I David Foster Wallace studies sono ormai un’industria critica, come si usa dire, che cresce a ritmo serrato. I prodotti di questa industria non sono tutti ugualmente interessanti, come è ovvio, ma all’inizio dello scorso novembre ne è uscito uno che vale il tempo che richiede: Reading David Foster Wallace between philosophy and literature, a cura di Allard den Dulk, Pia Masiero e Adriano Ardovino (Manchester University Press, 2022 [e un altro, uscito negli stessi giorni, è David Foster Wallace in Context, New Edition, a cura di Clare Hayes-Brady {Cambridge University Press, 2022}]). Del volume si è discusso in una tavola rotonda tenutasi a Venezia, presso l’Università Ca’ Foscari, il 12 e il 13 gennaio 2023. L’intervista che segue, a Pia Masiero, nasce da questa occasione.


SB: David Foster Wallace between philosophy and literature: è il titolo del volume che hai co-curato con Allard den Dulk e Adriano Ardovino. Che i testi di Wallace affrontino questioni filosofiche e favoriscano la speculazione filosofica è palese, ma come dobbiamo intendere la preposizione between del vostro titolo? In quale spazio o in quale prospettiva si articola il vostro discorso?

PM: Il nostro tentativo è stato proprio quello di abitare il between cercando di sollecitare i vari autori a fare emergere l’impollinazione reciproca di filosofia e letteratura, con i loro due modi di intendere e di parlare del mondo distinti anche se – parzialmente – sovrapponibili. Quindi filosofia non come ingrediente, per così dire, nobilitante il testo letterario, né, viceversa, letteratura come mera dimostrazione di una verità che antecede il testo; nelle mani di Wallace i due discorsi sono entrambi costitutivi e originari, cioè non è possibile, se non in sede analitica, distinguerli. La letteratura di Wallace è filosofica, cioè desidera mobilitare un modo di interrogare il mondo maneggiando concetti cari alla riflessione filosofica e la sua filosofia richiede un dispiegarsi narrativo, incarnato in voci e prospettive individuali e riconoscibili. Però, mi rendo conto, questa formulazione rischia ancora una volta di distinguere il filosofico dal letterario.

Quello che abbiamo tentato di fare è dar conto di una esperienza che è – soprattutto – una esperienza di lettura. Il lettore di Wallace si trova ad accompagnare personaggi che nella loro quotidianità, nel rapporto ordinario con se stessi combattono la battaglia del senso e della sensatezza e si fanno quindi domande a cui la riflessione filosofica ha dedicato tempo ed energia. Ma queste domande emergono, sono innestate, in vite e prospettive frutto dell’immaginazione e declinate secondo i modi della letteratura. Dal 1985 Wallace abbandona lo studio accademico della filosofia e si dedica alla letteratura; è impensabile immaginare che questo abbia significato un abbandono dell’interesse per la filosofia. È più probabile che Wallace abbia considerato il mezzo letterario come il più adatto a rappresentare il vissuto in termini dialogici, aperti, e anche ambigui.

SB: Wallace è uno scrittore profondamente americano, ma le sue opere hanno trovato lettori in tutto il mondo. Questo interesse globale per la sua opera, a tuo giudizio, ha a che fare con la dimensione filosofica di cui parlavamo? O lo spiegheresti diversamente?

