Pubblichiamo il primo articolo di un dittico dedicato alla Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea di Laura Pugno (Il Saggiatore, 2021). I due pezzi offrono punti di vista alternativi e complementari sull’opera.


La Mappa immaginaria tracciata da Laura Pugno e dal suo gruppo di ricerca presso l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid è per sua natura un progetto che si estende ben oltre i confini cartacei del volume edito dal Saggiatore, il quale ne costituisce piuttosto una sintesi e una presentazione nel formato del libro ‘tradizionale’. Per farsi un’idea compiuta dell’impresa, è opportuna anche una visita al complementare sito web, dove il lettore può anche giocare a produrre le proprie mappe – per misurare graficamente la distanza, ad esempio, fra Marco Giovenale e Isabella Leardini. Questa ricerca internazionale e interdisciplinare (che coinvolge critica letteraria, antropologia, statistica, intelligenza artificiale…) è un notevole prodotto di quella “svolta quantitativa” nello studio della letteratura incarnata dal successo delle digital humanities, e al tempo stesso di quella tendenza alla mappatura e al censimento che da anni agita il mondo della poesia italiana. Si son viste, d’altronde, fin troppe operazioni che intendevano la mappatura in senso strettamente geografico e spesso non senza approssimazione – ad esempio, con l’Emilia-Romagna infilata ora nell’Italia centrale, in spregio a spartiacque e isoglosse, ora nel Nord-Est come nelle unità territoriali dell’Eurostat (e, spiace dirlo, proprio in un progetto dell’Ateneo del capoluogo emiliano). Rispetto a queste operazioni, il progetto di Pugno è molto più ambizioso e scientificamente fondato. L’elaborazione e la meticolosa presentazione grafica dei dati già testimoniano di un lavoro appassionato e rigoroso.

Tuttavia, un esponente di quella critica ingenerosamente definita impressionistica storcerebbe il naso davanti a questa messe di grafici, tabelle, geobubbles e networks. Gli parrebbe di aver di fronte l’idolo polemico ideale, quasi un’inconsapevole caricatura della critica neo- e iperpositivistica: la poesia misurata con gli assi cartesiani dal Dr. Pritchard dell’Attimo fuggente. È una tentazione a cui resistere, non fosse altro perché anche il povero Pritchard era uno strawman funzionale all’esaltazione del discutibile modello pedagogico incarnato dal Prof. Keating. Eppure anch’io, da critico linguistico-stilistico – dunque analitico, anche se non statistico-digitale – non sfuggo a una certa perplessità di fronte all’operazione di Pugno e collaboratori. Un’altra lettura recente mi soccorre nell’articolarla. Proprio in questi mesi un decano degli studi ‘quantitativi’ come Franco Moretti ha pubblicato una raccolta di saggi (Falso movimento. La svolta quantitativa nello studio della letteratura, Nottetempo, Milano 2022) in cui tenta un onesto bilancio su vent’anni di ricerche in quel filone. Senza rinnegare affatto la strada intrapresa, lo studioso riflette sui suoi limiti e sulle promesse finora non mantenute. Interessanti sono le osservazioni sulla necessità di una teoria che guidi il lavoro sui dati; in sua assenza, nota Moretti, «a prenderne il posto saranno, fatalmente, dei luoghi comuni che circolano nell’aria». Se le digital humanities non hanno ancora apportato la rivoluzione sperata, è anche perché «hanno fuggito il confronto con la grande cultura estetica e scientifica del Novecento», illudendosi che i big data potessero parlare da sé. Dunque i dati, anche se presentati in forma accessibile e accattivante, non possono sostituire il giudizio del critico; possono bensì arricchire la sua cassetta degli attrezzi. La mappatura, ricorda più volte Pugno, serve a rendere visibile il proprio oggetto. Ma qual è davvero l’oggetto mappato?

Nucleo fondamentale del lavoro dietro la Mappa immaginaria è stata l’individuazione di 7 parametri capaci di descrivere una postura poetica (da Affettività a Conoscenza, da Io a Mondo…), di 99 poeti contemporanei oggetto di studio, e di una giuria di critici che ha valutato ciascun poeta per ciascun parametro. Si potrebbe, naturalmente, discutere a lungo sulle singole inclusioni – ad esempio, gli autori studiati rappresentano sostanzialmente la generazione di mezzo fra i 30 e i 60, con esclusione da un lato dei ventenni (non ancora abbastanza inquadrabili) e dall’altro di veterani over 70 come De Angelis o Buffoni (già fin troppo storicizzati; ma una mappa che non includa nomi tanto centrali e/o influenti non rischia di risultare monca?). E un punto minore ma che sarebbe interessante approfondire è l’esclusione di autori delle ultime generazioni scomparsi prematuramente – scrittori talentuosi come Simone Cattaneo (1974-2009) o Gabriele Galloni (1995-2020) sono meno ‘contemporanei’ dei loro coetanei solo perché biologicamente conclusi?

