Preziosamente stampato a maggio da Samuele Editore nella collana Leda, in occasione del decennale della scomparsa del Nobel irlandese, il volume intitolato On Home ground. Come a casa: Le versioni pascoliane di Seamus Heaney, si apre con una prefazione del curatore Marco Sonzogni. Nella suddetta raccolta sono presenti per la prima volta tutte le versioni di Heaney, introdotte dalla lectio magistralis pascoliana – tradotta da Leonardo Guzzo – che Heaney tenne durante il Convegno internazionale di studi bolognese (2-4 aprile 2012) su Pascoli e l’immaginario degli italiani.

La genesi della pubblicazione di On Home Ground in Italia si deve a un brillante confronto d’idee avvenuto fra Alessandro Canzian (editore) e il curatore del volume. E non è affatto esagerato sostenere che quest’ultimo – già distintosi nell’anno precedente con l’edizione definitiva e commentata delle traduzioni letterarie di Heaney (The Translations of Seamus Heaney, curato da Marco Sonzogni, Faber, 2022) – abbia apportato alla suddetta pubblicazione un ragguardevole contributo.

Sonzogni mette per iscritto un ricordo commosso e lancinante dell’amico nordirlandese, a partire dalla loro corrispondenza via e-mail circa alcune perplessità di Heaney sulle versioni pascoliane, versioni alle quali stava lavorando da tempo. Più precisamente, Heaney iniziò a cesellarle sin dal tramonto del 2001, a seguito di un soggiorno in Italia che lo vide impegnato prima a Bologna e poi presso Urbino.

Sonzogni, al quale Heaney aveva affidato il corpus delle sue versioni pascoliane, racconta al lettore che a causa di una fatalità Heaney non poté leggere la sua risposta. Proseguendo nel suo intervento – intitolato Si ferma il mondo – il curatore si sofferma sulla reminiscenza dei dialoghi intrattenuti in più occasioni con Heaney circa i rapporti che questi intratteneva con la poesia pascoliana (non solo in quanto traduttore, bensì come autore). Perché, ribadisce Sonzogni, Heaney veste anzitutto i panni del traduttore e, in quanto tale, egli esterna le sue capacità ed eccezionalità tanto da far credere a chi ne legge che quelle versioni «potrebbero essere di Pascoli» (p. 16).  

Un vero e proprio gioco di ombre, dunque, la comparazione tra il poeta romagnolo e il Nobel nordirlandese. Chiaramente, quella fra Pascoli e Heaney non è l’unica comparazione possibile fra esponenti della letteratura italiana e irlandese effettuata ad hoc da studiosi e poeti. E pertanto, in tale direzione, arriva in soccorso del lettore un esempio eclatante offerto dal confronto – imbastito da Franco Buffoni in occasione del secondo incontro dell’undicesima edizione della rassegna culturale di Strane coppie (Lalineascritta, 2020), intitolata Shadows – fra William Butler Yeats, autore de La magia, e Lucio Piccolo, cugino dell’autore de Il Gattopardo. L’incontro ripercorre la biografia del siciliano e del poeta dell’isola di smeraldo e, mettendone in risalto i punti di contatto, ne ricorda l’intenso scambio epistolare e l’amicizia; interessati entrambi all’esoterismo, al mito, al mondo rurale e alla magia, con la loro poesia Yeats e Piccolo hanno innalzato l’oggetto a simbolo – ne ha scritto Natale Tedesco ne La scala a chiocciola: Scrittura novecentesca in Sicilia (Sellerio, 1991), imbastendo un’accurata comparazione fra i testi dei due autori e illustrando l’influenza che Yeats esercitò indirettamente su Piccolo. Il medesimo aggancio archetipico con il mondo contadino e con la sua realtà pastorale fatta di terra, acqua, animali e piante ricorre anche nel rapporto fra la «poesia insieme concreta e simbolica» di Heaney e quella di Pascoli (Leonardo Guzzo, Quando uno scrittore traduce, in «Laboratori critici», III, 3, 2023, p. 45).

