In attesa della cerimonia di premiazione della XLedizione del Premio Narrativa Bergamo, che si terrà sabato 27 aprile alle ore 18 al Teatro alle Grazie di Viale Papa Giovanni XXIII, proponiamo delle brevi interviste con i cinque autori finalisti. Tocca oggi a Tiziano Scarpa, in cinquina con La verità e la biro (Einaudi 2023).


La verità e la biro è un libro che si presenta, fin dal titolo, disposto agli azzardi; un libro sulla verità, concetto tra i più alti che si possano immaginare, esplorato da scrittori e filosofi (puntualmente evocati in uno dei percorsi tracciati dal libro), ma affrontato qui con le armi più spontanee: la propria esperienza di vita, passata e presente, e una penna per renderne conto. Anche per questo La verità e la biro è un libro che si espone al rischio di andare in cerca di qualcosa senza sapere se la troverà. Com’è andata la ricerca? L’idea di verità che avevi all’inizio della stesura è uscita confermata dal processo di scrittura?

Quando scrivo un romanzo ho un progetto. In questo caso, invece, il libro è nato scrivendolo. Durante la stesura di un diario mi sono reso conto che sotto la mia penna a biro stavano sbocciando temi e ricordi che si coagulavano intorno all’esperienza della verità vissuta, cioè soprattutto quella che scoppia nelle relazioni (scuola, lavoro, amore, amicizia). Quindi qui verità va intesa come sincerità, o rivelazione di segreti, o sfacciataggine nel dire ciò che si pensa di qualcuno, eccetera.

Nella seconda parte del libro, questo misto di ricordi e riflessioni mi ha portato altrove: ho scoperto che alcune esperienze intense me le hanno offerte certe circostanze piuttosto artificiose. Per esempio, è stato grazie a una partita di calcio in tivù che ho abbracciato mio padre; oppure, è stato buttandomi nel vuoto con un elastico fissato alle caviglie, cioè con il bungee jumping, che ho sentito l’insurrezione delle parti più profonde del mio sistema neurospichico. In quei casi la verità sulla vita mi è stata offerta dalle macchine, dagli apparati che consideravo fasulli o inautentici.

La prima linea del racconto è quella dedicata alle persone che, nella tua vita, ti hanno detto la verità. E questa verità affiora in contesti diversi: relazioni sessuali, esperienze adolescenziali o professionali. Molti di questi episodi, così come molti dei passaggi del racconto in presa diretta dalla vacanza a Kos, sono restituiti attraverso un registro comico. Leggendo il libro si ha l’impressione che la comicità, ora umoristica, ora grottesca, risulti particolarmente efficace per l’affermazione della verità. Cosa ne pensi?

A me sembra che nel libro ci siano passaggi molto malinconici, per esempio le mie ammissioni di fallimento, o i racconti di persone che stanno male e che non ce la fanno più a nasconderlo ai colleghi di lavoro. E ci sono momenti molto seri di intimità rivelatrice delle cose che contano, come il rapporto con la ragazza cattolica che non aveva mai fatto l’amore.

C’è anche parecchia comicità, che per me è una forma di conoscenza. In questo libro, la risata è una delle conseguenze della sincerità: se le persone ci dicono in faccia come stanno veramente le cose o che cosa pensano di noi, sul momento, sì, ci rimaniamo male; ma a distanza di tempo, quel dolore può trasformarsi in risata, magari ripensando alla nostra ingenuità giovanile, a come eravamo sprovveduti quando quelle cose ci sono accadute.

Succede anche con le disavventure degli altri; le loro sofferenze amorose possono farci ridere: è pieno di commedie teatrali e film che suscitano le nostre risate assistendo ai tradimenti e alle pene d’amore dei personaggi, che invece, loro, ci soffrono. Pensa a un classico come Divorzio all’italiana di Pietro Germi: a ben vedere è un film che presenta una situazione tremenda, si tratta di organizzare con freddezza un femminicidio, per puro calcolo; di recente l’ho proposto a una rassegna universitaria, e il pubblico guardandolo ridacchiava.

Ma per fare un esempio tratto da La verità e la biro, a un certo punto del libro ho riportato le rimostranze di un uomo alla sua compagna. Lui si lamentava perché lei era poco affettuosa con lui. Tutto questo glielo confidava seduto su una branda in una spiaggia nudista, sotto l’ombrellone accanto a quello dove stavo io. Ho avviato di nascosto il tasto di registrazione del mio telefono, ho catturato il suo discorso e a casa l’ho trascritto accuratamente, senza aggiungere né togliere neanche una parola. Lui soffriva di quella situazione, ma chi legge le sue parole forse può provare un malizioso (e fragoroso) divertimento, per di più immaginando che tutto ciò avveniva a una coppia che battibeccava completamente nuda in un luogo pubblico.

Come vedi, non sono necessariamente io ad architettare la comicità; essa si sprigiona da sé, a causa dei nostri presupposti antropologici e delle regole che ci siamo dati per vivere insieme, in società.

Quando si ride per una rivelazione o per una confidenza è il segno che qualcuno ha ecceduto, ha varcato un confine. Nel mio libro, il confine che prendo in considerazione è quello della reticenza e dell’ipocrisia: la società si fonda su un patto collettivo di non-verità; nelle relazioni personali, soprattutto al lavoro, è bene non dirsi tutto. Quando invece si parla francamente, si creano conflitti anche dolorosi; che però possono far ridere, se sono visti da lontano o da fuori, cioè da terze persone non coinvolte, o dai protagonisti stessi che se le ricordano molti anni dopo, come me in questo libro.

L’elefante nella stanza dell’intero libro è l’Avvertenza, dove, rendendo conto di alcune vicissitudini cliniche, sembri alludere a un imminente cambio di sesso. Sembra un annuncio volto a creare un’immediata intimità con il lettore sul filo di una confessione scandalosa, ma allo stesso tempo suggerisce l’idea della finzione provocatoria, che finisce per ammantare l’intero libro. Autobiografia o autofinzione: è questa la domanda chiave per comprendere il tuo libro?

Nell’Avvertenza che ho messo nella prima pagina non parlo di un cambio di sesso, ma di una diagnosi medica che, quando ho scritto questo libro, mi annunciava che io non sarei più stato pienamente un maschio. Quindi nessuna finzione provocatoria, anzi, una informazione molto seria ai lettori, in particolare alle lettrici. Serve a far capire che alcuni aneddoti sensuali che si trovano nel libro non sono una collezione vanagloriosa di imprese maschili: anche quando fanno ridere le racconto con uno sguardo malinconico, come un passato erotico perduto.

Infine, una domanda leggera, che rivolgiamo sempre ai finalisti del Premio Bergamo: quale tratto del tuo libro pensi possa farlo vincere?

Sono sicuro che non vincerà, è un libro troppo composito, non ha una trama lineare ed è sfacciato, può irritare. Ma sono felicissimo che sia stato selezionato in un premio come questo, dove c’è una giuria “popolare” (si dice così) che è molto motivata; le persone si iscrivono spontaneamente per leggere e votare i finalisti, per andare ad ascoltarli negli incontri programmati dagli organizzatori del premio. Un libro “strano” come questo non appartiene ai generi più diffusi, ma grazie al Premio Bergamo sarà finito nelle mani di chi non lo avrebbe conosciuto attraverso altri canali, e magari lo avrà trovato letterariamente interessante e significativo per la sua vita. Per me la vittoria è questa.


La foto di copertina è di Diego Landi (che ringraziamo per la concessione).