La Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro fa, per tradizione, genere a parte. Lo dichiara il programma al primo sguardo: accostamenti anarchici di formati lunghi e brevi, di protagonisti e rassegne, di generi, di età e carriere. Basti pensare che il concorso ufficiale della mostra vede la partecipazione di registi da tutto il mondo, con lavori che spaziano dallo sperimentale al documentaristico, fino ad arrivare alla finzione più classica. E poi, a contorno, un ricco programma per famiglie (Pesaro Film Festival Circus), una sezione video musicali (Vedomusica), un focus dedicato a un grande maestro del cinema (quest’anno, Giuseppe Tornatore), una ricca serie di anteprime mondiali, masterclass tematiche, percorsi artistici dedicati, ospiti di primo piano (tra cui, quest’anno, Dante Ferretti e Carlo Verdone), eventi musicali collaterali per unire cinema e suono (non è forse Pesaro la città della musica?) e, last but not least, l’occasione di rivedere alcuni grandi classici del cinema italiano e internazionale – e infatti il film d’apertura della Mostra è stato il Flashdance di Adrian Lyne a quarant’anni dall’uscita. A condire, due sezioni fuori concorso: Prospettiva Argentina, per portare al pubblico dieci cortometraggi argentini degli ultimi dieci anni, girati in pellicola, e Corti in Mostra, dedicata interamente agli animatori italiani di oggi e ai loro cortometraggi; chiude un omaggio al cineasta Vittorio De Seta nel centenario della nascita.

Quest’anno siamo stati anche noi nella città di Rossini e del bel canto, che, per qualche giorno, diventa una piccola capitale del cinema. E abbiamo chiacchierato con alcuni dei protagonisti di questa 59° edizione.

Si comincia con il concorso ufficiale (“Concorso Pesaro Nuovo Cinema”), che contava 16 partecipanti da tutto il mondo. Gli stili sono eclettici, i registi giovani o giovanissimi. C’è per esempio Sensitivity in Low Light Conditions del danese Stefan Kruse Jørgensen, al suo quinto film dopo un percorso di studi nella grafica. Il suo approccio al cinema è dichiaratamente sperimentale: non fa dunque sorpresa che il corto che porta a Pesaro consti di una singola inquadratura fissa, per 21’, su un volatile intento a nutrirsi di una piccola preda mentre la luce del giorno scavalla lentamente l’orizzonte. Tempo naturale e tempo della visione coincidono perfettamente, sullo sfondo compaiono timide le voci di alcune presenze umane, intente a commentare sul loro mondo organizzato mentre la natura scorre intoccata. Oppure Gewesen Sein Wird (“Sarò stato”), documentario sperimentale della tedesca Sasha Pirker che indaga gli spazi dell’abitazione di un bizzarro personaggio viennese, Heinz Frank, a seguito della sua morte. Nel farsi, mette in risalto l’enorme vuoto che 30 metri quadri arrivano a contenere quando la presenza umana è levata dall’equazione.

La direzione del reale-sperimentale è quella scelta anche dal coreano Park Kyujae, che prende ispirazione da Le onde di Virginia Woolf per comporre una riflessione sulla visione e sui riflussi della coscienza umana. Il risultato è un gioco di luce e luci realizzato in pellicola, Bleared Eyes Of Blue Glass, spiccatamente “europeo”. Ma questa risulta una scelta naturale per Park, che si dichiara «davvero poco interessato al cinema coreano» nelle sue componenti più narrative. Pesaro è la sua prima volta in Europa, e chissà che non decida di proseguire le sue ricerche da queste parti.

