Alberto Schiavone si rivolge a chi non sa dove andare. E Maria, la protagonista, parla a chi non sa dove andare. Non esisto è una storia di solitudine e di sconfitta.

Il romanzo comincia quando la vita di Maria ricomincia, quando le si aprono le porte del carcere, ma in direzione uscita. Non è un libro sul carcere, dunque: non sappiamo perché ci sia finita, sappiamo poco sulla sua vita prima di finirci, perché Maria non è il suo reato, è altro, e vuole tornare a essere altro; il peccato è espiato, la galera è alle spalle – e non ha alcuna intenzione di tornarci –, siamo già e soltanto al dopo.

Maria esce, è libera, ma non sa dove andare. La sorella ha cambiato numero di cellulare, la famiglia non ne vuole più sapere di lei. Non ha nessuno, non ha una casa, non ha un futuro. Non esiste. «Odio amo rido piango ma non ricordo più come si fa a vivere, la mia vanità ha ormai troppi spifferi e nessuno specchio. Sono sola. Non esisto».

La solitudine di Maria è straziante, e la realtà la soffoca. Cerca allora un posto dove trovare riparo, che non sia solo un luogo fisico, ma anche mentale. È fuori dal carcere, è libera, può ricominciare tutto da capo, eppure il cielo le sembra lo stesso, identico a quello che vedeva nella sua ora d’aria, solo più grande. Molto più grande. Forse troppo.

Non lo riconosce più, il mondo, non sa più come ci si vive, non sa nemmeno dove sia, in realtà. Sembra questa la vera pena da scontare. È fuori dal carcere, è libera, ma non esiste. La via per la redenzione se l’è portata anche fuori, perché la realtà è dura, e non fa sconti a nessuno, figuriamoci a un’ex galeotta, a chi ha sbagliato – che abbia pagato conta solo in termini di legge. L’etichetta non ti si staccherà mai di dosso, sarai sempre una che è stata dentro. Lì esistevi.

Sì, li esisteva.

Ora è fuori dal carcere, è libera, ma che farsene di questa libertà, dov’è? Sicuramente non è là fuori. Per Maria la libertà, allora, diventa un’occasione mancata, è un’utopia: la libertà è il mare che si trova davanti quando esce, tuttavia è un mare minaccioso, soprattutto nel mondo là fuori dove tutto è possibile, dove esistono sterminate possibilità. Non è un caso se inizierà addirittura a mancarle il carcere. È sola, di una solitudine imposta dalla vita, dal mondo, da quello libero, da quello fuori. Ma qui non esiste. «O forse è la vita che è così, è la vita che non funziona e quando impari è troppo tardi».

Maria non sa cosa cercare, ha perso ormai il capo del gomitolo e non si raccapezza più, tutto le appare precluso. Cerca qualcosa per cui vivere, cerca quella dannata libertà di cui tanto ha sentito parlar bene, là fuori. Da qualche parte ci deve pur essere. Ora è fuori, la libertà è lì, eppure sembra essere così chimerica. Cos’è che davvero le serve? L’amore? Forse. Una semplice carezza, magari? Sembra infatti che dalla sua confessione offuscata traspaia proprio questo, che un po’ d’affetto potrebbe essere davvero l’antidoto a tanta angustia:

Prima o poi dovrei decidermi a giocare anche io con il mondo, tutta questa fatica mi stordisce e tutte le notti da quando sono uscita mi chiedo e prego qualcosa o qualcuno di carezzarmi semplicemente dicendomi che sto facendo bene, che sono brava, che questo strazio mi porterà da qualche parte che non siano sabbie mobili oppure di nuovo in un metro quadro vigliaccio senza aria. […] Mi sento così sola (p. 126).

Non ha fortuna, però, le relazioni che intraprende si rivelano soltanto effimere avventure fini a se stesse. Niente amore. Anch’esso è riservato a chi, almeno un po’, esiste.

Il punto è che lei è cambiata, e la realtà è cambiata, è molto più complessa ora. È stanca, Maria: «mi sono rotta di giocare a nascondino con la felicità». Tenta una rivalsa. Invano. Il mondo le si mette di traverso e le intralcia la strada, la schiaffeggia, come sempre fa a chi non sa dove andare, come quando in mare, a pochi metri dalla riva, coi piedi ben piantati sulla sabbia, inerme prendi sberle dalle onde, in totale balia dell’acqua, e ti scomponi un po’, ma non reagisci, non sai come si fa. Non esisti.

