L’origine di questo racconto risiede nella necessità di capire alcuni fatti e alcune dinamiche che hanno dato forma all’amalgama complesso, al mosaico di immagini, di ricordi e di emozioni che respira con me, ricorda con me, interagisce con gli altri e si rifugia nella penna come altri si rifugiano nell’alcol o nel gioco (p. 11).

Pubblicato per la prima volta in traduzione nel 2014 da Einaudi e riedito nel 2021 per La Nuova Frontiera, Il corpo in cui sono nata è il romanzo con il quale Guadalupe Nettel è divenuta nota al pubblico italiano. La Nuova Frontiera ha precedentemente pubblicato anche Bestiario sentimentale (2018), Petali e altri racconti scomodi (2019) e La figlia unica (2020), per poi dedicarsi a una delle opere più rappresentative della produzione dell’autrice messicana.

Ancora una volta, il tocco delicato di Guadalupe Nettel plasma una narrazione capace di sondare l’oscura materia del sentire umano senza forzature retoriche o letture banalizzanti. Il corpo in cui sono nata è un romanzo esplorativo attraverso il quale una narratrice interna racconta, reinterpretandoli, la propria infanzia e la propria adolescenza e i dolori che le hanno pervase. La narrazione si presenta come un romanzo di formazione in forma di diario clinico, nel quale si svolge il monologo autoanalitico che la voce narrante rivolge alla dottoressa Sazlavski, nome che subito richiama alla mente del lettore italiano il più noto dottor S. sveviano.

In questi termini si origina il racconto dell’infanzia di una bambina nata a Città del Messico negli anni Settanta, per poi svilupparsi lungo le direttrici di una reinterpretazione dei traumi infantili condotta nella speranza di risolvere i disagi interiori che questi hanno provocato nella bambina divenuta adulta. Così, la lettura che la narratrice fa della propria esistenza opera sui disagi psichici una riconduzione all’origine che si giustifica sulla base di una particolare idea dell’evoluzione dell’individuo: questa viene intesa come sviluppo del vissuto traumatico, che prolifera nella coscienza influenzandone irrimediabilmente la crescita e determinando l’identità fisica ed emotiva dell’individuo. Come la presenza di un «piccolo neo» sulla cornea destra determina l’insorgere di una cataratta che riduce drasticamente le capacità visive della protagonista, così le sofferenze che questa e le altre condizioni personali e contestuali originarie con cui la bambina deve fare i conti influiscono incisivamente sul corso della sua vita.

Simili assunti sembrano proposti a livello più ampio nell’interpretazione dell’evoluzione delle generazioni, pensata come processo di sviluppo nel senso della risposta identica oppure oppositiva ai traumi trasmessi dalla famiglia d’origine, dalla generazione precedente, dal contesto storico e culturale nel quale gli individui della nuova generazione sono cresciuti. A quest’idea si lega una certa propensione a dare del passato un’immagine di miniatura del futuro che lo seguirà. Perciò, secondariamente, il romanzo finisce per essere anche un affresco di un preciso spaccato storico e sociale, della classe benestante e urbanizzata di Città del Messico negli anni Settanta, filtrato però dal punto di vista infantile di una bambina, figlia di quella classe e perciò principale vittima degli errori della sua mentalità.

L’infanzia della protagonista vissuta in questo contesto è raccontata secondo una progressione tendenzialmente lineare e ordinata cronologicamente, ma con una scansione interna fortemente episodica. La divisione in capitoli riproduce la sequenza di periodi biografici molto diversi, distinti per contesto geografico e per le impronte lasciate dagli eventi e dagli incontri rispettivamente più significativi. Il corso della narrazione, a partire dal primo capitolo, si apre nel segno della difformità fisica, perciò il filtro principale tramite il quale l’intera narrazione viene condotta rimane quello dello stigma dell’alterità. Soprattutto da questa diversità originaria deriva una rappresentazione dell’infanzia come luogo di sofferenza, segnata dal senso di oppressione e di ingiustizia che si cronicizza nella coscienza della protagonista. Perciò, le tappe che la narratrice sceglie di rappresentare per dare conto della propria biografia coincidono per la maggior parte con momenti in qualche modo traumatici o dolorosi. Tuttavia, la resa di umiliazioni e oltraggi si alleggerisce grazie a un uso sottile e calibrato di un’ironia tipicamente latinoamericana, che garantisce alla scrittura un respiro leggero che evita ogni possibile incupimento.

