Parrebbero inutili le frasi grasse e sciorinate ad alta voce del padre di famiglia che, al gate italiano, decanta le lodi della Germania Occidentale mentre s’imbarca per andare a trovare i due figli, ennesimi cervelli fuoriusciti, oramai lavoratori specializzati; parrebbe un caso anche l’incontro, nel scendere le scale dell’aeroporto tedesco, con un luogo gremito di traduzioni della stessa frase in ogni lingua: «luogo di culto per le religioni del mondo». Eppure, nonostante tutto, la percezione di non trovarsi immersi nei clichees più tipici della Germania si ha fin da subito, ed è vera.

La ragione di tale sentore è riscontrabile semplicemente in due dati, uno storico ed uno geografico. Il secondo, facile da comprendere, è che siamo a meno di cento chilometri dal confine, il quale è, peraltro, un confine doppio, dal momento che di fronte ad Aachen (Aquisgrana per gli italofoni) si uniscono le frontiere dei Paesi Bassi e del Belgio. Parlando di limites, però, è stato quello orientale a segnare in profondità la fisionomia della città e dei luoghi circostanti. Colonia Claudia Ara Agrippinensium (CCAA, scrivevano i romani sulle porte della città, in una sigla tanto curiosa da assomigliare ad una dicitura dei giorni nostri) è l’insediamento creato sul Reno dall’imperatore Claudio che acconsentì alle richieste della moglie Agrippina di elevare al rango di “colonia” il suo insediamento natio, prestigio che accrescerà con l’ulteriore designazione della città a capitale della Germania inferior. La posizione di Colonia la rende uno snodo fondamentale nella storia del limes romano, rendendo la città un vero e proprio crocevia tra la via Belgica la via Agrippina, addentrantesi nelle Gallie, e la via liminaris, che procede lungo il corso del Reno.

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I fiumi possono aprire o chiudere una città, specie se, come nella maggior parte dei casi, vi transitano in mezzo. Questo non è il caso di Colonia, che nonostante oggi sia ovviamente sviluppata sulla sponda opposta in zona Messe-Deuz, trova il suo baricentro al di qua della sponda orientale del fiume. Colonia è una città bifronte che guarda apprensivamente da ambo i lati, i quali solcano profonde differenze, quasi morali: di qua, dove stanno i piedi, ci sono i francofoni, i belgi, e quella Francia di Alsazia e Lorena scorticate dalla storia. Dove arrivano le mani e dove gli occhi hanno fissato per tutta una vita stanno i Germani, quelli veri, prima i barbari della Sassonia e della Pomerania, poi il rigore del Brandeburgo e Berlino. I ponti gettati verso Est da quei romani intenti alla conquista dei barbari sono compensati dall’enorme presenza di chiese (ben sedici) in stile romanico e gotico, tutte rivolte ad Occidente. A ben guardare la città è dunque percorsa da un tessuto storico, tuttavia concreto, di direttrici opposte che tendono a destinazioni differenti e in esse vedono specifiche liminarietà. Inoltre tutto l’assetto dell’Innenstadt, il distretto centrale, è concentrico diviso semplicemente tra Altstadt e Neustadt, vecchio e nuovo, i quali, complice la devastazione apportata dalla guerra, sono però in perfetta continuità architettonica e urbana. Questa tensione tra vecchio e nuovo, passato e futuro dunque non è solamente una direttrice storico-culturale, ma occupa ben più profondamente i luoghi della città, dalla divisione dei quartieri appena menzionata, alla contrapposizione delle piazze principali, il Fischmarkt, la vecchia piazza dei pescatori renani, e la Neumarkt, per l’appunto, il mercato “nuovo”.

Tutto ciò potrebbe portare ad immaginare questa città di frontiere (perché di ciò si tratta) come un nugolo di diffidenze, di occhi frontalieri e sguardi severi. Niente di più contrario. Colonia sembra aver tratto dalle sue mille peripezie l’estrema lezione dell’apertura, dal momento che forse, non c’è nulla di più aperto che un muro sfondato, come accadde proprio in questi luoghi nel V secolo d.C., o nel 1989 quando il crollo di un altro Muro pose fine alla RFT con capitale a Bonn (oggi praticamente conurbata in un tessuto continuo di strade e trasporti con Colonia). In un momento storico dove il muro sembra innalzarsi a concetto iconico, a principio esistenziale di un divisorio pro e contro, ad essere, per dirla con Caproni (o Dante, se preferite), un enorme Muro della Terra, è da una città come questa che si coglie il valore storico dell’apertura. Qui, infatti, dove le barriere esistenti sono state abbattute con forza, il sincretismo umano si è realizzato a pieno in un clima di che pare suggerire a questa modernità la possibile realizzazione dei principi che sbandiera, ma che difficilmente pone concretamente in essere.