Maria è fuori dal carcere, è libera. Ma libertà è diventata una parola vuota per lei, Maria non sa dove andare, non esiste:

Tante volte ha guardato il cielo di fuori pensando che in fondo è lo stesso cielo, e come mai lì dentro sembrava sempre così malinconico e irraggiungibile, e solo adesso si rende conto che sì è lo stesso, ma è troppo e c’è chi non può reggerlo e ne viene schiacciato (p. 149).

Non c’è alcuna possibilità di redenzione, la libertà è una roba di chi sa cosa farsene, di chi sa dove andare. Esiste.

Non esisto – edito da Edizioni Clichy e proposto per il Premio Strega 2023 – è il sesto romanzo di Schiavone: ha già pubblicato per Rizzoli e Guanda, prima, e si vede. La scrittura è cruda, vera, e ciò si riflette nella storia che racconta, perché ci arriva così, senza mediazioni o addolcimenti. La storia di Maria è una storia sincera, che ci trascina accanto a lei, e ci invoglia ad accompagnarla lungo tutto il tragitto. Esiste eccome, Maria.

La maggior parte della narrazione è in terza persona, e siamo noi la visione esterna. Cionondimeno prende sovente la parola proprio la protagonista, sciorinando i suoi pensieri in un flusso di coscienza rabbioso e autentico. Lo ricorda, ma non è un diario. È un grido, un grido d’aiuto, a perdifiato – si veda, infatti, la carenza di virgole che accelera la corsa verso il nulla di Maria. Le viene in soccorso, appunto, la terza persona, e lo fa quando sembra soffocare, quando non ne può davvero più.

La sintassi è fortemente frammentata, e non può essere altrimenti se vuole fare del male. Le frasi sono scarne perché l’autore, senza fronzoli, vuole arrivare dritto al punto, deve farlo: a noi serve soffrire con Maria, inutile girarci troppo intorno, dunque.

Schiavone inframezza al racconto alcuni passaggi storici, i quali sembrano mandarci altrove, ma è solo un’impressione: picchiano duro, sono puntuali e taglienti come il resto della narrazione, e su di essa vogliono far riflettere. Essi sono infatti dei ritagli che servono a ricordare che anche le piccole storie contano, anche esse appartengono a un disegno, e tutte hanno la stessa dignità. I dialoghi fra i personaggi sono serrati e diretti, emulano il teatro. Ma spesso chi ascolta non sembra veramente interessato, aspetta solo il suo turno per parlare, dandoci così delle sequenze ruvide e asettiche.

L’autore dà a Maria la libertà che sognava quando era in carcere, ma le toglie il mondo da sotto i piedi, perché il suo mondo non esiste più, come lei. Le regala una possibilità, donandole una realtà però in bilico tra libertà e prigione; oppure, si potrebbe dire, tra giusto e sbagliato.

La storia di Maria è un sogno, che poi si trasforma in un incubo: l’inizio del romanzo allude ai ricordi che Maria sembra avere più nitidi, e la narrazione è più dettagliata; poi, avvicinandosi al finale, dove si ha un cambio di registro semantico e sembrano aumentare i giri del motore, tutto si fa più allucinato, in un procedimento che ricorda da vicino un’autoanalisi.

Non esisto è un libro duro, che non fa sconti e che denuncia un certo modo di abitare il mondo: per come spesso sprechiamo la libertà, e per come conviviamo con chi è più in difficoltà, chi è più debole, chi non sa dove andare. Maria è testimone di una storia in cui, in senso filosofico e sepolcrale, non c’è possibilità di salvezza. Esiste soltanto l’intenzione, il movimento, la fuga.

Schiavone tratteggia una donna sola e combattiva, con la quale l’empatia è immediata; tuttavia crea un personaggio davvero reale, pieno di difetti e contraddizioni. Maria non è una persona buona, di quelle che potremmo pensare meriti il meglio dalla vita. No, Maria è una ragazza normale, che fa anche cose cattive, che forse è costretta a fare, costretta dalla vita. Libero arbitrio, direbbe qualcuno.


Alberto Schiavone, Non esisto, Edizioni Clichy, Firenze 2023, pp. 176, 18,50 euro