Ho acquistato L’altra scommessa, l’ultimo pamphlet di Antonio Pascale, dopo aver sentito l’autore intervenire in una puntata del podcast di Daniele Rielli. Non avevo mai letto un libro di Pascale prima e, per ciò che riguarda il pensiero di Blaise Pascal, se possibile va anche peggio: dire che conservo ricordi sbiaditi dal liceo sarebbe un pallido eufemismo. Incuriosito dal racconto “digitale” del libro, dal promettente sottotitolo (Pascal, indagine sul pessimismo) e dalla sua agilità, mi sono immerso in quel tipo di lettura smozzicata che ti concedono – non sempre – i tragitti sui mezzi pubblici. Ultimo titolo della collana «Passaparola» di Marsilio, L’altra scommessa è un simpatico personal essay sul pessimismo, scritto da un “ateo meridionale” in occasione dei quattrocento anni dalla nascita del filosofo francese.

Pascale scrive bene, con uno stile schietto e divagatorio il giusto, ed è capace di gestire le risorse del comico, registro non così comune nella saggistica “d’autore” italiana. L’occasione pascaliana mi sembra in realtà più un impulso, una molla per spingere la penna verso altri orizzonti, più che l’oggetto vero e proprio della trattazione, tutta condotta in un’atmosfera di felice e programmatica disorganicità.  Infatti, per apprezzare il libro non è necessario avere una conoscenza approfondita della filosofia di Pascal, ma, come è il mio caso, può bastare aver orecchiato sui banchi di scuola qualche frase su quella faccenda della scommessa intorno all’esistenza di Dio; e forse nemmeno quello, in realtà: forse l’unico prerequisito per seguire il discorso di Pascale è un po’ di curiosità.

Fra aneddoti biografici, aforismi suggestivi  e ammicchi teorici, Pascale definisce per gradi i contorni del suo pessimismo laico, una filosofia attiva che nulla ha a che fare con il nichilismo, a cui pure verrebbe naturale associarlo, e che si oppone invece all’ottimismo (venato, questo sì, di disperazione) delle migliaia di motivatori che infestano le home dei nostri social e gli scaffali delle librerie: «L’ottimismo ci porta a ignorare l’abissale distanza che passa tra le nostre aspettative e la realtà (della nostra condizione). Mentre il pessimismo e la disillusione sono perlomeno strumenti per misurare la distanza tra sogni e realtà» (47).

Al di là della qualità e della piacevolezza della scrittura, che pure mi sembra giusto sottolineare, ciò che più mi ha colpito di questo libretto è il suo essere (sintomaticamente?) allineato con le linee-guida teoriche di alcuni dei libri di divulgazione scientifica più in voga degli ultimi decenni. In generale, l’indagine sul pessimismo di Pascale mi pare più una riflessione tascabile sull’importanza delle cornici narrative in cui inseriamo gli eventi della nostra vita e che attribuiscono significato alle nostre esperienze e scelte.

In questo senso, senza mai che vengano esibiti a bella posta, si possono scorgere fra le righe le ricerche su bias ed euristiche di Daniel Kahneman (Thinking, Fast and Slow) e le teorie sull’“evoluzionismo narrativo”, se così possiamo chiamarlo, di studiosi come Jonathan Gottschall (The Storytelling Animal), i quali, peraltro, mi paiono naturalmente in sintonia con le ridescrizioni storico-narrative di Yuval Noah Harari, uno dei saggisti più trendy dell’ultimo quindicennio, non solo fra i lettori di letteratura-letteratura. Qui un campione del “narrativismo” di Pascale:

Abbiamo scommesso sulle storie perché sono un simulatore di volo, uno strumento utile per chiederci cosa ci può succedere se ci capita una determinata cosa, e fra l’altro in alcuni momenti narrativamente felici abbiamo ammesso di non poter controllare tutto, perché il Tempo e il Caos comandano eccome, altro che imperatori e dèi, è un attimo che ci cappottiamo (98).

Sono convinto che il fascino dell’evoluzionismo narrativo sia il suo essere una teoria ben poco teorica ma, a sua volta, dalla grande efficacia narrativa, cosa che, se rende il potenziale esplicativo dei pur piacevolissimi libri di  Gottschall abbastanza basso, fa invece buon gioco a un letterato “sgamato” come Pascale, che senza alcuna pretesa di esaustività si diverte a inserire nella sua trama ragionativa suggestive immagini “ancestrali”e riferimenti a miti fondativi come L’epopea di Gilgameš o l’Edipo re. In questo senso, la spola fra autobiografia e generalizzazione funziona molto bene, sgravando il libro da ogni pretesa teorica forte.

