[da: la tua posizione, a: palazzo carità (via pasquale paoli, 15; 56126 pisa) – 6 minuti a piedi (450 metri)]

sono uno spazio molto piccolo schiacciato tra due fuochi sono una schiena che non trova un interstizio per stendersi e a fatica si ritrova spalle al muro sono un muro sono un pezzo di muro un fazzoletto un lacerto grande quanto basta per appoggiarcisi la schiena e aspettare paziente che

gli studenti svoltino l’angolo dopo avere attraversato una conchiglia una piazza larghissima e irregolare screziata dai getti degli arabeschi fitomorfi gonfi di esageratissima elegante maniera moderna che ancora dopo secoli decorano la scuola gli studenti prima di entrare nei loro mondi prima che svoltino l’angolo

sempre in un modo o nell’altro la guardano questa carta da parati carta da zucchero e bianco stanco e si sentono mosche appese su qualcuno dei suoi ghirigori che così grandi assurgono a immagine del mondo ci si perdono perché incedono nella piazza labirinto dondolati e scossi dal peso dei libri che sfascia le loro borse di tela

finalmente gli studenti svoltano l’angolo ed entrano nel canto nel ricetto dove sto ad aspettarli mi piace non appena li vedo alzare le spalle e smuovere la schiena staccarla spiccare il volo sorprenderli con gli occhi semichiusi spalancarglieli salutarli e dire loro

un tempo mi piaceva prendere di petto ogni singola persona che mi passava davanti e apostrofarla con grazia schiarendo con la grana della mia voce calda buongiorno bellonissima dicevo a ciascuna ma a ognuna davvero con la mia scrittura che era proprio bella non proprio una bella persona era bellona anzi bellonissima una bellonissima persona

se lo meritava quel caleidoscopio di normali e normalisti multiformi multanimi animali di essere trasfigurato dalla mia secolare teofania absidale li trasformavo a dirla tutta in esseri speciali amavo sotto sotto echeggiare eugenio montale in ex voto sebbene fossi uno scarto di muro di poche parole spruzzate

dal canto mio di parete affrescata mantenevo la promessa di chi mi aveva dipinta per scopi insperati ispirato pro voto exornavit pensava magari quel vandalo che per lascito testamentario aveva deciso di marchiarmi a fuoco e di imprimermi la pelle della pancia affinché qualcuno si ricordasse di lui di me chissà sperando che da

un indicatore temporale un vettore spaziale nascesse tutto questo che una maceria polverosa di questa città fosse in grado di sollevare la polvere del nostro tempo anziché lasciare depositare le ceneri del passato questo l’ho sbirciato dagli appunti di qualche filosofo che mi ha fatto una foto e mi ha condiviso e così vivificato sono sicuro lo ha scritto in qualche pagina ernst bloch

di norma quei corpi camminano spediti verso edifici ora ripuliti che si chiamano con il povero nome di dipartimenti sebbene siano allocati oggi in vestigia di palazzi che conservano della storia i loro ricchi nomi antichi talvolta parlanti come nel caso di quello che ho davanti carità adesso abbinato al contrassegno di ciò che ci si studia dentro civiltà

e forme del sapere sono scritte stampigliate che hanno mi dicono tutto il diritto di stare sulla facciata che mi si para davanti e giocoforza mi sovrasta è tutta gialla ma non del giallo metternich uovo e imperialregio rivestimento ufficiale del potere in città grosse come milano questo è un giallo zafferano più vivo soprattutto toscano e granducale

per decreto deve riassumere vecchi fasti rinascimentali medicei lorenesi leopoldini e squadernarli a favore di quegli altri che mi sfilano davanti e sono turisti ovvero vengono apposta da paesi lontani contemplando fini di personale edificazione c’è da dire però che li squadro pur sempre un po’ dall’alto in basso

e li vedo non riconoscono le gerarchie e gli intrecci dei partiti e degli aggetti architettonici ne discettano avulsi dai contesti storici e perlopiù senza nemmeno emozionarsi non capiscono perché questa via sia così stretta perché sebbene sia bella sia zeppa di manifesti affissi di graffiti che incrostano i piani terra saturando la prospettiva ad altezza uomo

non capiscono ciò che ogni giorno vivo ovvero che il palazzo è fittamente segnato poiché è vivo che in fondo se lo risquadri di sguincio è arabescato sì sì proprio come quello storico che troneggia la sopradetta piazza concava la piazza bivalve e inghirlandato da un santuario barocco di schiuma e di biscotto ciliegina sulla torta dopo la torre pendente e il camposanto della ridente cittadina afferma la guida

essi pure disorientati capita che mi guardino ma al massimo ridono e mi sento violato se mi fanno i gesti o le foto perché non mi ascoltano se dico loro buongiorno bellonissima al massimo ridacchiano e sentenziano che sconcia questa fetta di muro sconveniente non capite che vi infondo con garbo un afflato panamoroso carezzevole

poco male tanto so che nel pomeriggio distanti piedi gonfi e stanchi si perderanno dopo avere fatto una piccola spesa per la notte nel supermercato più a portata di mano nell’economia della cinta delle mura la mappa glielo piazza situato presso un altro dipartimento scientifico con il nome di un matematico fibonacci un’altra gloria locale i turisti non sanno chi lì vicino li attende al varco

una mia pregevole collega amica compagna estrutta in serie dalla plastica una centralina elettrica che parla alla gente indistintamente in modo più schietto grida con l’inchiostro indelebile del pennarello in bocca enel culo io qualche isolato più in là mi unisco al coro e sguaiate insieme intoniamo prendetelo in bocca enel culo grosso largo e a fondo che tanto male non vi fa anzi è così bello

la lezione che ho imparato abitando a lungo qua è che mi fanno sciacquare i panni in arno che non è dabbene professare l’amore libero sorridendo con gratuità dopo il caffè mattutino buongiorno bellonissima a prescindere da chi mi viene incontro che non conviene squadernare affettuosissima poesia visiva concreta dura e solida come una pipa perché le parole devono stare sulle pagine la pittura deve stare nei quadri all’architettura spetta solo una funzione

un’altra amica una nuvoletta superimposta sull’intonaco non lontano da me denuncia con una tautologia che siamo poveri abbiamo finito il colore nero e ciò dimostra che noi spalle al muro siamo disarmati e non abbiamo alcuna colpa e non è per efficiente funzionalismo che ci hanno ammutoliti

a un tratto nel testo sono passato all’imperfetto infatti sono muto non parlo più sto zitto va bene sono rimasto uno spazio molto piccolo schiacciato tra due fuochi mi hanno ulteriormente spinto contro il muro al mio precedente marchio hanno sostituito quello decoroso delle seconde e terze mani di vernice tinta unita

naturalmente ho còlto sul fatto chi è stato qualcuno che ha agito per ripristinare la pulizia di facciata granducale convinto che ordinaria amministrazione metta ordine nella bilderscheinung nella apparenza di immagine mi esprimo proprio come i filosofi della facoltà ormai bah

ma essi non sanno che le forme sempre si riconfigurano per quanto eterodirette finanche soppresse non da pargoletta bensì da paterna mano che le cancella rido perché mi si legge ancora negli occhi avevo un cattivo sorriso forse eppure non sono cattivo non sono cattivo se qui mi piange nel cuore disfatto la voce che male t’ho fatto bellonissima per farmi così