Nel 55esimo rapporto Censis sulla situazione sociale dell’Italia c’è un capitolo interessante che fotografa un aspetto non poco inquietante dello Stivale, anno domini 2021. Si intitola “La società irrazionale”. Racconta di una fetta significativa del Paese che, per interpretare il presente e agire nella realtà, si affiderebbe senza remore a teorie del complotto e pensiero magico, variamente inteso. “Un sonno fatuo della ragione”, lo definisce così il rapporto. Il negazionismo storico si intreccia con quello tecnofobico e sanitario; la scienza è percepita come fonte di disgrazie, più che di benefici; la teoria del rimpiazzamento etnico si sposa con l’idea che i nostri destini siano stati prestabiliti con esattezza millimetrica da un’élite occulta e perversa. Non riporto qui le percentuali relative alla diffusione di tali credenze, ma sono rilevanti. Non penso che queste statistiche possano sorprendere davvero; eppure la forza anche retorica dei numeri ci dovrebbe forse invitare a una riflessione collettiva. Si sa che le statistiche vanno prese con le pinze, sono fallibili e interessate, frutto (anche) di costruzioni a priori che si travestono da metodo empirico. È vero; però mi sembra che questi numeri dicano comunque qualcosa in più sulle appartenenze culturali degli italiani (e sulla loro genealogia) rispetto a ciò che comunicherebbero in merito altre note contrapposizioni con cui vari imbonitori, televisivi e non, ci cannoneggiano intra moenia: chiusuristi vs aperturisti, novax vs vaccinisti (etc., etc.). Dimostrazione empirica, questa sì, della triste attualità della dicotomia apocalittici vs integrati: opposti e identici, perenni mattatori della scena culturale italiana.

Questo preambolo c’entra poco con l’oggetto di questa recensione, ovvero Il vangelo degli angeli di Eraldo Affinati (HarperCollins, 2021). Oppure no? Un collegamento, forse, c’è. Occorre dire qualcosa su questo libro prima di tentare, forzosamente, di scovarlo. L’ultima opera narrativa di Affinati è innanzitutto di difficile definizione: trattasi di romanzo? Poema travestito da narrazione epica? Riscrittura? Un trattato di pietà versione 2.0? Un po’ tutte queste cose insieme. Il vangelo degli angeli è per prima cosa una ponderosa riscrittura, molto inconsueta, dei Vangeli. I lettori ideali sono i ragazzi: Affinati è particolarmente sensibile al tema dell’educazione dei giovani e i suoi scritti, non solo di narrativa, sono fortemente ispirati da un convinto impegno civile e politico. La riscrittura di Affinati è però inconsueta perché lo stile del libro, in terza persona, è a una prima lettura spiazzante, anche se molto riconoscibile. Non vi è traccia, innanzitutto, di quel tono noiosamente devozionale tipico di certi pulpiti domenicali. La storia della venuta di Cristo sulla Terra, a partire dall’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele, è raccontata come una grande storia omerica, un avvicendarsi senza soste di eventi e avventure miracolose: una favola in cui tornare a credere, un racconto epico per monoteisti. Una prosa piana ma dagli accenti costantemente lirici narra per esempio di schiere di angeli (reminiscenza miltoniana?) convocati da Dio per annunciare la venuta del Figlio a Maria. Qui ogni reparto, verrebbe da dire, ha le sue mansioni specifiche. Come in un esercito vero e proprio, ricco anche di ingranaggi burocratici, gli angeli chiamati alla missione:

Sentivano di appartenere a un drappello speciale: individui unici anche rispetto ai numerosi compagni rimasti nella sfera superiore, addetti alle devozioni contemplative […] del resto, se così non fosse stato, non avrebbero avuto la forza e la spavalderia di scendere nel gorgo. Ciò conferiva agli araldi, preferiti dai generali nell’unità di comando […] una caratteristica emotività: appena captavano nell’aria la presenza di un mandato, i banditori entravano in fibrillazione. (p. 9)      

 Durante le prime fasi della sua predicazione, poi, Gesù è rappresentato come un uomo qualunque, preda di dubbi e paure (elementi di umanità di questo tipo non mancano certo anche nelle fonti evangeliche). Il Cristo di Affinati però potrebbe fare benissimo parte del nostro presente. Lo scopo esplicito dell’autore è d’altronde quello di presentarcelo come una figura affascinante, attuale, attualissima. Gesù diventa quindi uno di quei maestri di scuola alla John Keating nell’Attimo fuggente; uno di quegli insegnanti un po’ anarchici che non possono non risultare simpatici agli scolari:

