In un simile caso, una mappa troppo dettagliata, o troppo sofisticata, non sembrerebbe davvero necessaria. Si prenda, anzi, la più consunta, la più schematica, o anche la più confusa, tra le possibili mappe del cosiddetto “vecchio continente”. Sarà sempre probabile che resti comunque piuttosto semplice individuarvi Ginevra. Di base, basta guardare verso il centro, e poi cercare leggermente sulla sinistra. Quasi subito si dovrebbe riconoscere il lago Lemano. Ha la forma di una specie di parentesi sottosopra, incurvata verso l’alto: tipo un enorme croissant, oltre che un buco (un trou, nei termini di Gleize) di dimensioni non trascurabili, al centro (quasi) del continente. Trovato il lago, per trovare la città non serve sapere altro che la posizione della seconda (della città) corrisponde all’estremità occidentale del primo (del lago).

Una volta in città, conoscerne la posizione non è però davvero importante. Si prenda piuttosto una qualsiasi sua mappa. Anche in questo caso conviene guardare prima al centro, per poi spostare leggermente lo sguardo verso sinistra, e poi ancora un po’ verso il basso. La forma da cercare questa volta è quella di un rombo, la cui diagonale lunga è quasi parallela con l’asse nord-sud del pianeta, solo un po’ inclinata sulla sinistra. Per essere più precisi, a est i suoi lati corrispondono al Boulevard Georges Favon (a nord) e all’Avenue Henri Dumont (a sud), mentre a ovest sono entrambi costituiti dall’Avenue du Mail. Al centro, attraversata da alcuni sentieri e da una strada di servizio, la Plaine de Plainpalais, uno spazio quasi vuoto, di circa 78 mila metri quadrati, che durante l’anno ospita gli eventi più disparati: dal circo ai campionati di bocce, da delle mostre fotografiche open air a delle manifestazioni dei sindacati, passando per numerosi eventi enogastronomici, rigorosamente bio e eco-friendly. Con sotto un parcheggio.

Al fine di orientarsi, e di trovare una via d’uscita, è principalmente in questo spazio che può capitare d’avere davvero bisogno di una mappa. Senza, a dispetto della segnaletica, eufemisticamente non troppo chiara, tra i piani meno-uno, meno-due e meno-tre, e i loro 701 posti auto, a cui vanno aggiunti i posti per moto e biciclette, può infatti sempre succedere di perdersi, anche agli indigeni e a quanti comunque non è la prima volta che hanno avuto l’idea di entrarvi. In superficie, invece, una mappa può rivelarsi di una qualche utilità solo in casi estremi, come quando, per una qualsiasi ragione, si è alla ricerca di un pozzetto a cui attaccarsi, e dev’essere proprio quello giusto. Oppure, nel caso in cui si abbia l’intenzione di partecipare in modo ufficiale a un evento pubblico, ed allora occorre ben studiare i vantaggi e gli svantaggi di tutte le opzioni (e di tutte le posizioni e postazioni).

È solo in superficie, però, che una mappa può trovare un altro senso, una nuova dimensione, quella che qualcuno (un po’ enfaticamente) potrebbe essere tentato di chiamare una seconda vita, o una forma di rinascita. È qui, insomma, che anche le mappe più inattuali possono forse guadagnare una seconda possibilità (tipo quelle dell’Europa dell’Est dei primi anni Ottanta, oppure quelle più recenti dei ghiacciai alpini, o quelle sulla cosiddetta flora e fauna “da salvare” o “in via d’estinzione”). Non proprio tutte però, e non tutti i giorni. Tendenzialmente, è più facile se la mappa si trova in uno stato accettabile. Soprattutto, è importante che non piova. Ma, in ogni caso, anche quando non piove, non ogni giorno va bene. Il martedì e il venerdì, ad esempio, non c’è spazio che per i prodotti del mercato ortofrutticolo e per degli stands enogastronomici (alcuni locali, altri un po’ etnici, un po’ esotici). Mentre è il mercoledì e il sabato (da poco ci provano anche la domenica) che ha luogo, lungo il bordo interno dei lati del rombo, il mercato delle pulci di Plainpalais, uno dei più grandi e più celebri di tutta la Svizzera, dove è sempre possibile trovare, e eventualmente provare a piazzare, una mappa.

