Con Orsi danzanti di Witold Szabłowski l’editore trentino Keller aggiunge un nuovo tassello al prezioso mosaico europeo che sta costruendo, per un’idea di mitteleuropa che si emancipi dal repertorio debout du siècle a cui sono più avvezzi i lettori italiani e varchi le soglie della contemporaneità.

Il reportage dell’autore polacco è bipartito. Nel primo centinaio di pagine tratta propriamente di orsi danzanti: della tradizione radicata nell’Europa centro-orientale di catturarli o farli nascere in cattività, addestrandoli per poi impiegarli in spettacoli itineranti secondo un pratica che, diventata illegale con l’ingresso nell’Unione Europea, si sta estinguendo; ma anche di allevatori bulgari cresciuti con orsi in casa e ONG finanziate da Brigitte Bardot che cercano, inutilmente, di reintrodurre gli animali cresciuti tra gli umani nella natura.

Nella seconda parte, invece, si procede all’elaborazione, attraverso frasi particolarmente incisive pronunciate dagli intervistati – una sorta di “teorema degli orsi danzanti”.  A chi è nato e cresciuto schiavo, la libertà va restituita gradualmente, accogliendo la difficoltà di far comprendere cosa tale libertà può significare per chi non l’ha mai conosciuta. Non è scontato che questi orsi possano reintegrarsi e venire accettati dai propri simili selvatici: forse ci vorranno generazioni oppure la sfida è persa in partenza. Le leggi di questo teorema sono gli aforismi degli allevatori, restii ad abbandonare una sicura fonte di reddito, per alcuni addirittura un membro acquisito della propria famiglia, oppure delle persone che cercano di traghettare gli animali verso una nuova vita, convinti che sarà migliore.  Szabłowski prova allora ad applicare questo teorema agli esseri umani; attraverso una serie di testimonianze raccolte in paesi ex-comunisti, nei quali la transizione repentina ad una nuova realtà fa interrogare lettori e protagonisti delle storie sul significato di libertà, sui cambiamenti nelle proprie comunità, sulle speranze per il futuro e i rimpianti per il passato.

Ma andiamo con ordine: innanzitutto, gli orsi.

Le storie degli allevatori, per lo più appartenenti a comunità Rom che, fatta eccezione per l’ambito circense, furono e continuano ad essere marginalizzate, sono ciò che colpisce di più. Si susseguono tra racconti di animali cresciuti come figli e che costituiscono l’unica fonte di sostentamento del nucleo familiare, e leggende familiari di mitiche catture di orsi selvatici che faranno poi la fortuna del proprietario, tra fiere e corti nobiliari; alcune storie invece parlano di maltrattamenti e abusi subiti da questi grandi mammiferi selvatici i quali, esposti al contatto prolungato con gli umani, iniziano ad ammalarsi delle loro malattie, diventano diabetici o alcolizzati e rinunciano al letargo stagionale.

Dall’età moderna, gli orsi danzanti sono stati un’attrazione imprescindibile in tutta l’Europa centrale, e l’esistenza di un certo numero di allevatori, alcuni persino “formati” in prestigiose accademie, è divenuta un fatto assodato. Già con la fine della Seconda guerra mondiale, riferiscono i testimoni intervistati, i governi comunisti tentarono di vietare tali usanze ma finirono per scontrarsi col “lobbismo” di alcuni allevatori in rapporti con ex-partigiani, e di altri con legami di potere nella nomenklatura locale. Così gli orsi addomesticati, con anello al naso e catena, sono una presenza costante anche nel periodo sovietico, sino al collasso dell’URSS e alla brutale conversione al libero mercato degli stati satellite: in un interregno fatto di licenziamenti di massa, inflazione e aumento del costo della vita, gli orsi hanno salvato intere famiglie dal tracollo.

L’entrata nell’Unione Europea della Bulgaria nel 2007 sancisce, secondo Szabłowski, una separazione netta tra le tradizioni popolari e il mondo occidentale in cui le norme a tutela degli animali pongono fine all’addomesticamento degli orsi. Si procede così a raccontare le strategie portate avanti da una ONG austriaca che cerca di ricomprare gli animali in cattività ma non può fare affidamento sulle forze dell’ordine locali, invischiate in meccanismi clientelari o di pigrizia istituzionale, e dei tentativi di rieducare alla natura creature che sono cresciute o nate in cattività.