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È qui forse dunque che la celeberrima industriosità dei tedeschi si è applicata su un piano sociale prima ancora che tecnologico e tecnico, tutta tesa al desiderio di spiegare e di spiegarsi nella necessità imposta dalla grande Storia di superare determinate divisioni per far fronte ad altre. Colonia è definita la “Roma del nord”, perché incarna ancora oggi i lasciti della dominazione latina, perché è il punto più estremo di quel mondo che la Germania Occidentale e l’Est europeo non hanno mai incontrato, nel bene e nel male. Istituendo però un discorso positivo sulla faccenda, è proprio per questo che gli abitati della città e, più ancora, quelli dell’intera bassa valle del Reno, sono etichettati come “meridionali”. Certo, ripeto, c’è una questione di decentramento geografico, c’è il clima particolare che permette lo sviluppo di vigneti a strapiombo sul fiume e il conseguente vino, ci sono i treni in ritardo, i matrimoni strombazzanti per la strada e la birra bevuta in piccoli bicchieri “alla spagnola” invece che nei boccali bavaresi che colmano i nostri Oktoberfest posticci. Più di tutto questo, però, c’è la percezione nitida di una radice romanza più ancora che latina, non innestata sufficientemente in tempo, ma che ha gettato un lascito dal peso positivo e incalcolabile nella storia di questi luoghi, concretizzandosi nell’accettazione della diversità, nell’astinenza dal rigorismo e dall’autoritarismo, nell’interesse per le forme di associazione partecipativa e quant’altro si possa immaginare di affine.

Ciononostante, questo “ritardo” della latinitas, si accorda al clima della città: è un respiro tardo-antico a pervadere le cose. A ben guardare, infatti, in questo luogo moderno, totalmente ricostruito e perfettamente funzionante, sembra aggirarsi un’ombra che inquieta le cose, un sentore che pare volersi riferire ad una possibile fine (sempre) dietro l’angolo. L’occhio attento ne coglie i segnali e tutto pare trasfigurarsi nella Roma costantiniana del post-Editto di Milano, alle soglie già di un Medioevo, con un cristianesimo penetratissimo in ogni strato sociale e non sofisticato, ma ancorato a valori arcaici e semplici che di esso portano a galla la facies migliore (vedasi la scialuppa-monumento ai migranti deceduti in mare nello splendido duomo gotico, con guglie da fare invidia a Notre-Dame), con le architetture alto-medioevali, un benessere non ostentato ma goduto, che pare però sempre sull’orlo di un silenzio spento tra le risa dei commensali i quali, in qualunque locale, hanno l’abitudine di sedersi tra sconosciuti allo stesso tavolo testimoniando il meglio di quell’osmosi frontaliera di cui sopra. Lo testimoniano anche le figure di rifermento culturali, entrambe medioevali: il filosofo scozzese Duns Scoto e Sant’Alberto Magno, padre della chiesa, ma soprattutto protettore degli scienziati, a testimoniare l’eclettismo della città e della sua gente.

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Ecco, su tutto, oggi, pare incombere silenziosamente l’ombra di un Medioevo, già visto e già vissuto, del quale non si coglie il quid e che, come in un ricorso storico non totalmente consapevole, a tratti viene relegato a puro sentore e in altri momenti appare più tangibile. Colonia appare dunque un gigante pieno di vita, ma in fase di stanchezza, che, nonostante i secoli, torna ancora a guardare oltre al fiume e a chiedersi chi o che cosa spunterà dal buio della riva opposta, confidando però nelle proprie difese, non più legate a barriere, ma a un profondo sviluppo umano. Il Medioevo odierno può concretizzarsi (o starsi già concretizzando) in mille forme e maniere ancora sconosciute, ma ad esso si può opporre quell’humanitas che qui pare così ben riuscita. Il luogo e le persone rilasciano infatti, a mio avviso, la parte migliore di ciò che può essere la Germania di oggi: meno autoritaria e tuttavia responsabile; fedele, ma non fanatica; diversa e non ostile; di cerniera più che di separazione. Ed è con la forza di questi traguardi sociali che, se sarà chiamata a farlo, essa dovrà resistere alla storia.