Tra le più diffuse, evidentemente, vi sono le mappe svizzere, e tra di esse – anche questo è un dato che non può sorprendere – quelle classiche del lago Lemano, delle Alpi circostanti, o del Cantone e della città di Ginevra. Occorre però precisare che le mappe locali non sono sempre le più facili da trovare. Ve ne sono anche di estremamente rare, come le mappe del cosiddetto Villaggio Svizzero (Village Suisse) e del cosiddetto Villaggio Nero (Village Noir), chiamato anche Villaggio Negro (Village Nègre). Un tempo, erano entrambi situati a poche centinaia di metri dalla Plaine de Plainpalais, entrambi montati (e dopo pochi mesi smontati) per l’Esposizione Nazionale del 1896, visitata da circa due milioni di persone, quando la Svizzera contava tre milioni di cittadini. Per il Villaggio Svizzero venne costruita una specie di collina, con al centro una conca accompagnata da una montagna artificiale (costituita da una intelaiatura di legno con dei listelli, articolati in molteplici piani, sui quali era applicato lo stucco delle rocce). Era composto da tre fattorie, cinquantasei tra case e chalet, 18 mazot e una chiesa, oltre che da una cascata di 20 metri e da una grotta nella quale era possibile ammirare il cosiddetto “Panorama des Alpes”. Per il Villaggio Nero vennero invece reclutate circa duecento persone, principalmente provenienti dal Senegal. Era di dimensioni più contenute, composto da una serie di baracche, da una moschea e da un laghetto, rigorosamente artificiale. Stando ai volantini ufficiali distribuiti dalle autorità, vi si organizzavano “feste musulmane e feticiste, giochi, danze guerriere, eccetera”.

Pur in assenza, di fatto, di possibilità reali di imbattersi in un’autentica mappa del 1896, altre forme di reperti del passato (e del presente) coloniale svizzero (e europeo) sono sempre ben presenti (a Plainpalais, ma, a ben guardare, anche nel resto di Ginevra, della Svizzera, dell’Europa). In particolare, sono sempre piuttosto frequenti maschere e statuine in stile africano ma dall’origine incerta, e talvolta non mancano neanche delle insegne pubblicitarie stile Banania o come quelle del cioccolato Félix Potin (quello col motto “battu et content”). Così, non ci si può neanche troppo sorprendere che la strada che nel 1896 era chiamata Boulevard de l’Exposition porti oggi il nome di Carl Vogt, sostenitore e diffusore di teorie eufemisticamente problematiche (o, come sarebbe più corretto dire, letteralmente criminali).

Vogt (lo stesso che Marx attaccò per altre vicende nel pamphlet Herr Vogt) credeva nell’esistenza di una gerarchia tra le razze e i sessi, gerarchia con al vertice (guarda caso) l’uomo bianco. Uomo (bianco) politico e professore di paleontologia, di zoologia e di anatomia comparata, fu il primo rettore dell’Università di Ginevra. Morì nel 1895 e non poté visitare l’Esposizione, ma il suo successore alla cattedra di zoologia e anatomia comparata, Emile Yung (a cui è stata dedicata un’altra strada della città), ne fu un attivo protagonista, proponendo al grande pubblico una conferenza sugli abitanti del Village Noir, una conferenza elogiata dalla stampa del tempo e non priva di ambizioni geografiche. Era intitolata: Caractéristiques anthropologiques de la race nigritique (crâne, chevelure, taille, couleur, etc.) étudiés sur quelques-uns de ses représentants du Soudan occidental, Ouoloffs, Peuls, Laobès, Toucouleurs. Parenté de cette race avec les autres nègres africains, sa distribution géographique, etc..

Tornando alle mappe, o meglio senza potersene mai realmente allontanare, sarebbe quindi saggio ricordarsi di conservare sempre un minimo di prudenza. Anche per una ragione di tutt’altro ordine: il prezzo, spesso imprevedibile e solo in minima parte contrattabile, indipendentemente dal loro contenuto, storia, stile, materiale, formato, eccetera. In ogni caso, non bisogna però neanche disperare. Si può ritentare un altro giorno. O si può cercare qualcos’altro. Ad esempio, per restare tra quello che è possibile trovare per uno o due franchi, si possono recuperare dei calzini, o delle posate, qualche piccolo attrezzo in plastica (o in legno), delle collanine (o altri monili vari), passando per dei congegni elettrici (che però sarebbe meglio controllare), dei dvd o dei libri, oggetti questi, che, come noto, oltre, in alcuni casi, a includere letteralmente delle mappe, possono anche, almeno in senso largo, esserne considerati come dei casi particolari (o più generali), o come delle varianti, talvolta più dettagliate, più superficiali, più stratificate, altre volte più schematiche, più disorientanti (e disorientate), più articolate, più strampalate.

Nota: per approfondire la storia del Village Noir di Ginevra, segnaliamo in particolare il libro di Patrick Minder, La Suisse coloniale. Les représentations de l’Afrique et des Africains en Suisse au temps des colonies (1880-1939) (Peter Lang, 2011), e il podcast Boulevard du Village noir, realizzato nel 2023 da Shyaka Kagame per la radio-televisione svizzera (www.rts.ch).