Gli interrogativi sollevati da Pascale sulla possibilità effettiva del libero arbitrio e sull’origine dei piccoli e grandi racconti che ci facciamo per giustificare il modo in cui costruiamo e diamo valore alle nostre esperienze mi hanno ricordato uno dei moniti più incisivi di This is Water di David Foster Wallace, nel quale l’autore ci ricorda che anche il più ateo fra noi si attacca a una qualche narrazione per alzarsi dal letto la mattina:

Because here’s something else that’s weird but true: in the day-to-day trenches of adult life, there is actually no such thing as atheism. There is no such thing as not worshipping. Everybody worships. The only choice we get is what to worship. And the compelling reason for maybe choosing some sort of god or spiritual-type thing to worship – be it JC or Allah, be it YHWH or the Wiccan Mother Goddess, or the Four Noble Truths, or some inviolable set of ethical principles – is that pretty much anything else you worship will eat you alive.

Pascale è ben attento a contrappesare nel suo saggio il rischio “panismo narrativo” delle teorie in stile Gottschall, che, postmodernamente, dànno troppo peso alle capacità trasformative delle storie, inserendo digressioni che richiamano chi legge alla brutalità elementare dei fattori materiali che hanno determinato il progresso umano degli ultimi secoli (l’essere passati, ad esempio, dal paese della fame di Camporesi alla cultura di Masterchef nel giro di pochissime generazioni). Negli ultimi capitoli del saggio, l’autore intelligentemente controbilancia il panismo narrativo delle prime pagine con una narrativa fatta di pane e pietre, che gli permette di toccare in extremis temi fin troppo pratici riguardanti il presente e il futuro prossimo dell’avventura umana su questo pianeta, come il riscaldamento climatico e la sovrappopolazione. La complessità del gomitolo di situazioni che ci troviamo a dover comprendere e gestire, come sottolinea anche Gottschall nel suo ultimo libro, pone una sfida decisiva alle narrazioni che come umanità abbiamo usato per arrivare fino a qui:

Inoltre, il pessimismo ci dice che le storie che abbiamo inventato finora rischiano il collasso: non sono sufficienti a raccontare un mondo complesso quanto il nostro, sono troppo convenzionali, limitate e provinciali. Si appoggiano su schemi noti, non spostano di un centimetro i nostri rodati e collassati modelli neuronali (120).

Eppure, nonostante tutto, le storie sembrano tutto ciò che l’uomo riesce ad opporre al Caos e al Tempo, che di continuo e in modo inesorabile potano le possibili biforcazioni dei nostri sentieri. La prospettiva di Pascale su questo fronte è ben riassumibile in quel geniale motto di Edward Wilson, citato spesso proprio dai divulgatori scientifici in stile TED: «The real problem of humanity is the following: We have Paleolithic emotions, medieval institutions and godlike technology. And it is terrifically dangerous, and it is now approaching a point of crisis overall».

Come si vede, L’altra scommessa è un libro certamente up to date… forse troppo up to date. Provo a spiegarmi meglio: se da un lato è sinceramente apprezzabile lo sforzo di aggiornamento di un autore come Pascale – uno sforzo che molti autori della sua generazione non compiono più –,  benissimo in grado di presentare al lettore le acquisizioni della più recente saggistica scientifica, dall’altro rischia di essere maggiore l’appeal del racconto-del-libro, la sua narrazione, che il libro stesso. Con ciò non voglio dire che il libro sia mal scritto o poco interessante, spero di aver sostenuto esattamente il contrario.

Tuttavia, e questo è un problema che non vale solo per il libro di Pascale, è che non sono del tutto certo di aver apprezzato il libro più del racconto fattone dall’autore stesso nel podcast di Rielli, dove la narrazione dialogata e a viva voce di L’altra scommessa rischia di rivaleggiare con i meriti, che pure ci sono e non sono pochi, della sua versione cartacea. L’inflessione e il tono di voce particolarissimo di Pascale attirano più o meno del suo scritto-parlato saggistico, ricco di incursioni vocali e di calibrati cambi di registro? Non so davvero rispondere a questa domanda, ma, in un’epoca dove esistono decine di app che riassumono i concetti chiave dei saggi più interessanti e numerosi reperti autocommentativi per ogni titolo pubblicato fra video, podcast e presentazioni registrate, mi sembra che il rischio che il racconto della letteratura si ingoi la letteratura, che la narrazione intorno ai libri si mangi i libri stessi – anche quelli belli – esista davvero, e valga la pena segnalarlo anche in una recensione occasionale al saggio di un autore certamente capace. Per fare la prova, però, comprate il libro e leggetelo, intanto. Magari è solo una storia che mi sto raccontando.


A. Pascale, L’altra scommessa. Pascal, indagine sul pessimismo, Venezia, Marsilio, 2023, 128 pp., € 12.