Numerose, in effetti, le comparazioni possibili – alcune poesie o versioni dello stesso Heaney, che inevitabilmente trasse linfa dal mondo rurale per alimentare la sua poetica, potrebbero essere accostate a opere d’arte figurative, come quelle, mirabilissime, di Francesco Paolo Michetti (Tocco da Casauria, 1851 – Francavilla al Mare, 1929), il cui stile virava verso un crescente naturalismo. Le opere di Michetti, noto per il suo intenso sodalizio con D’Annunzio, ritraggono un mondo paesano, immerso in quell’arcadica ruralità che tanto caratterizzava le incontaminate terre abruzzesi. Per Heaney, i cui primi vagiti tonarono nella fattoria di famiglia, la penna è l’equivalente della zappa. Come scrive Matteo Bianchi, la visione di Heaney ha ereditato «il medesimo rapporto tra Natura e Storia, che diviene il passo del poeta, il suo timbro singolare» (Seamus Heaney e la traduzione poetica italiana: una questione di affinità, in «Laboratori critici», III, 3, 2023, p. 13). I ritmi sono gli stessi che scandiscono la vita agreste, quasi primitiva, che si staglia fra torbiere, leggende irlandesi e querce. Un ritratto della magica ruralità che ferma il tempo per scavarlo, e salvarlo, immortalandolo con naturalezza in un gioco di ombre e richiami.   

Si tratta esattamente di questo anche nel caso delle versioni: ovverosia di un accattivante gioco di ombre che vede protagonista la poesia pascoliana, purché la si consideri un luogo abitato dal traduttore, il quale – come fosse un chirurgo della parola – vi esercita indirettamente un insulto traumatico, tramite la «colonizzazione» del testo e il suo conseguente «assestamento» – per riprendere la terminologia utilizzata da Federica Massia nel suo intervento posto in calce al volume –, giacché nella sua versione della Cavalla storna «Heaney accoppia in quartine i distici italiani, secondo la forma più tipica della ballad anglosassone, ma mantiene le rime baciate per rispettare la scansione binaria del testo originale» (p. 114).

Con tutto ciò il dilemma che riecheggia in sottofondo resta un altro: fino a che punto è lecito, per mezzo di nuove versioni, surrogare colonizzare o deviare i testi in lingua originale? Certamente, il lettore potrebbe trovare una risposta nelle parole di Guzzo, concordando quando egli afferma che la postura adottata da Heaney nei confronti delle poesie da tradurre fu tutta affettuosa e amatoriale, al pari di quella di chi si ritiene «un apprendista, che modella in maniera necessariamente imperfetta una materia instabile, e un enigmista, che prova a risolvere con tutte le sue risorse un rompicapo. Non smette mai di essere poeta, autore, e rivendica la sua voce, la sua impronta, il suo personale rapporto con la bellezza» (Leonardo Guzzo, Quando uno scrittore traduce, in «Laboratori critici», III, 3, 2023, p. 48).


Un esempio di traduzione da On Home Ground, preceduta dal testo pascoliano:

La quercia caduta
Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo: era pur grande!

Pendono qua e là dalla corona
I nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo: era pur buona!

Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto… d’una capinera

che cerca il nido che non troverà.

The Fallen Oak
Where once its shadow spread, the oak tree lies in state.
Its battle with the hurricanes is lost.
People say, Now I see the size of it.

Here and there inside its fallen crest
The small spring nests hand on in tattered bits.
People say, Now I see the good of it.

Everyone’s happy, everyone’s chopping at it,
Everyone goes home with his bundle of sticks.
Next thing, a cry on the air… A blackcap flits

Searching for something she won’t find: her nest.


Seamus Heaney, On Home Ground. Come a casa: Le versioni pascoliane, Fanna, Samuele Editore, 2023, pp. 135, € 15.