Intanto, dalle nostre parti arriva Francesco Zanatta, studente magistrale di arte multimediale e contemporanea allo IUAV di Venezia, che a Pesaro porta il suo primo film mai presentato a un festival, Viva la notte. Pellicola che nasce dall’amore profondo di Zanatta per il found footage e la cultura della discoteca italiana tutta Anni ’80 e ’90 – quella legata alle grandi serate al Cocoricò, alla Capannina, al Twiga, per intenderci. Il cortometraggio, di circa 13’, è infatti una miscellanea di filmati amatoriali girati in varie discoteche d’Italia e caricati su YouTube. Zanatta li ha presi, li ha assemblati, e li ha lavorati per fondere colore, luce e movimento, in un flusso ipnotico scandito da un battito che ricorda quello di un cuore. «Volevo fare una cosa che stesse a metà tra il cinema e la videoarte, l’installazione più da esposizione. È un approccio che mi è molto caro, e su cui mi sto concentrando nei miei studi. Il cinema è sempre stato una passione, e mi piace l’idea di creare qualcosa che possa funzionare sia in una sala di proiezione che nel contesto di un’esposizione». Nel Q&A subito dopo la proiezione, molti sono gli schemi interpretativi proposti dal pubblico per svincolarsi dalla regola d’astrattismo contenuta in Viva la notte. «Sapere che cosa pensano gli spettatori è sempre interessante, ti rendi conto di quanto ciò che crei sia fertile oltre il tuo operato. Io, per esempio, mi sono limitato a montare gli spezzoni in ordine cronologico, e credo si possa apprezzare nella differenza di grana dell’immagine. Alcuni di quei video poi erano stati ricaricati più volte su YouTube da vari utenti, perdendo progressivamente qualità». Ecco: e il copyright? «Ho messo un piccolo disclaimer alla fine del film e mi son detto: se li hanno caricati su YouTube senza specifiche licenze, allora sono di tutti. Questo per me è molto importante, dico l’aspetto comunitario della rete. Alla fine, poi, non ci sto guadagnando».

Proseguendo nel programma del festival incontriamo invece, fuori dal concorso ufficiale, Battima, una produzione Indigo in collaborazione con l’iniziativa “Una storia per Emergency” di Emergency in collaborazione con Rai Cinema e Rai per il Sociale, giunta alla terza edizione. Battima (termine arcaico per dire bagnasciuga) è la storia di Kimutai (Seck Abdoulaye) e di come una qualsiasi giornata in spiaggia possa trasformarsi in un incubo quando intolleranza, sospetto e razzismo hanno la meglio nell’animo delle persone. Battima è diretto da Federico Demattè, al suo secondo cortometraggio dopo Inchei (2021), che già si misurava con la rappresentazione degli “ultimi” della società raccontando la storia di Armando, un adolescente romaní in procinto di lasciare la periferia milanese e la baraccopoli in cui vive con la madre e i fratelli per trasferirsi in Germania insieme al compagno della madre. Con Inchei, Demattè ha vinto alla SIC – Settimana Internazionale della Critica della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia del 2021 sia per la miglior regia che per il miglior cortometraggio, e ora, con Battima, infila il secondo tassello di un percorso di crescita che lo vede già abile regista di video musicali e commercial (grazie alla formazione in Naba, a Milano). Osserviamo con interesse e attenzione per il futuro.

Intanto il programma di Pesaro Film Festival incalza, a ritmo spalancato. Forse è per la presenza in programma di Cocoricò Tapes, operazione nostalgia di Francesco Tavella sugli anni d’oro del Cocoricò e delle sue mitologie, prodotto da La Furia Film e Sunset Produzioni. Tra testimonianze d’autore (compresa quella del Principe Maurice) e filmati di repertorio con piccole interviste d’antan, Cocoricò Tapes è un atto d’amore verso un’epoca decisamente tramontata, e una preghiera che forse un altro periodo d’oro possa sorgere.

Infine, un’anteprima mondiale, e un grande ritorno sulle scene pesaresi. Si tratta di Bellezza, addio, il secondo film della coppia artistica Carmen Giardina-Massimiliano Palmese, che tornano al documentario dopo il grande successo de Il caso Braibanti (2020), dedicato all’Oscar Wilde d’Italia (per processo pubblico e politico), Aldo Braibanti, accusato di aver plagiato un giovane amante. Ricorda Giardina con emozione: «Quando abbiamo proiettato Braibanti a Pesaro, anche lì in prima mondiale, non ci saremmo mai aspettati un ritorno di pubblico così clamoroso. La folla ha applaudito all’unisono a lungo, ed è stata un’emozione indimenticabile. A distanza di anni conservo ancora il video con me sul telefono». Formula che vince non cambia?

