Dopo che abbiamo cacciato per monti boscosi e pascoli d’Italia e non abbiamo trovato la pantera che bracchiamo, per poterla scovare proseguiamo la ricerca con mezzi più razionali, sicché, applicandoci con impegno, possiamo irretire totalmente coi nostri lacci la creatura che fa sentire il suo profumo ovunque e non si manifesta in nessun luogo.

(Dante)

Il signor Anselmi racconta che, un attimo prima di scomparire tra i cespugli che delimitano i suoi terreni, a pochi metri dalla provinciale, l’animale ha emesso un verso strano: stridulo, come da rapace. Non un ruggito insomma, non proprio. Facciamo qualche passo verso la macchia di arbusti ingrigita dai gas di scarico: il terreno intorno in effetti è un po’ smosso, pestato, gli esperti parlano di “impronte compatibili”. Anselmi è ancora concitato per l’avvistamento, e per la terza volta da che abbiamo fatto la sua conoscenza ci imita il verso della pantera (iiiihh, iiiiihh).

Siamo arrivati in mattinata, incuriositi dalle segnalazioni degli ultimi giorni, per raccogliere delle testimonianze sulla pantera che si aggirerebbe nella zona e provare a montarle in un reportage.

Il primo ad aver visto qualcosa di strano, cinque giorni fa, attorno alle 6.30, è stato un trasportatore di benzina, che ha notato un animale dalla coda nera, lunghissima, che si aggirava nei campi di mais a lato della strada, e ha abbandonato l’autocisterna sulla carreggiata per cercare di fotografarlo.

Nella foto, che è molto sgranata e ha circolato nelle chat di tutti i paesi limitrofi, si intravede una macchia scura: probabilmente un animale, chissà però di che razza e dimensione.

C’è qualcuno, ci informa Anselmi, che subito è saltato su dicendo che lui in realtà il felino l’aveva già visto, prima della serie di avvistamenti che hanno allertato forze dell’ordine e giornali. Tra questi, parrebbe, un vigile urbano da poco in pensione, che ha raccontato di aver incontrato una pantera dalle parti della pista ciclabile dietro al cimitero, una ventina di giorni fa, una sera che era uscito a cercare un po’ di fresco. La mattina dopo, ai tavoli del bar-panineria “Paradiso Magico” raccontava a tutti di questi occhi enormi, gialli come due faretti nel buio.

Tramite alcuni avventori del locale cerchiamo di contattare il nostro uomo, che però preferisce non rilasciare dichiarazioni: quello che aveva da dire l’ha già detto a chi di dovere, scandisce al telefono con una punta di fastidio prima di riattaccare. Magari avrà pensato a uno scherzo. I frequentatori fissi del bar non credono alla pantera, né ad altre storie di apparizioni miracolose: il signor Rubino, un omone che ci ha preso in simpatia e parla stringendo il polso all’interlocutore, dice che da queste parti non succede mai niente di particolare, anzi, si capisce che la gente poi comincia a vedere le pantere. Per la noia.

O forse per il caldo, anche. Sono le undici del mattino e già l’aria fuori è irrespirabile: dalla saletta condizionata del locale osserviamo la piazza del paese schiacciata dal sole. Al centro c’è un’aiuola con una magnolia assetata, tra i ciuffi d’erba ai suoi piedi un tizio si è sdraiato e sonnecchia con un foglio di quotidiano a coprirgli il viso.

Ma non è troppo piccola? ci diciamo. Sarà un cucciolo magari.

Passiamo le ore più calde della giornata nella saletta di “Paradiso Magico”, commentando il dossier sulla pantera che abbiamo finora raccolto: quattro fotografie, già diffuse sulle pagine online dei quotidiani locali, ingrandite oltre i limiti della leggibilità, e altrettante testimonianze di prima mano dalla gente del luogo, sulle prime molto lusingata dalla nostra attenzione. Quando gli abbiamo detto che non siamo giornalisti e che non avevamo ancora idea di che forma dare al materiale, magari un documentario magari no, l’entusiasmo nel loro sguardo è scemato all’istante. A ben vedere, ma questo a loro non lo diciamo, non sappiamo neanche cosa siamo venuti a farci qui, né cosa aspettarci da questa idea del reportage sulla pantera. In realtà speriamo di vederla anche noi, come tutti, ma questo al momento è un pensiero proibito, evitiamo di parlarne persino tra di noi.

La signora Guarnieri, sulla soglia, si è appena congedata dicendo che se non fosse per il rischio di predazione, lei la pantera lì nei campi non le darebbe neanche fastidio: con tutto quel che c’è al mondo, non sarà mica un gattone il problema.

Non la pensano così gli allevatori, commenta a voce alta la barista, che quando parla guarda sempre e soltanto uno di noi due, e schiocca la lingua contro il palato con una nota di voluttà. Magari è di qualcuno – argomenta – che l’ha comprata appena nata e poi se n’è sbarazzato, oppure è scappata da uno zoo o da un circo di passaggio.