Il gusto per la metafora distingue lo stile narrativo e in particolare la rappresentazione che la narratrice dà di se stessa più giovane, determinando effetti estetici di forte icasticità. In questo senso, l’analogia tra la figura della protagonista e l’immagine dello scarafaggio caratterizza emblematicamente l’idea che il lettore si fa della bambina e il rapporto empatico che instaura con quest’ultima. Il richiamo a Gregor Samsa non è soltanto alluso ma esplicitato, tuttavia lo spunto della metamorfosi animale non si esaurisce nella mera citazione kafkiana, ma si estende ad altri esseri, in particolare al dromedario e al trilobite, assurgendo a filtro d’interpretazione dell’intera vicenda personale, da un lato, e a espediente rappresentativo della condizione della protagonista, dall’altro. Inoltre, il rapporto con il mondo animale, in particolare con i suoi esseri più denigrati, come gli insetti, caratterizza la protagonista nella sua stessa interiorità, manifestandosi in primo luogo nei moderati episodi psicotici che la bambina si trova a vivere. Con questi esseri la protagonista condivide innanzitutto la capacità adattiva che le permette di sopravvivere negli ambienti più ostili, ostentando la propria diversità o mascherandola fino a mimetizzarsi a seconda dei casi. Tutta l’infanzia della protagonista si gioca infatti nella divisione fra emisferi differenti e fra poli di dicotomie insolubili: della vista e della cecità, della madre e del padre, dei genitori e della nonna, del Messico e della Francia, della sincerità e della menzogna. La successione delle tappe si scandisce appunto secondo l’alternarsi di mondi differenti, nonché secondo la rappresentazione di personaggi con i quali gli incontri si sono rivelati più influenti sullo sviluppo della protagonista. A questo si lega un insistito gusto per il ritratto, che dedica ai personaggi descrizioni iconiche e puntuali, quasi sempre introdotte da una stessa formula anaforica: «Si chiamava Ximena», «Si chiamava Blaise», «Si chiamava Camila». Questi sono i personaggi con i quali si stringono le amicizie più significative, in virtù delle quali le figure assumono un’importanza che le avvicina a quelle dei genitori e della nonna, personaggi che segnano più traumaticamente la serenità della protagonista.

Così caratterizzata, la narrazione, pur mantenendo una forte coerenza interna e un’omogeneità stilistica costante, riesce a toccare una varietà tematica che garantisce la presa sul lettore. In particolare, il tema della scrittura e del suo valore, insieme interpretativo e rivendicativo, assume un’importanza fondamentale: l’atto dello scrivere dichiara di continuo la propria urgenza. Lo sviluppo della protagonista si caratterizza nel segno della propensione alla lettura e alla scrittura, sfruttate come mezzo per rifugiarsi dal mondo esterno e per rivalersi delle ingiustizie subite.

Altro tema principe è quello del corpo, centrale per la comprensione dell’intera evoluzione dell’interiorità e dell’esteriorità della protagonista, in particolare per comprendere l’inizio e la conclusione della sua parabola. Il passaggio alla vita adulta per la protagonista coincide infatti con la riappropriazione del proprio corpo e con la riappacificazione con esso, in seguito al lungo attraversamento del periodo dell’inconsapevolezza, ovvero dell’infanzia, e di quello della scoperta, ovvero dell’adolescenza. In questo contesto, la rappresentazione dell’esplorazione sessuale che la protagonista compie assume un’importanza fondamentale all’interno della rappresentazione del suo sviluppo. Tale esplorazione prende piede dalla prima infanzia, durante la quale la sessualità rimane per la bambina un mistero insondato, nonostante l’esibita trasparenza presupposta dall’educazione liberale dei genitori; prosegue poi lungo tutta l’adolescenza, permettendo alla protagonista di compiere dei passi significativi verso la consapevolezza del proprio corpo e più in generale della propria identità. Proprio nel solco della corporeità, infine, la protagonista giunge alla pacificazione con se stessa, consumata nel finale del romanzo, che può così concludersi circolarmente sul tema della difformità fisica, finalmente risolta in un’accettazione definitiva.

Si giunge finalmente all’ultimo capitolo, quello dedicato alla riemersione: dalla narrazione memoriale, da un lato, e dal disturbo di cui soffre la narratrice, esplicitato solo nel finale, dall’altro. Si tratta di un blocco della scrittrice che le impedisce di dedicarsi alla sua attività d’elezione e che sembra essere legato a una certa forma di depersonalizzazione, sviluppata come risposta alla sofferenza e ai traumi affettivi subiti da bambina. Poco importa se le vicende che li hanno causati possano dirsi reali o se, come suggerisce la stessa narratrice, possano essere stati reinterpretati dal lavorio della sua memoria, perché in ogni caso è così che lei le ha vissute e interiorizzate. Infine la narratrice riesce a riconnettersi con se stessa proprio grazie all’operazione di reinterpretazione del proprio passato, ovvero grazie alla decisione di far riemergere un dolore tanto a lungo soffocato nella forma dell’allontanamento da se stessa, un dolore che sempre «rimane nella nostra coscienza come una bolla d’aria con l’interno intatto, in attesa di essere evocato o, nel migliore dei casi, tirato fuori» (p. 105). Nel finale, per la protagonista la liberazione sostituisce la rassegnazione di fronte all’impossibilità di disabitare il proprio corpo, e nel segno di questa libertà emotiva e fisica insieme si chiude la narrazione, sempre condotta assecondando uno stile sobrio e lineare, lessicalmente preciso e mai scontato.

Così, anche in quest’occasione Guadalupe Nettel riesce a offrire ai suoi lettori una rappresentazione autentica di tematiche tanto universalmente diffuse quanto difficili da trattare senza scadere nel rischio della semplificazione o dell’enfasi. Al contrario, Il corpo in cui sono nata è un’immersione integrale nel magma denso della sensibilità infantile: non è facile uscirne senza aver riportato qualche ferita, ma compierla vale sempre lo scotto da pagare.


G. Nettel, Il corpo in cui sono nata, Roma, La Nuova Frontiera, 2021, 192 pp., € 16,90.