Particolare di un fotogramma da Non riconciliati (Jean-Marie Straub, 1965).


 

A poco tempo dalla scomparsa, Bollati Boringhieri ha licenziato un volume postumo di Nanni Balestrini. Il titolo è significativo: La nuova violenza illustrata; traccia infatti le due direzioni che orientano il libro e spiega le esigenze della sua pubblicazione. Da una parte rimanda subito a un precedente: La violenza illustrata, celebre “romanzo controstorico” balestriniano (per utilizzare la definizione di Andrea Cortellessa) con cui l’autore, nel 1976, ha inaugurato una riflessione sul linguaggio della violenza attraverso il linguaggio stesso. Dall’altra si parla di una “nuova” violenza; se i fatti che stavano alla base del libro del 1976 erano legati al clima di tensione degli anni di piombo (alla lotta studentesca, alle rivolte operaie, agli omicidi politici), quelli che costituiscono la violenza “nuova” affondano nella contemporaneità.

 

La nozione di attualità cambia, e lo scarto temporale su cui si innesta questo Balestrini aggiornato non solo lo dimostra, ma lo problematizza. Il nuovo libro comprende infatti la ristampa della prima stesura di La violenza illustrata, inalterata, e un singolare tentativo di riscrittura: un testo inedito che muove da episodi di cronaca degli ultimi dieci anni (si va dalla strage negli hotel di Mumbai del 2008 fino alla coordinazione dello sbarco dei migranti della nave Diciotti del 2018), rielaborati in una forma che si serve sostanzialmente degli stessi procedimenti stilistici che contraddistinsero il Balestrini in prosa degli anni Settanta; in appendice, alcuni addenda (brevi brani già editi ma sparsi, affini al dittico nei temi e nei contenuti).

La struttura del volume, però, è un sintomatico affronto alla consequenzialità cronologica: la nuova Violenza sta all’inizio, sotto la dizione “Secondo tempo”, mentre la lezione originale viene presentata alla fine come un “Primo tempo”. Questa scelta rispecchia precisamente la complessità dell’operazione linguistica balestriniana, perpetrata con i mezzi del montaggio. Il contrasto tra la violenza raccontata e la lingua del racconto relativizza ogni tentativo di «usare gli scalpelli» della parola con ogni «massa di morte»[1], con ogni atrocità reale.

 

I temi di Balestrini toccano alla radice non solo la dialettica, familiare e probabilmente connaturata alla letteratura, tra scrittura e realtà; chiamano in causa l’opposizione, ben più accentuata e turbativa, tra una realtà che per atrocità supera se stessa e il suo racconto: tra una realtà veramente distruttiva e il suo resoconto giocoforza finzionale.
Questo punto dolente è stato preso in esame con efficacia da W.G. Sebald, in relazione alla rielaborazione letteraria di uno dei casi novecenteschi più scottanti di rimozione storica e socioculturale: gli orrori subiti dalla Germania (o meglio, dal popolo tedesco quando si è ritrovato dalla parte dei vinti) al tempo della Seconda guerra mondiale. Nel saggio “Guerra aerea e letteratura”, evidenzia l’inadeguatezza e l’imbarazzo degli scrittori tedeschi nel raccontare, a caldo, la devastazione sofferta da un’intera popolazione di civili. Come è possibile scrivere, si chiede Sebald, se «la realtà della distruzione totale – incomprensibile nel suo carattere affatto contingente – impallidisce dietro formule»[2]? La realtà, in questi casi, sfugge alla lingua tanto quanto alla memoria, proprio perché violenta. Scrivendone, si corre il rischio di «mitizzare una realtà che nella sua forma bruta si sottrae a qualsiasi descrizione»[3].

 

Alla domanda cruciale non esiste una sola risposta. L’autore presenta infatti, per provare a sciogliere il nodo, un confronto tra due scrittori connazionali molto diversi: Heinrich Böll e Arno Schmidt, tra loro quasi coevi. I rispettivi approcci letterari alla violenza danno luogo a due paradigmi, difficilmente conciliabili. I romanzi di Böll hanno con il reale contatti aderenti e deferenti; cercano di ricalcarlo e, soprattutto, di rispettarlo come se fosse un modello, adottando uno stile scarno e che mira all’essenziale. La postura di Schmidt, invece, si avvicina a quella di Balestrini, dato che le sperimentazioni di stampo espressionistico del primo preludono, sotto molti aspetti, alle istanze della Neoavanguardia (del Gruppe 47 tedesco e, di riflesso, del Gruppo 63 italiano); conviene dunque svilupparle.

 

A proposito del «dinamico azionismo linguistico»[4] di Schmidt, Sebald ha qualche riserva, chiedendosi se una rielaborazione della violenza innervata a tal punto nel regime del testo non si allontani troppo dall’urgenza della realtà. La ricerca di Schmidt, invero, tiene conto di tutto ciò che implica assumere un modello reale (Vorbild, la stessa parola in tedesco, ha una doppia accezione: indica il confronto con ciò che viene prima, vor-, sia nel tempo sia nello spazio). È illuminante, a proposito, rileggere una sua dichiarazione di poetica: «Uno scrittore “deve” […] dare un quadro del suo tempo, cosa che lo storico, il quale cerca partecipe di descrivere un’epoca passata, non può dare mai; uno storico può dare una mappa del suo tempo, dunque la proiezione orizzontale esatta su cui posso trasferire distanze, ricavare dati dunque, ma sopra queste linee di monti, sopra questi quadratini neri di case s’innalzavano forme spaziali tridimensionali appunto, perché sui colli c’erano boschi, passavano sopra nuvole; questo è quanto lo scrittore “deve” fissare, e non soltanto questo, ma a mio avviso deve dare insieme il ritratto dei processi mentali di un uomo del suo tempo»[5].

