Il giornalista culturale e scrittore parmigiano Davide Barilli ha raccolto nel volume #altrepagine le risposte – uscite per oltre un anno nell’omonima rubrica sulla “Gazzetta di Parma” – di 60 scrittori italiani di varia vocazione a un incisivo e stimolante questionario sulla loro esperienza di lettori. In un paese di deboli e scarsi lettori e pure, al contempo, di aspiranti autori dai cassetti (o dagli hard disk) ingombri di capi d’opera incompresi, non fa mai male anche sul piano meramente ‘didattico’ ricordarsi che uno scrittore, di qualunque genere, è anzitutto un lettore. Barilli ci fa toccare con mano questa verità.

[Chi lavora nel settore culturale conoscerà il flagello rappresentato dai profili Facebook del genere “Caio Sempronio Scrittore”. Tipicamente, due secondi dopo aver chiesto l’amicizia, il soggetto in questione vi contatterà in privato per chiedere di metter like alla sua pagina, o di recensire la sua ultima creatura. Ecco, la retorica del Lettore Forte – che spesso è una lettrice – sa suonare altrettanto stucchevole di quella dello Scrittore Presso Sé Stesso, e per carità è vero che legger libri in sé non rende persone migliori e che anche il Mein Kampf era un libro (è anche vero, però, che il suo autore ne aveva letti pochi e pessimi, e in genere preferiva bruciarli); ma una petizione per meno profili “Caio Sempronio Scrittore” e più Caî Sempronî lettori io la firmerei senza paura di risultare cringe.]

Tra i pregi del volume, la sua varietà e inclusività (parlano narratori, poeti, giornalisti, critici, ma anche, ad esempio, un fumettista come Leo Ortolani) e la sua natura di contenitore neutro: la ‘britannica’ sobrietà delle domande (la rubrica s’ispira dichiaratamente a una, storica, del “Guardian”) si rispecchia in quella della presentazione, in cui a parte un’asciutta postfazione curatoriale manca volutamente qualsiasi chiosa o rielaborazione critica. Uno “strumento asettico”, dunque, una raccolta di materiale su cui il lettore può liberamente formare le proprie riflessioni. Una “mappatura”, sì, ma diversa da tante altre recenti e ambiziose mappe in cui il territorio sembra quasi sparire sotto il peso delle teorie cartografiche.

Coerentemente con lo spirito dell’operazione, resistiamo quindi in questa nota alla tentazione di prender spunto dal libro di Barilli per erigere grandi costruzioni teoriche o redigere pedantesche statistiche. Offriamo piuttosto qualche annotazione sparsa frutto di scorribande fra le pagine: si tratta d’altronde di un volume che si presta alla consultazione disordinata, golosa e capricciosa, più che alla lettura cover to cover.

Una menzione, a proposito di geografia, va al taglio obliquamente localdel volume: gl’intervistati sono in buona parte parmigiani per nascita o per carriera, in alcuni casi – ma non necessariamente – di fama nazionale (dal suddetto Ortolani a Lucarelli a Nori); diversi sono comunque, a più largo raggio, emiliani (dal reggiano Cavazzoni ai modenesi Cornia, Siti, Bertoni…); ma non mancano nomi più o meno celebri della cultura nazionale tutta. Si può quindi respirare obliquamente, per chi sa coglierla, l’atmosfera della città ducale, ma senza la costrizione di un programmatico o caricaturale regionalismo.

Inclusività: la selezione non si presenta come un campione statistico costruito scientificamente, ma senz’altro riflette in qualche misura l’attuale ecologia del mondo letterario, riservando la parte del leone ai narratori (sezione “Voci”: 46 intervistati), mentre generi pur nobili come la poesia e la critica si ritrovano a condividere la sezione “Altre voci” (14 intervistati) accanto a giornalismo, fumetto, saggismo accademico. La ripartizione d’altronde non può che essere in qualche misura arbitraria: un Matteo Marchesini, in egual misura attivo come narratore critico e poeta, è inserito fra i primi, e chissà se un importante critico accademico e poeta come Alberto Bertoni sta nella seconda sezione in virtù dell’una o dell’altra qualifica. Ma complessivamente la sproporzione fra le due sezioni fotografa bene una società in cui ‘scrittore’ è tendenzialmente sinonimo di romanziere. Lo stesso che per la ripartizione fra generi-genres vale per quella, similmente asimmetrica, fra generi-genders. Le autrici donne sono 15, precisamente un quarto del totale: riflesso della distribuzione ancora sbilanciata del panorama editoriale nostrano, certo non da imputare al curatore.