Ma questi non sono che possibili spunti di discussione. Il vero limite metodologico del lavoro è quello lucidamente additato da Gianluigi Simonetti nel breve saggio “L’immaginario della mappa”, accolto nel cuore del volume: i criteri con cui è costruita la mappa comportano che essa registri, sostanzialmente, un consenso critico già diffuso. Essa ci mostra che, mettiamo, Guido Mazzoni o Antonella Anedda sono poeti altamente assertivi; ma non perché siano stati misurati – ammesso che sia agevole stabilirli – dei parametri di assertività presenti nei loro testi. Quel che in realtà ci sta dicendo è che la critica concorda nel ritenerli tali. Informazione pur sempre utile, per chi non la possedeva («la mappa rende visibile l’oggetto»): ma nel mondo piccolo della poesia italiana, dove i venticinque lettori tendono sempre più a coincidere coi venticinque scrittori e i venticinque critici, si può sospettare che il fruitore-tipo del volume sia già al corrente di tali opinioni, le condivida o meno.

Per chi già conosce quel non vastissimo mondo, allora, una pur meticolosa elaborazione fondata sulla communis opinio avrà utilità limitata, perché come la mappa dell’impero in scala 1:1 nell’apologo borgesiano ricalca l’esistente rischiando anzi di soffocarlo, in quanto consacra con patenti di oggettività ‘scientifica’ quella che resta una percezione soggettiva. Chi consulta la mappa può imparare, ad esempio, che Gherardo Bortolotti ottiene un punteggio basso sul parametro Assertività: ma, come lo stesso Simonetti nota, è anzi «stupefacente» che questo «autore iperassertivo» non venga riconosciuto come tale. La mappa, diventando prestigioso strumento di consultazione, potrebbe così contribuire a consolidare una valutazione assai discutibile. Non è un caso se a emergere nel modo più univoco sono le categorie di Performance e Sperimentazione, che dipendono da un vistoso dato esterno peraltro solitamente esibito e rivendicato come bandiera dagli autori stessi; mentre altre, probabilmente mal definite in partenza, sortiscono risultati contraddittori.

Un fallimento, dunque? Piuttosto, un benemerito lavoro preliminare che non può ancora bastare, e che in compenso potrebbe fuorviare chi ne fraintendesse lo spirito. Gli autori della mappa ne sottolineano giustamente la natura ‘aperta’ e in divenire. In questo senso, l’individuazione dei poeti e dei loro raggruppamenti può essere una base su cui costruire ipotesi di lavoro che andranno poi testate caso per caso; e anche in ciò gli strumenti digitali e il lavoro sui corpora possono aiutare. Un esempio promettente ne è il sondaggio lessicale effettuato da Emmanuela Carbé su alcuni dei poeti della Mappa. La studiosa rileva, anzitutto, i lemmi più frequenti sia nell’intero corpus, sia nei singoli autori. Fra i sostantivi, vince complessivamente corpo, il che non stupirebbe vista la sua centralità in tante poetiche negli ultimi anni; ma che questo lemma sia il più significativo tanto in Matteo Marchesini quanto in Vincenzo Ostuni o ancora nella stessa Pugno, tutti esponenti di poetiche diversissime (e lontani, infatti, sulla mappa), richiede ulteriori spiegazioni nelle quali il giudizio ‘umano’ del critico dovrà prima o poi intervenire. Magari per svelarci sorprendentemente che un Marchesini ricade a suo modo in quelle poetiche del Corpo da lui a suo tempo criticate, o al contrario per mostrarci come in ciascuno dei tre autori gli impieghi del lemma rispondano a logiche incommensurabili. Simili avvertimenti valgono anche per il secondo esperimento di Carbé, che osserva come il peso proporzionale delle varie parti del discorso cambi da una raccolta all’altra dello stesso autore: un valido modo per ‘pesare’ oggettivamente fenomeni come un passaggio da Ich-Stil a Du-Stil, ma come la stessa studiosa avverte, «processi del genere non sono buone scorciatoie per avere risultati veloci e sicuri […], ma […] preziosi strumenti su cui vale la pena ragionare senza troppi entusiasmi». Un’affermazione saggia, che ci sentiamo di sottoscrivere.


Laura Pugno, Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea, Milano, Il Saggiatore, 2021, pp. 244, € 23,00.