per poter intervenire.

Molti dei suoi romanzi sono stati trasposti in film, penso a Il fuggiasco, Arrivederci amore, ciao, Jimmy della collina e, ovviamente, alla recente serie televisiva de LAlligatore che porta sullo schermo le vicende di Marco Buratti. Ladattamento dal romanzo al film non è solo unoperazione di lineare trasposizione, poiché richiede innanzitutto una ricodifica, nel passaggio da un regime letterario ad uno visivo. I suoi romanzi però sembrano “funzionare” bene nelladattamento filmico, come se i congegni narrativi fossero naturalmente predisposti ad essere sfruttati per un racconto di tipo cinematografico. Penso, ad esempio, al taglio che viene dato ai protagonisti e alle sequenze cinetiche che si prestano bene alla rappresentazione in scena. A questo proposito le domando: i suoi romanzi sono pensati già per essere “convertiti” in film? E lei come interviene allinterno della sceneggiatura, a quali elementi accorda la priorità e quali altri invece è disposto a sacrificare? In ultimo: ritiene che nel passaggio dal romanzo al film le sue opere acquisiscano delle sfumature- magari silenti alla lettura- oppure, al contrario, crede che il romanzo rappresenti il canovaccio di un prodotto autonomo?

Credo nell’autonomia del romanzo, quando scrivo non penso mai alla trasposizione cinematografica (nonostante le ripetute raccomandazioni degli editori), perché pensare al romanzo già in termini di adattamento cinematografico sarebbe un tradimento, verso il romanzo e verso i lettori. Anche se noto che è una tendenza sempre più comune, perché per lavoro leggo molti manoscritti che il più delle volte sono delle sceneggiature travestite da romanzo. Bisogna invece concepire dei personaggi che riescano a funzionare da tutti i punti di vista, ma questo dipende anche dal tipo di storia che viene prodotta. Personalmente io ho sempre lavorato solo sulle storie, mentre i personaggi sono stati strumenti funzionali alla costruzione del racconto; ciò che mi interessa davvero è la visione d’insieme, l’architettura narrativa nel suo complesso. Può capitare, poi, che dentro alla storia il personaggio cresca, prenda il suo ritmo e il suo spessore, che piaccia al lettore e che si crei un percorso.

Per tornare però alla trasposizione cinematografica, credo che si debba essere disposti a tradire tutto nel passaggio dalla letteratura al cinema, perché quello che funziona è proprio il tradimento. Tradurre letteralmente da un media all’altro è un grande errore, perché ogni media ha il proprio linguaggio. La scrittura lascia immaginare, il cinema si fa guardare. Quando ho incontrato i produttori e la regia per la serie dell’Alligatore la prima cosa che ho chiesto è stata quella di farne un prodotto completamente diverso rispetto al romanzo. Ciò che per me è importante salvaguardare dell’opera originaria è il senso complessivo della storia, ed è quello che ho cercato di riprodurre sempre, dal Fuggiasco ad Arrivederci amore, ciao a Jimmy della collina. Una volta messo in salvo il messaggio si può e si deve essere liberi di tradire: ho sempre pensato che affidando le mie opere in mano a professionisti del cinema e della televisione il romanzo dovesse necessariamente diventare altro, perché chi lavora sulla storia lo fa con la propria sensibilità e personalità. Senza considerare che c’è tutto un aspetto legato alla scena che inevitabilmente interviene a modificare l’originale, ad esempio la disposizione delle luci, le scelte degli sceneggiatori e degli attori, e via dicendo. Inoltre devo aggiungere che il mondo del cinema mi piace moltissimo, lo guardo ancora con gli occhi del bambino nel mondo dei balocchi, mi piace lasciarmi stupire e veder andare la mia storia in un luogo che non è il mio.

Per tornare alla Signora del martedì e alla sua costruzione, sopra ha detto che è stato in qualche modo la figura di Alfredo a orientarla verso quel racconto; in questo caso quindi la narrazione è nata dalla fisionomia del personaggio intorno a cui ha costruito la trama? Oppure, analogamente a come lavora di solito, aveva già in mente unarchitettura narrativa ed è riuscito a rendere il personaggio di Alfredo funzionale ad essa? Nel caso ha conservato uno schema, una mappa del plot dal quale poi è nato lintero romanzo?