I risultati non sono ottimi: gli ex-orsi danzanti vengono rifiutati dai loro simili perché “puzzano di schiavitù” e non sanno cacciare; viene raggiunto solo l’obbiettivo del ritorno al letargo naturale ma con la consapevolezza che gli animali saranno destinati a trascorrere i propri giorni in uno stato di finta libertà.

La scrittura di Witold Szabłowski si muove in maniera agile e puntuale attraverso i principali snodi storici, illustrando i cambiamenti intercorsi dal Novecento ai primi anni 2000 nei paesi interessati dal fenomeno degli allevatori di orsi attraverso le loro testimonianze. Così facendo, si apprende dai diretti interessati o dai loro familiari l’impatto che questa pratica, dai risvolti eticamente sfaccettati, ha avuto sulla loro vita e su quella della comunità.

Consapevole del fatto che la prospettiva dei lettori si possa focalizzare sulle indiscutibili sofferenze degli orsi o sulle storie strampalate di alcuni allevatori, l’autore lascia che a parlare sia la voce dei testimoni, interrogando anche rappresentanti governativi e membri di enti che si sono battuti e si battono per l’estinzione della tradizione in analisi.

Solo così al pubblico del reportage è permesso di comprendere con un diverso grado di profondità quanto la vicenda degli orsi danzanti riguardi in realtà un più ampio rapporto tra uomo e natura (quanto è lecito sfruttarla e in quali circostanze), tra uomini e istituzioni, popoli e stati, welfare ed economia, produzione e benessere; tutto ciò rimarcando il drammatico baratro in cui una parte consistente della popolazione globale è caduta con il crollo del “secondo mondo” inghiottito senza indugi dal capitalismo.

Proprio da quest’ultima riflessione, relativa al cambiamento delle condizioni di vita dei cittadini di paesi ex-comunisti, prende il via la seconda parte del libro di Szabłowski. Questa volta si tratta di una collezione di interviste raccolte in diversi paesi quasi tutti europei (Albania, Bulgaria, Cuba, Estonia, Grecia, Georgia, Regno Unito, Serbia, Ucraina) nelle quali le storie di comuni cittadini e altri decisamente meno ordinari – come gli abitanti di un paesino riconvertitosi a improbabile villaggio Hobbit per turisti appassionati di fantasy – si intrecciano. Le persone con cui interloquisce l’autore non sono solo “nostalgici della vita sotto il comunismo”, come recita la copertina dell’edizione italiana, ma anche individui che hanno guadagnato economicamente (speculatori, contrabbandieri, semplici cittadini che hanno potuto reinventarsi) dal cambio repentino di sistema economico e politico dei loro stati, o che comunque si sentono più rappresentati dalla scelta imposta di liberalizzazione del mercato o dalla transizione verso forme di democrazia. Ogni capitolo della seconda parte si apre ponendo in esergo una citazione dalla prima parte: frasi come “la libertà è una nuova sfida […] la libertà è per loro una grande avventura”, ma anche “Chi è stato uno schiavo per tutta la vita non ha chance di adattarsi alla libertà”, acquistano un nuovo peso quando passano ad essere riferite dagli orsi agli esseri umani, sempre cercando di non scivolare in un generico commento gnomico.

Questa seconda sezione del libro, per la natura volutamente frammentaria delle testimonianze e la loro rapida successione, muove la curiosità del lettore a riempire le proprie lacune con nuove letture o ascolti relativi alle istanze sociali e politiche delle quali ha potuto solamente iniziare a conoscere la complessa realtà.

Orsi danzanti eccelle in una prima parte etnografica coinvolgente ed esaustiva, ben costruita e con ampio spazio dedicato alla dimensione personale e familiare delle testimonianze, inquadrate in una chiara successione di eventi storici e politici la cui comprensione fornisce già chiare chiavi di lettura per la parte successiva, che abbandona le cittadine bulgare e trascina in un rapido tour de force in varie parti del mondo.

Se da un libro si richiede di poter essere coinvolti emotivamente, venire provocati e istigati a porsi delle domande etiche o semplicemente abbandonarsi a un ottimo intreccio, Orsi danzanti di Witold Szabłowski risplende e gratifica nella sua unicità, aprendo uno scorcio mirato e affascinante sulla storia contemporanea di una parte di mondo ancora troppo poco esplorata.


Witold Szabłowski, Orsi danzanti, traduzione di Leonardo Masi, Keller Editore, 2022, 282 pagine, 18 euro