Sembrerebbe di sì, perché Bellezza, addio replica l’operazione di Braibanti ma sulla figura del poeta Dario Bellezza (1944-1996), “ultimo dei poeti”, “Rimbaud di Monteverde”, caduto in disgrazia mediatica alla fine della sua vita per essersi sottoposto a metodi di cura alternativi a base di cialtroneria per contrastare gli effetti dell’infezione da HIV che aveva contratto. Bellezza fu vittima di un caso di outing, ovvero la rivelazione di dati sensibili senza il suo esplicito consenso (e in questo opposto al coming out). In questo caso si trattava della malattia-stigma degli ’80 e ’90, in quanto, della sua sessualità, Bellezza non aveva mai fatto mistero. Anzi: le sue Lettere da Sodoma raccontavano proprio della vita vissuta tra un amante e l’altro nella Roma di metà secolo scorso, quando le strade erano ancora occupate da una certa temperie di fertilità culturale. «Oggi, i rapporti che aveva Bellezza con Elsa Morante, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini o Anna Maria Ortese, per dirne alcuni, sarebbero impossibili. Quell’idea di cultura, quell’idea di letteratura che vedeva l’essere autori come missione e passione è morta con le loro generazioni. Oggi la cultura ragiona per circolini, non per comunità. Lo leggiamo nei carteggi e nelle recensioni tra di loro: Pasolini stroncò più volte la Morante nonostante fossero amici intimi, mentre lo stesso Bellezza sembra abbia provato un amore platonico, contrastato, per figure come quella della Morante, entrando continuamente in conflitto personale».

Bellezza, addio presenta dunque questi anni di crepuscolo, che coincidono, abbastanza curiosamente, con la vita adulta del suo protagonista e con il diffondersi dell’AIDS. «Tra i Sessanta e Settanta sembrava di poter avere il mondo, che non ci fossero limiti, anche nella sfera privata. Poi, bam!, gli Anni Ottanta ci hanno detto tutto il contrario. È stato anche il momento in cui la società di massa contemporanea ha cominciato a mettere le sue basi, modificando radicalmente il ruolo dei produttori di cultura. Per noi fare questo film ha significato anche riflettere su questa cesura. Per questo abbiamo voluto inserire alcuni filmati di repertorio dal Festival Internazionale dei poeti, tenutosi tra il 28 e il 30 giugno 1979 sulla spiaggia libera di Castelporziano. Per molti tra coloro che lo avevano voluto e organizzato tra cui Bellezza, quel momento fu una doccia fredda: i poeti ascoltati erano solo quelli internazionali, come Allen Ginsberg, e agli altri si parlava sopra. O peggio: avevano detto che ci sarebbe stata Patti Smith per attirare pubblico, e i ragazzi, quando hanno capito che non era vero, giù di insulti. Oppure c’è questa immagine di Maria Luisa Spaziani intenta a leggere e il pubblico che le urla “nuda, nuda”». Più di tutto, però, Bellezza, addio si inserisce nello stesso filone che era stato ispiratore del film su Braibanti: la volontà di fare memoria, di porsi come testimoni, creando un prodotto di larga fruibilità e dal ritmo pop, per invitare alla scoperta e accendere la curiosità dello spettatore.

Molti i partecipanti a questa nuova, ben riuscita, prova di Giardina e Palmese: Nichi Vendola, Barbara Alberti, chi Bellezza conobbe personalmente o intercettò obliquamente negli scritti, fino al collezionista Giuseppe Garrera, che acquistò all’asta per (purtroppo) pochi soldi l’intero archivio di Bellezza. Fondamentali i suoi materiali, alcuni completamente inediti, per addentrarsi più a fondo nella personalità dell’uomo oltre la penna. Visione consigliata.

Terminato questo assaggio di Pesaro Film Festival siamo pronti a darvi, e darci, appuntamento all’anno prossimo, quando la città sarà Capitale Italiana della Cultura e compirà 60 anni. Si preannunciano portate appetitose (no, non parliamo della pizza Rossini). Ma prima di salutarci, una debita lista di vincitori.

Per il Concorso Pesaro Nuovo Cinema, la Giuria composta da Rä Di Martino, Pablo Marín e Francesca Mazzoleni ha premiato Broken View di Hannes Verhoustraete, assegnando una menzione speciale a Gewesen Sein Wird di Sasha Pirker e a Pruebas di Ardélia Istarú. La Giuria del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, composta da Alessandro Cuk, Francesco Grieco e Chiara Nicoletti ha assegnato invece una menzione speciale a The Apocalyptic is the Mother of All Christian Theology di Jim Finn. La Giuria Giovani, composta da una selezione di studenti di varie università italiane, ha decretato vincitore Argileak di Patxi Burillo, assegnando due menzioni speciali a Broken View e Sensitivity in Low Light Conditions. In chiusura, tanti complimenti al “nostro” baleniere Pier Giovanni Adamo, che si è classificato terzo alla quinta edizione del Premio Lino Miccichè per la critica cinematografica con un pezzo uscito su queste pagine: Dentro “La maman et la putain”. Ora è davvero tutto.