Ma queste, sospira quello di noi invisibile agli occhi della barista, sono le solite cose che dicono i giornali, e comunque qui in giro non ci sono circhi né zoo né allevamenti di animali esotici. Quello di noi che fuma decide di affrontare l’afa del mezzogiorno, avviandosi verso la porta scorrevole con un’andatura da condanna ai lavori forzati.

Questo è un gatto però, commenta quello restato al fresco di fronte a una foto scattata tre giorni fa, proprio da un allevatore (“La gente si chiede, giustamente, come ha fatto ad arrivare qui, una pantera nera”).

Siamo mica in Uganda, fa la barista con tono indignato, rivolta alla macchina del caffè. Pantera o no, qualcosa c’è. Un suo “conoscente” (ma non vuole dirci di più, intanto quello di noi che fuma rientra, asciugandosi il sudore dalla fronte con aria disgustata) un suo conoscente giura di averla vista anche lui, all’alba, nei giardini pubblici: ha fatto per salire su un albero (la pantera), poi forse si è sentita disturbata e ci ha ripensato, è sparita dietro una staccionata. In ogni caso il conoscente è corso a segnalare l’avvistamento, pure lui, alla polizia.

Il comune ha invitato alla prudenza, ed è stata immediatamente istituita una task force speciale con il compito di sensibilizzare la cittadinanza circa i comportamenti da adottare per evitare un incontro con il felino. Ad esempio: sostare sotto alberi ad alto fusto o effettuare spostamenti inutili, tanto più se in presenza di animali da compagnia. Tutt’intorno al paese sono state posizionate gabbie, fototrappole, pare che ci sia persino un drone che sorvola la campagna.

La cittadinanza dal canto suo sembra accogliere con entusiasmo questa “emergenza pantera” (come si legge sul pannello elettronico fuori dal municipio, di quelli a led con le scritte scorrevoli): un gruppo whatsapp, amministrato da un consigliere comunale, sta raccogliendo le adesioni per una battuta di caccia notturna. Interessati prendiamo nota.

Un signore che sta prendendo l’aperitivo al bancone fa il cacciatore. Rifiuta di rispondere alle nostre domande, non ci tiene a presentarsi, ma lui sa che la prima cosa da fare in questi casi, sempre, è costruire una trappola usando come esca l’urina di un’altra pantera. O se proprio di un gatto, comunque di un felino.

Più tardi nel pomeriggio abbiamo appuntamento col signor Giuliani per un sopralluogo sul fiume, dove è stata avvistata l’ultima volta la pantera. Giuliani di lavoro fa l’agente forestale, e come sanno tutti i suoi compaesani è un appassionato cultore di paleontologia. Parcheggiamo lungo una risaia, brunita da tanto che è secco, e raggiungiamo Giuliani, che ci aspetta poco oltre avvolto in una nuvola di moscerini, all’imbocco di un viottolo che dall’argine scende ripido fino al letto del fiume. L’aria sa di polvere.

Il signor Giuliani non ha ben chiaro neanche lui in quale veste stiamo indagando sulla pantera, ma sembra soddisfatto della nostra curiosità. Ci racconta che da queste parti, qualche anno fa, è stata trovata la tibia di un leopardo preistorico: è possibile che qualche suo discendente si aggiri ancora in questi territori, perché no. Sorride, e al tempo stesso ci sembra serissimo.

Nel frattempo raggiungiamo quello che resta del fiume, ridotto a un rigagnolo verde che striscia a fianco di una sterminata lingua di sabbia. Quello di noi che fuma si accende una sigaretta sotto lo sguardo perplesso di Giuliani e si pianta a gambe divaricate verso l’orizzonte, provando a risalire con la mente il deserto che avanza, oltre il cavalcavia che tremola nella calura sotto il passaggio dei tir. Tira fuori il telefono e scatta una foto, bofonchia qualcosa guardando lo schermo poi se lo rimette in tasca.

Anche gli uccelli acquatici se ne stanno andando, dice tra sé Giuliani mentre fa finta di dare un calcio a un ramo bruciato dal sole. Altro che pantere.

Gli mostriamo allora la foto scattata da un pescatore l’altro ieri, a poche centinaia di metri da dove ci troviamo adesso. Al momento, l’ultima testimonianza dell’esistenza della bestia. Giuliani la guarda, annuisce, fa mh e dice: è estate. Poi tace, butta un’occhiata a quello di noi che fuma, che ha la delicatezza di mettersi in tasca il mozzicone dopo averlo schiacciato per terra.

Dal fiume nei secoli sono arrivate tante cose, da Oriente, dice ancora. Forse la pantera è arrivata qui risalendo il corso secco del fiume. Giuliani sorride di nuovo, serissimo, aggiunge che per i trovatori antichi la pantera era un simbolo di bellezza inafferrabile, di poesia: chiunque avrebbe voluto vederne una, sentire il suo profumo leggendario. Poi si interrompe guardando alle nostre spalle, e quello di noi che lo sta intervistando d’istinto fiuta l’aria.