Avevo già in mente il romanzo, nel senso che era un progetto che cresceva e alla fine quando è maturato, ho pazientemente costruito l’architettura narrativa che fosse in grado di reggere la complessità, ovvero l’insieme dei temi che volevo affrontare. I personaggi, anche quelli minori, hanno alle spalle una lunga fase di scoperta. Di loro devo sapere tutto, altrimenti rischio che il lettore lo ritenga posticcio, a uso e consumo della narrazione. Per Alfredo per esempio ho iniziato dall’infanzia e per verificare l’impatto sul pubblico, ho raccontato quella parte della sua storia a teatro.

Riporto qui sotto il testo del primo plot (in calce all’intervista, invece, alcune pagine del testo teatrale).

Soggetto Romanzo

Alfredo Guastini, per tutti il signor Alfredo, è un travestito sessantenne proprietario della pensione Lisbona che da tempo ospita un unico cliente, Bonamente Fanzago, in arte Zagor, un attore porno quarantenne sulla via del tramonto a causa di un ictus provocato dall’abuso di stimolanti. Zagor vorrebbe continuare a recitare ma l’ictus gli ha lasciato in eredità un imbarazzante strascico che non riesce a controllare: il pianto improvviso.
Il signor Alfredo si prende cura di lui con slancio materno. Cucina cibi dietetici, gli dispensa i farmaci, prenota le visite mediche. Alfredo è generosa, gentile, educata, disponibile. Romantica.
Tutti l’adorano. Anche in quartiere. Era apparsa dal nulla una trentina di anni prima e aveva aperto la pensione. A quel tempo era bella e faceva girare la testa agli uomini, le camere erano sempre prenotate da una clientela esclusivamente maschile. Ma nessuno si è mai lamentato perché Alfredo ha sempre gestito la sua vita e quella della pensione con grande discrezione e classe. Poi con l’avanzare dell’età è iniziato il declino, i clienti si sono diradati e alla fine è rimasto solo Zagor. E Alfredo ora è costretto a “travestirsi” da uomo quando esce dalla pensione perché un vecchio con la gonna e i tacchi è ridicolo e attira il disprezzo e il dileggio dei soliti benpensanti.
Ma il signor Alfredo è felice. Non ha preoccupazioni economiche e finalmente il suo grande amore, il professor Federico Bassi, ormai vedovo e nonno, ha deciso di trasferirsi da Napoli per trascorrere insieme la vecchiaia. Federico e Bonamente sono le persone più importanti della vita di Alfredo, gli unici affetti rimasti.
Federico e Alfredo si sono conosciuti alla pensione. Federico insegnava letteratura spagnola all’università e soggiornava alla Lisbona. Federico, sposato, con figli, si era subito invaghito della bella travestita che nell’intimità chiama Regina e a cui recita poesie di Neruda.
Una coppia felice.
Da 9 anni a questa parte, ogni martedì, rigorosamente dalle 15 alle 16, l’attore porno riceve una misteriosa signora che lo paga per un’ora di sesso e per assaggiare raffinati distillati. Lui ne è perdutamente innamorato, la signora però non ricambia e Zagor sfoga le sue pene d’amore con il signor Alfredo che, invece, da “madre” detesta la donna con tutte le sue forze. Non solo perché non è quella giusta per lui, ma anche perché la ritiene responsabile di costringere il suo protetto a imbottirsi di viagra ogni volta che la deve soddisfare, pillole vietatissime dai medici.
Una mattina, Federico e Bonamente sono seduti nella sala da pranzo per la colazione, Alfredo viene e va dalla cucina, servendo cappuccini e fette di torta. È vestita di tutto punto, truccata e sulla testa porta uno dei suoi adorati cappellini con la veletta.
Suona il campanello e quando Alfredo va ad aprire e si trova di fronte i due figli di Federico, Luigi e Alberto, capisce che sta per accadere qualcosa di irreparabile.
I due vogliono riportare a casa il padre che ritengono vittima della demenza senile. Altrimenti non vivrebbe con un vecchio frocio. Federico subisce la violenza verbale dei figli, che lo rimproverano di gettare fango sulla memoria della moglie e il loro buon nome. Alfredo si ribella, tenta di opporsi ma i due la insultano, la deridono, la minacciano. Bonamente, ovviamente, scoppia in un pianto dirotto e si rifugia nella sua camera. 
Federico si arrende e riparte con i figli. Non riesce nemmeno a guardare in faccia la sua amata.
Alfredo è annientata. Erano solo due “vecchi” che si amavano, che volevano farsi compagnia fino alla fine della loro esistenza. Un’ingiustizia insopportabile. Spera che Federico si ribelli e ritorni ma durante la notte riceve una telefonata. Federico le dice addio per sempre. Uscirebbe distrutto dalla guerra con i figli e non sarebbe mai veramente felice.
Ad Alfredo rimane solo Bonamente. E riversa su di lui ogni attenzione.