Certi pattern ricorrenti emergono dalle risposte. Interessanti soprattutto le due domande più scomode, insidiosamente incuneate nel centro del questionario: «C’è un libro che non è riuscito a finire?» e «Il libro che ammette di non aver letto?». Dopo aver avuto l’opportunità di sdebitarsi e di ‘collocarsi’ culturalmente parlando dei propri modelli positivi (il libro che mi ha cambiato la vita, quello che avrei voluto scrivere, quello che mi ha più influenzato…), l’autore rischia di perdere la faccia confessando le proprie idiosincrasie o mancanze… Può quindi essere di conforto al lettore comune (ma anche ai colleghi degl’intervistati, penso) verificare quanti capolavori della Weltliteratur giacciano intonsi o abbandonati a metà sulle scrivanie di tanti professionisti della cultura. Com’è prevedibile, il record dell’inaccessibilità e dei tentativi falliti spetta alla formidabile triade modernista Joyce – Proust – Musil, mentre nell’Ottocento russo i nostri letterati mostrano più difficoltà con Tolstoj che con Dostoevskij, anche se c’è chi ammette in generale l’effetto repulsivo dell’esotismo di patronimici e copechi. Né stupisce rilevare la distanza che il tempo ha ormai scavata fra noi e i titani dell’età rinascimentale: c’è il sospetto che per un non specialista sia effettivamente arduo affrontare la lettura integrale di Rabelais o Cervantes, per non parlare di Camões. Ma ce n’è anche per tanti classici moderni, da Manzoni a Thomas Mann, da Hugo a Gadda. E, personalmente, consola scoprire che in diversi hanno gettato la spugna di fronte alle vertiginose cattedrali postmoderne di Thomas Pynchon e David Foster Wallace. Insomma, una serie di riscontri utili non solo per riflettere sulle dinamiche dell’alterna fortuna delle opere, ma anche – si spera – per demistificare una certa idea terroristica delle Grandi Letture Obbligatorie che più o meno tutti abbiamo assimilato, magari inconsciamente, dai nostri studi. E non è bello imbattersi nella felice sorpresa di uno Stendhal o un Hugo scoperti in tarda età?

L’esplorazione degli usi e costumi dello scrittore-lettore induce a normalizzare anche altri comportamenti non necessariamente irreprensibili: leggere più libri contemporaneamente, impilati sul comodino o sparsi per la casa, o maltrattarli a suon di orecchie e sottolineature, sono a quanto pare non solo ‘diritti del lettore’ di pennachiana memoria, ma prassi diffusa per molti che di libri vivono. D’altronde, dalle interviste emerge anche una prevalente ritrosia verso i lettori di ­e-book: il contatto materiale e sensuale col libro cartaceo è ancora reputato da molti come fondamentale. Il vitale disordine della lettura non è, poi, privo di relazioni con la scarsa digeribilità di tanti classici-mattone: c’è chi osserva che non a caso il Pasticciaccio o il Chisciotte si prestano più a una lettura ‘a pezzi’ che non a una sequenziale.

Se finora ho sottolineato tendenze diffuse, resterebbe tanto da dire sulle preziose o curiose sbirciate nei laboratori individuali. Si vede, così, che in realtà il leggere ‘da scrittori’ non è sempre uguale al leggere ‘da lettori’. Ad esempio, non sorprende che un insegnante di scrittura creativa come Luca Ricci e un veterano dell’editoria e scaltrito tecnico della narrazione come Giulio Mozzi affrontino i libri come meccanismi da decifrare («non finisco la maggior parte dei libri che leggo […] interrompo quando penso di aver capito come funzionano»; «Spesso smetto di leggere i romanzi a una ventina di pagine dalla fine, quando vedo che il narratore comincia a fare i preparativi per andarsene […] Da lì in poi tutto è prevedibile»). Ma lo stesso Mozzi ammette che l’ultimo libro a farlo piangere è stato L’anno dei dodici inverni di Tullio Avoledo (confermo); per Walter Siti, Sogno di Pascoli (e non sarebbe una bella soddisfazione postuma, per il poeta spesso ridotto a stereotipo lacrimevole, vedere che le sue ‘macchinette per lacrime’ funzionano ancora presso i meno ingenui dei fruitori?). E, per passare dal tragico al comico (e ritorno), gli estimatori di Gene Gnocchi non si stupiranno, in fondo, di saperlo lettore di Larkin, Benn, Čechov… ma, in definitiva, ogni amante della lett(erat)ura si potrà ricavare fra queste pagine altre il proprio percorso.


Davide Barilli, #altrepagine. Le letture di chi scrive, Oligo, Mantova, 2021, 358 pp., €19,00.