Mounia Meddour sa una cosa: tutto quello che facciamo è un atto politico. Ma Meddour non è una regista femminista, non si è mai definita tale. Nonostante questo, la sua dichiarazione arriva forte. E non potrebbe essere altrimenti, per una figlia degli Anni Settanta, che ha visto i suoi due paesi, Francia e Algeria, scontrarsi all’esterno e all’interno, tra retaggi coloniali, terrorismo e una guerra civile che paralizzò il paese tra il 1991 e il 2002. Meddour ha scelto di vivere in Algeria nonostante la doppia cittadinanza francese. Parla della sua casa con gioia ed entusiasmo, anche se, lo sa bene, la vita lì è tutt’altro che perfetta, anzi no, non è la parola giusta: appagante funziona meglio. La vita nell’Algeria di oggi, se sei una donna, non ti appaga. Meddour l’ha già raccontato con Non conosci Papicha (2019) – vincitore di due Premi César per Migliore Nuova Promessa Attoriale (alla protagonista Lyna Khoudri, che avete visto come rivoluzionaria in The French Dispatch di Wes Anderson) e Migliore Opera Prima – in cui un gruppo di studentesse rivendica il diritto alla propria libertà attraverso la moda e i colori. E oggi, il suo percorso continua con Houria (2022), una seconda storia di ribellione gentile, tutta al femminile, con una gran voglia di inseguire i propri sogni e prendersi il proprio posto nel mondo.

Foto di Etienne Rougery

Houria è la storia della giovane ragazza che dà il nome al film, Houria appunto, interpretata ancora una volta da Khoudri, e della sua crescita verso l’emancipazione. Il mezzo questa volta non sono i panni che ci mettiamo addosso, ma il modo in cui pieghiamo il nostro corpo nell’atto della danza. Infatti Houria è una ballerina di danza classica, talentuosa e con un futuro brillante davanti a sé. Quello che solo l’amica del cuore sa, però, è che Houria ha una doppia vita, e di notte si trasforma in un piccolo asso delle scommesse nella lotta tra montoni. Lo fa per portarsi a casa un gruzzoletto extra e comprare un’automobile per la madre, un giorno. Da quando il padre è stato ucciso dai terristi anni prima, quando Houria era solo una bambina, in famiglia sono solo loro due, e la ferita sanguina ancora. È proprio da questa crepa sul passato che giungerà la minaccia più pericolosa: quella che metterà Houria a rischio di morte, e che la porterà, inaspettatamente, a trovare la sua strada. A ballare da sola, come vorrebbe il citatissimo film di Bertolucci. E, attraverso l’espressione coreutica del corpo, a portare anche altre donne sulla strada della rinascita.

Di Houria, di cinema e di Algeria abbiamo parlato proprio con Meddour.

E.T. In molte interviste hai sottolineato come ti piaccia sempre lavorare a partire da “storie algerine”. Nel caso di Houria, da dove è giunta l’ispirazione?
M.M. Dopo Papicha, volevo continuare a esplorare la società algerina, e nello specifico la condizione delle donne che ne fanno parte. Voglio mostrare quanto sia complicato per loro emanciparsi e, in realtà, anche solo vivere in una società così rigida e patriarcale. Così per Houria ho creato tre situazioni di emancipazione, o liberazione: liberarsi dalle conseguenze di un incidente che la debilita fisicamente, liberarsi dall’influenza della madre che le dice come danzare [nel film, la madre di Houria è anche la sua insegnante di danza, ndr], liberarsi da una società che la vorrebbe nascosta e sottomessa. Il mezzo per questa liberazione è l’arte, in questo caso la danza.

Le storie di riscatto sono quelle che mi piacciono di più. Storie in cui un personaggio è stato vittima di eventi traumatici ma poi, dal profondo di sé, trova le risorse per reinventarsi e andare avanti, per trasformarsi. Vivere è come essere in lotta costante, anzi in guerra, e qui c’è anche un filo che lega le vite dei singoli a quella dell’Algeria in quanto nazione. In una guerra ci può essere un solo vincitore, e i miei personaggi fanno di tutto per esserlo, per sopravvivere. In questo contesto, i personaggi femminili sono quelli che mi interessa di più esplorare. Specialmente se sono determinati, coraggiosi, potenti. Sono eroine che ci ispirano, e che ci fanno venire voglia di seguire le loro avventure.