Concludo con unultima domanda, forse più personale e scivolosa: se idealmente dovesse indicare quali sono stati i suoi maestri- e non mi riferisco solo ai modelli letterari- chi o che cosa indicherebbe? Ammesso che ritenga che la scrittura, come la vita, possa avere delle stelle fisse (e che queste siano orientamento e guida perenne).

Io sono sempre stato un lettore onnivoro e vengo da una famiglia di grandi lettori. Le racconto un aneddoto: a casa avevamo un salone con una grande libreria; un giorno mio padre mi prese per mano portandomi davanti agli scaffali dei libri, dicendomi: vedi, questa è la parte di libreria che tu puoi leggere, gli altri libri invece non devi toccarli. Ovviamente successe che la sera stessa iniziai a leggere uno dei libri che facevano parte della libreria “proibita”. Ho poi scoperto, anni dopo, che quello era stato un modo da parte di mio padre per introdurmi al mondo degli adulti attraverso la letteratura, e devo dire che lo stratagemma ha funzionato perché sono diventato un lettore compulsivo.  I primi libri che ho letto sono stati i quattro volumi de Il placido Don di Šolochov, e ammetto che è stata un’esperienza micidiale, nel senso che mi ha richiesto molta concentrazione e fatica, ma ancora oggi ricordo interi passaggi di quella lettura perché per me è stato come vivere un’avventura. L’avventura di entrare nella storia dei bianchi e dei rossi nella Russia del ‘17, dentro alle strade dei villaggi cosacchi, nel mezzo della Rivoluzione… ho quindi cominciato un percorso in cui la lettura ha rappresentato una dimensione sempre molto importante e mi sono infine avvicinato al romanzo di genere in Sudamerica. Questo perché la mia generazione ha utilizzato il genere come strumento per leggere il passaggio dalle dittature alla democrazia, e personalmente ho imparato molto dalle letture fatte in Argentina e in Centro America. Se dovessi però individuare il momento in cui ho scelto di iniziare a scrivere non avrei dubbi, e indicherei la lettura di due autori straordinari che per me sono stati Gadda e Sciascia. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione di scrittore, perché è un’opera incredibile che oggi non viene sufficientemente letta e apprezzata, probabilmente per la difficoltà della lingua di Gadda. Quello che ho trovato illuminante è stato il senso della morte nel commissario Ingravallo, e guardacaso ho poi scoperto che alla Sorbona tenevano un corso esattamente su questo tema. Di Sciascia ho invece fatto mio il motto “scrivo perché voglio impedire che la menzogna trionfi”: lo ritengo un insegnamento di grande importanza (a mio avviso Sciascia è stato uno straordinario noirista, anche se non viene riconosciuto come tale). Quando- in un secondo momento- mi sono affacciato al mondo editoriale ho iniziato ad ampliare le mie letture, ho conosciuto tanti altri autori, ed è sempre rimasta in me l’impronta del lettore onnivoro, avido di libri.

Sul versante extraletterario posso dire invece che ho una naturale empatia con la narrazione fotografica, sono anche un appassionato collezionista di libri di fotografia, e ritengo che questo mezzo espressivo mi abbia decisamente influenzato dal punto di vista della scrittura. Allo stesso modo nella mia esperienza di scrittore è stato importante il cinema e posso dire di aver capito a pieno il noir dopo aver osservato con attenzione una scena di Brother di Takeshi Kitano. E questo si riallaccia a quanto dicevo prima sul nostro immaginario estremamente nutrito di immagini dal quale il narratore, prima ancora del lettore, non può più prescindere.


Testo Reading

Intro musica

Sono i miei tacchi appuntiti
Che mi impacciano i piedi
Che mi cadenzano il tempo che vola
Sopra i marciapiedi
Sembra che questi versi di una nota canzone siano stati ritrovati scritti col rossetto su uno specchio della pensione Lisbona la mattina della fuga del proprietario: Alfredo Guastini, più noto come Il signor Alfredo.
Insieme a questo lezioso cappellino con la veletta, uno dei suoi preferiti.
Questa sera vi racconteremo la sua storia almeno fino al momento in cui è uscita una mattina con un piccolo trolley dalla Pensione Lisbona e non vi ha più fatto ritorno. Ma la fine di questa storia è un dettaglio insignificante perché la vita è una ma le esistenze possono essere molte. Si può ricominciare mille volte – come nessuna – dipende dal destino di ognuno di noi. E il destino di Alfredo Guastini è stato quello di nascere donna in un corpo da uomo. Il destino per certe persone è già scritto. Basta essere diversi, basta poco e la vita ti prende a calci in culo a prescindere.
E il destino colloca la nascita di Alfredo Guastini alla fine degli anni ‘50 in un paesino delle montagne del comasco dove la diversità di genere non è nemmeno immaginata. Nel dialetto locale non esiste nemmeno un termine per definire l’omosessualità. E i costumi sono tenuti saldamente sotto controllo. Il primo ricordo del piccolo Alfredo è quello una ragazzina inginocchiata sotto la pioggia davanti al sagrato della chiesa.