 

Alla denuncia schmidtiana di una miseria dello storicismo rende giustizia Marco Lupo nel suo recente Hamburg, romanzo che entra nel cuore della questione trascrivendo e condividendo un’eloquente citazione da Dalla vita di un fauno: «La “grande” storia non è niente: fredda, impersonale, implausibile, sommaria (falsa per giunta): io voglio solo le “antichità private”: lì c’è vita e segreto»[6]. Rispettare le “antichità private” equivale a rendere giustizia alla loro violenza effettiva opponendole una violenza linguistica.

Lo stesso fa Balestrini, che nella sua duologia accosta frasi violente (generate dalla violenza) con il procedimento del montaggio, ontologicamente basato sullo scontro e sullo straniamento. Tutto il portato dell’atrocità è trasfigurato nel collage dei suoi frammenti, di modo che il lettore possa, brechtianamente, prendere coscienza e formulare un giudizio tra una frase e l’altra.

 

Gli assemblaggi testuali di Balestrini somigliano per certi versi ai movimenti di macchina e agli stacchi dei film di Jean-Marie Straub, il cineasta che negli stessi anni dello scrittore credeva – con Brecht alle spalle – nelle potenzialità conoscitive della destrutturazione linguistica. Una delle sue opere più celebri è, non a caso, tratta da un romanzo di Böll (Biliardo alle nove e mezzo, 1959), e il titolo suona come un manifesto politico: Non riconciliati, o Solo violenza aiuta dove violenza regna (Nicht versöhnt oder Es hilft nur Gewalt, wo Gewalt herrscht, 1965). Straub distorce completamente il suo modello: «Se ne impossessa riducendolo all’osso, eliminando le prediche e, epurazione su epurazione, costringendo la vicenda alle sue strutture più interne. […] Incastra le scene cui la sua estrema riduzione ha portato: mescola secondo un ordine apparentemente confuso e invece rigorosissimo»[7].
Tale stravolgimento è giustificato dalla natura stessa della violenza; alla forza della violenza si può rispondere solo con un linguaggio violento, smarcandosi così dalla coercizione.

 

Per Balestrini, le premesse sono analoghe: «solo sangue e violenza […] sembra non avere altri orizzonti»[8]; così come le conseguenze: «Noi siamo violenti perché la società è violenta e ci usa violenza ogni giorno»[9]. Di qui la necessità di operare con azioni linguistiche estreme. Circoscrivere brutalmente il proprio oggetto (il fantasma del modello) e, seguendo il motto di Sergej Ėjzenštejn, «sezionare: ma non come si seziona un cadavere»[10].

Questa summa balestriniana ribadisce ciò che l’autore ha dimostrato con tutta la sua produzione in prosa: che gli uomini non sono che corpi gettati nella società, e che la società stessa è assimilabile a un corpo vivo, carico di impulsi. Ecco perché Balestrini, anche a distanza di decenni, illustrando di nuovo la violenza, propone ancora di sfogarli senza freni: «Ma se ti capiterà per caso nella vita di sentire un improvviso irresistibile impulso a spaccare tutto, magari per una volta non trattenerti, lascia uscire le tonnellate di violenza inespressa che in tanti anni hai inghiottito e mandato al macero dentro di te. Lasciala esplodere in un gesto pazzesco, che se solo adesso ci pensi ti fa venire la pelle d’oca: raccogli un bel sasso e stando bene attento che nessuno ti veda, con tutta la forza che hai sparalo lassù in alto contro, a tua scelta:»[11].

Lanciare sassi nell’aria – sembra ci venga suggerito – è anche l’unico modo per fare breccia nello spazio, apparentemente incommensurabile, tra la vita e la scrittura; con vigore, perché solo violenza aiuta dove violenza regna.


 

balestriniNanni Balestrini, La nuova violenza illustrata, Bollati Boringhieri, Torino 2019, 288 pp. 18,00€

 

 

 


 

[1] N. Balestrini, “Primo tempo” (La violenza illustrata, 1976), in Id., La nuova violenza illustrata, Bollati Boringhieri, Torino 2019, pp. 101-228, qui p. 140.

[2] W.G. Sebald, “Guerra aerea e letteratura”, in Id., Storia naturale della distruzione (2001), tr. it. di A. Vigliani, Adelphi, Milano 2004, pp. 17-104, qui p. 35.

[3] Ivi, p. 56.

[4] Ivi, p. 63.

[5] A. Schmidt, “Arno Schmidt – Ein Schriftstellerportrait” (1953), cit. in Id., I profughi (1959), tr. it. di D. Borso, Quodlibet, Macerata 2016, p. 98.

[6] A. Schmidt, Aus dem Leben eines Fauns (1953), cit. in M. Lupo, Hamburg. La sabbia del tempo scomparso, Il Saggiatore, Milano 2018, pp. 68-69.

[7] G. Fofi, Capire con il cinema. 200 film prima e dopo il ’68, Feltrinelli, Milano 1977, p. 110.

[8] N. Balestrini, “Secondo tempo” (La nuova violenza illustrata, 2018), in Id., La nuova violenza illustrata, cit., pp. 27-100, qui p. 62.

[9] Ivi, p. 80.

[10] S. Ėjzenštejn, “Una lezione di sceneggiatura” (1932), in Id., Forma e tecnica del film e lezioni di regia, tr. it. di P. Gobetti, Einaudi, Torino 1964, pp. 77-97, qui p. 79.

[11] N. Balestrini, “Lettera al mio ignaro e pacifico lettore” (2001), in Id., La nuova violenza illustrata, cit., pp. 23-26, qui p. 26.