Parliamo del valore della danza in Houria. All’inizio del film, prima dell’incidente della protagonista, la vediamo provare ossessivamente alcune parti del Lago dei Cigni. Non possiamo far finta che non voglia dire nulla, perché è un balletto che è stato utilizzato più volte come controparte di una sfida esistenziale per chi lo esegue, pensiamo a Il Cigno Nero di Aronofksy. Quindi il riferimento iniziale a questo balletto fa pensare che il conflitto di Houria possa essere interno. Invece, poco dopo, la questione cambia completamente, e la minaccia arriva dall’esterno.
È vero, all’inizio Houria lavora sul Lago dei Cigni, un classico che si insegna anche nelle scuole di danza algerine. Si parla di un ballo “in corsetto”, rigido, pieno di regole da seguire. Ma subito dopo un evento traumatico scombinerà la situazione, e Houria potrà aprire la propria strada verso uno stile di interpretazione più naturale e spontaneo, più contemporaneo. È anche la strada che userà per staccarsi dall’influenza di sua madre, e anche questo vuol dire essere emancipati. Quindi questa contrapposizione è il primo segno di qualcosa che si sta mettendo in moto, nella trama del film ma soprattutto dentro Houria.

Molto spesso la danza, quando è inserita in un film, è una bandierina che dice “questa è una storia di formazione”. Mi viene in mente And Then We Danced di Levan Atkin, un’opera in cui il balletto e l’atto coreutico svolgono un ruolo determinante per permettere ai protagonisti di capire chi sono. Questo succede anche in Houria. Secondo te, che cos’è della danza che la rende un mezzo espressivo così formidabile?
In Algeria il corpo delle donne è un tabù, e la loro possibilità di movimento nello spazio pubblico è estremamente limitata. Anche la danza, per esempio, può essere praticata solo in spazi privati. Perciò, una donna che danza è una donna potente, che vuole esprimersi in libertà. In una società così stretta e patriarcale, avere la possibilità di danzare è un enorme passo avanti, quasi una ribellione. Ma la strada è ancora lunga.

Mi pare che, in Houria, questa dimensione della danza come vettore di libertà e cambiamento valga sia per il singolo che per tutta la nazione, tutta l’Algeria.
L’Algeria ha sofferto parecchi gioghi: il colonialismo, una guerra civile durata più di dieci anni, e poi il Covid-19, che ha gettato il paese in una profonda crisi economica e sociale. Quindi le nuove generazioni di oggi si trovano a dover partire da zero, dal fondo. Sono creativi, hanno sogni, energia, sono spiritosi, e soprattutto hanno tanta voglia di lottare. È vero, il percorso di Houria è una metafora per quello della “nuova Algeria” tutta. E devo dire che sono ottimista per il futuro.

Con Houria hai scritto una storia al femminile, nel senso che le donne sono le uniche che cercano di cambiare le cose, mentre gli uomini si mettono sempre di traverso. Per di più, l’unico uomo positivo nell’equazione, il padre di Houria, è stato assassinato da altri uomini. Pensi che il wind of change algerino debba cominciare dalle donne?
Sì, penso che il cambiamento partirà dalle donne. Sono loro che dovranno essere agenti di cambiamento ed evoluzione. Non è facile. Serviranno coraggio e supporto, il che vuol dire, innanzitutto, una buona educazione, anche in ambito finanziario, per capire come essere indipendenti. Molto spesso questo sapere si tramanda da donna a donna, e infatti non è una caso che nel film si crei, a un certo punto, un gruppo di donne. La dimensione comunitaria è molto importante in questo universo.

Foto di Etienne Rougery

La storia di Houria è costellata da imprevisti e tragedie, eppure i personaggi rimangono sempre positivi, pieni di gioia e voglia di vivere. Non si fanno mai abbattere.
Questo è un tratto distintivo della società algerina, piena di dolore e contraddizioni ma mai abituata ad arrendersi alle avversità. La speranza non se ne va, la voglia di novità è tanta, e positiva. Questo è quello che percepisco dalle vite dei giovani.

Dopo due film insieme, il tuo rapporto artistico con Lyna Khoudri è ormai consolidato. Anche la sua carriera lo è. Com’è stato lavorare insieme a distanza di qualche anno?
Lyna è un’attrice straordinaria, e prima di girare ci prepariamo a lungo. Le sue espressioni sono potenti, ha una mimica facciale clamorosa. È un mix perfetto di forza e fragilità. Per questo mi piace mettere i suoi personaggi in situazioni estreme, dove la rabbia e la sofferenza si mischiano. Con le sua capacità, questi momenti assumono un portato poetico e politico enorme.

Che cosa possiamo aspettarci da te in futuro?
Sto scrivendo il mio nuovo film. È top secret.