PM: Effettivamente per uno scrittore che ripeteva di non poter essere tradotto, ne ha attraversati di confini geografici e linguistici! Credo si possa dire che Wallace intercetta e inscena magistralmente dinamiche relazionali che si possono considerare universali: quando i temi che ti stanno a cuore sono mimeticamente (e quindi riconoscibilmente) collegati al nostro tempo presente, quali il desiderio di essere considerato, la conseguente difficile negoziazione del tuo io privato e del tuo io pubblico, le dipendenze, il rapporto con te stesso e gli altri in un contesto di piaceri facili, per citarne alcuni, diventi leggibile per tutti. È facile per il lettore calare queste storie nel suo contesto specifico. Tra i miei studenti, nessun altro scrittore ha provocato, per così dire, dipendenza; nessun altro scrittore ha dato l’impressione di parlare a tu per tu con loro, alle loro vite. Non a tutti, naturalmente; ma credo che questo dica della sua capacità di cogliere i segnali esperienziali che ci accomunano. Non credo questo sia del tutto riconducibile alla dimensione filosofica. Apprezzi e gusti Wallace fino in fondo se cogli la conversazione sotterranea che sta intrattenendo con questo o quel pensatore, ma te lo godi anche per la sua grande capacità di raccontarti una storia, una situazione incarnata singola con una ricchezza di coloritura psicologica e linguistica unica.   

SB: L’ampiezza del suo pubblico può essere sorprendente, perché Wallace è indiscutibilmente uno scrittore difficile. Perché questa difficoltà non spaventa i lettori? E che ruolo può svolgere la critica, rispetto a questa ricezione così ampia?

PM: Credo che la difficoltà non spaventi per tutto quello che regala: scali una montagna, ma vuoi mettere il panorama che ti gusti mentre cammini e quando arrivi in cima! Fuori di metafora, Wallace regala una chiarezza descrittiva straordinaria, ti fa vedere, sentire, capire quello che già sai illuminandone magicamente l’essenza e ti fa intuire ciò che non conosci. Leggi e godi della sua capacità di dire bene quello che c’è da dire; ti sorprende a livello microscopico – a livello di scelta dell’aggettivo o del giro di frase – e a livello macroscopico – di struttura, di giustapposizione di scene. Leggi, arranchi, ma ne vuoi ancora. Il suo virtuosismo lessicale e narrativo può avere l’effetto, per usare un esempio caro a Wallace, che Roger Federer ha su chi gioca a tennis. Ti trovi al cospetto di quello che può essere scrivere la storia di questa o quella persona – senti la distanza siderale rispetto a te, ma ti godi la bellezza di quello che si può fare usando le parole del vocabolario che sono anche a tua disposizione.

La critica può illuminare le dinamiche e portare alla superficie la ricchissima rete di riferimenti intra ed extra testuali per poter vedere e cogliere di più. Per usare un’altra metafora: si tratta di bere un vino dopo che un sommelier ti ha guidato a cogliere di più di quello che avevi sentito da solo. La critica può aiutare ad affinare il tuo palato. Questo non vale naturalmente solo per Wallace. Diciamo che Wallace ha dalla sua uno stuolo di ammiratori non accademici che condividono riflessioni e spunti e collegamenti che rendono leggere Wallace una pratica comunitaria. Mi riferisco a quel luogo magico che è la Wallace list. Credo che, per il grande pubblico, questa comunità abbia fatto molto di più per Wallace che la critica intesa in senso tradizionale.

SB: I David Foster Wallace studies sono un settore molto dinamico. Quali sono, a tuo giudizio, gli sviluppi più interessanti degli ultimi anni? E quali temi potrebbero o dovrebbero essere esplorati nei prossimi anni?

PM: Credo che Wallace sia stato letto da molteplici punti di vista. Le domande che guidano la lettura di Wallace sono cambiate nel corso degli anni, facendo spazio anche a questioni che riguardano Wallace e la razza, Wallace e il gender, Wallace e la letteratura globale. Credo che il lavoro che è cominciato sui materiali raccolti all’Harry Ransom Center di Austin abbia ancora molto da offrire per poter illuminare al meglio il farsi del suo pensare e del suo scrivere.


A. den Dulk, P. Masiero, A. Ardovino (a cura di), Reading David Foster Wallace between philosophy and literature, Manchester University Press, 2022, 360 pp.


C. Hayes-Brady (a cura di), David Foster Wallace in Context, nuova edizione, Cambridge University Press, 2022, 375 pp.