Stop musica

 Don Fausto, il parroco, aveva un fiuto speciale per stanare tutte le persone che osavano sfidare la morale e le puniva davanti a tutto il paese. E non c’era modo di opporsi, il prete era in grado di schierare un’orda di beghine che perseguitava le malcapitate fino a quando non cedevano. E tocca anche ad Alfredo quando all’età di 11 anni ha la pessima idea di uscire di casa vestita da bambina. La mamma faceva la sarta e in quei giorni aveva appena terminato di cucire un abitino per la figlia del macellaio e Alfredo non resiste alla tentazione. Lo vede appeso vicino alla porta, pronto per essere consegnato e se lo ritrova addosso e le sta d’incanto. Alfredo esce, si mostra sorridente e felice ma si scatena l’inferno. Un nugolo di vicine si precipita ad avvisare la madre che accorre col cuore in gola e la salva dal solito gruppo di maschietti a cui non pare vero di potersi divertire con uno scherzo della natura.
Don Fausto lo viene a sapere subito e pretende che Alfredo espii il peccato. A nulla servono le giustificazioni della madre che suggerisce di relegare i fatti alla voce: bambinata, bambocciata, birbonata, birichinata.
Niente da fare. L’undicenne Alfredo dovrà stare inginocchiata davanti alla chiesa dall’alba al tramonto recitando una sfilza interminabile di preghiere.
Ma Alfredo, trascinato per un orecchio dal padre in chiesa per confessarsi, peggiora le cose: non solo si rifiuta di sottostare alla punizione ma di fronte al parroco si declina al femminile.
E così Alfredo diventa ufficialmente il mostro del paese. L’ultimo risaliva alla metà degli anni Trenta ma a lui ci avevano pensato il predecessore di don Fausto e il podestà che l’avevano spedito in Africa a redimersi, donando la vita come contributo alla conquista dell’impero.
Poi non ce n’erano più stati oppure si erano fatti furbi, sta di fatto che la vita di Alfredo si trasforma in un dramma. A scuola, all’oratorio, alle sagre ogni occasione è buona per renderlo oggetto di ogni capriccio punitivo e impunito perché con “quelli” tutto è permesso. Alfredo però dimostra di avere tempra e coraggio. Non si nasconde e a tutti ripete sfrontata: Mi chiamo Alfredo e sono una bella ragazzina. Un’anima in rivolta contro il mondo.

Tappeto musicale

Il padre devastato dalla vergogna beve, la madre cerca di proteggere quell’unico figlio che è venuto così e non c’è niente da fare perché così si nasce. Ma questo lo può capire solo una mamma che quel figlio lo ha partorito, cullato e amato. Quando Alfredo compie 16 anni, quella santa donna – appena saputo che in una riunione avvenuta in casa del sindaco alla presenza di Don Fausto, del medico condotto e del maresciallo dei carabinieri si era deciso di internare Alfredo per sottoporlo a una bella cura di elettroshock, l’unica in grado di guarirlo – organizza la sua fuga in città, dalla sorella che è diventata vedova da poco. La zia si dedica a far sbocciare la nipote. Alfredo finalmente è libera di essere se stessa, Milano è grande e nessuno bada troppo ai dettagli, impara a vestirsi, a truccarsi. Il primo bacio, il primo amore, il sesso. Alfredo diventa una bella, bellissima travestita ma a differenza di tutte le altre si rifiuta di cambiare nome. Porta i tacchi, i capelli lunghi fino alle spalle e il rossetto sulle belle labbra ma si ostina a chiamarsi Alfredo.
Ovviamente di trovare lavoro non se ne parla e d’altronde le travesta sono tutte destinate a battere. La zia l’affida a una professionista che abita un paio di palazzi più in là, che la sistema in un appartamentino discreto e ben frequentato del centro. Alfredo è davvero bella. Un bocconcino prelibato per uomini danarosi che abbandonano lo studio o l’ufficio per una mezz’oretta.