La vita scorreva in un tumulto spettacolare e confuso di rabbia, felicità, rancore, gioia e follia. Dove trovare la legge che governa i singoli casi? Gesù la mattina insegnava al Tempio, fra la gente che lo ascoltava alla ricerca della verità. Era un maestro poco ligio ai programmi da svolgere, attento piuttosto al rapporto di stima e simpatia con chi gli prestava ascolto. In realtà, prima ancora di spiegare le Scritture, presentava se stesso. Una volta un giovane gli chiese quali scuole avesse frequentato. E lui rispose alzando il pollice verso l’alto. Aveva di queste uscite che suscitavano il sorriso. Se qualcuno mostrava insofferenza, andava avanti lo stesso lasciando che fossero i suoi compagni a redarguire i più distratti. (p. 283)

Nonostante l’umanità del Cristo di Affinati, la sua natura divina non è mai messa in discussione. Il Padre, in fondo, è uno dei personaggi centrali de Il vangelo degli angeli. Attraverso lo stesso tono epico e lirico che caratterizza l’intero racconto, sono quindi narrati anche i miracoli di Gesù. Compresa, ovviamente, la Resurrezione. Dopo che Maddalena, Giovanna e Maria di Giacomo hanno comunicato agli apostoli che il sepolcro è vuoto, questi si mettono comprensibilmente a dubitare: “Tutto finto? È stata una semplice messinscena? Chi l’ha organizzata? E noi perché ci abbiamo creduto? […] Se è vero…se è vero…” E quando Giovanni e Pietro, “strascicando i passi col cuore in gola”, entrano nel sepolcro: “videro le bende per terra, il sudario ripiegato. E si abbracciarono increduli piangendo a dirotto come bambini “(pp. 473-474).

La parabola evangelica di Affinati si conclude con la Pentecoste, evento che simboleggia come pochi altri il permanere, in senso fisico innanzitutto, del messaggio di Cristo sulla Terra. Lo Spirito Santo discende sul mondo “come fiocchi di neve, stelle cadenti, arcobaleni mobili: sin dai primordi, era sempre stata questa la loro opera distintiva” (p. 498). E lo Spirito Santo si fa visibile attraverso l’operato degli Angeli Custodi: “frotte di agenti segreti educati nei secoli al trapasso vertiginoso da una vita che va a quella che viene, pronti all’azione di guardia e sorveglianza, formati al divino insegnamento come inconfondibili rappresentanti dei nuclei territoriali diffusi ovunque sulla Terra” (p. 497). A testimonianza dell’eterna presenza divina, questi 007 con le ali “stanno continuando a scendere. Non smettono di farlo, mentre finisco di scrivere, per ogni bambino che nasce, così da non lasciarlo mai solo” (p. 498). Et voilà, nell’explicit si ribadisce per un’ultima volta il messaggio del libro: la figura di Cristo è più che mai attuale e andrebbe riscoperta nella sua vitalità.

Per il lettore adulto, il fantasy in salsa palestinese di Affinati presta più di qualche spunto a una serie di facili ironie nelle quali sarebbe auspicabile non cadere. Innanzitutto, perché l’opera non è rivolta a loro. In secondo luogo, perché il tentativo di far avvicinare i ragazzi di oggi alla figura di Gesù Cristo attraverso un libro è un’impresa titanica, degna della più grande ammirazione perlomeno in quanto sfida estetica. In terzo luogo, perché Il vangelo degli angeli potrebbe funzionare, per tanti, come i libri di Luciano De Crescenzo per degli aspiranti filosofi: potrebbe fornire una sorta di scala, salendo sui cui gradini è poi possibile raggiungere altri testi. Fuor di metafora, potrebbe invitare molti alla lettura dei Vangeli, testo senza il quale non si capisce nulla della nostra civiltà. Riuscisse in quest’intento, il libro di Affinati farebbe un’opera di divulgazione più che apprezzabile. Il ‘vangelo’ di Affinati non è però un’esortazione verso una lettura laica della buona novella, oppure verso una riscoperta della portata etica del messaggio di Cristo: l’ambizione è quella di reincantare una storia millenaria, rinvigorire un mito mai tramontato, eppure esangue. È un libro che invita il lettore a credere.

Ora, si sa che il galateo prescriverebbe al recensore di non esporsi eccessivamente, di parlare dell’opera nel modo più oggettivo possibile. Chi scrive è convinto che talvolta sia invece meglio palesare ‘da dove si parli’, per citare una formula che andava tanto di moda negli anni Settanta. Si sarà capito che non condivido la fede di Affinati; non la invidio nemmeno, al contrario di ciò che sostengono molti atei o agnostici, spesso a mo’ di excusatio non petita. Tuttavia, comprendo umanamente il bisogno di parlare di questi temi per un credente. Diffondere il verbo, mi sembra essere per Affinati una missione innanzitutto educativa, oltre che la risposta in chiave creativa a una serie di private domande spirituali. È una prospettiva che rispetto, in gran parte per il suo anacronismo. Mi pare che la necessità di essere sempre attuali, sempre connessi con il (sempre presunto, sempre già passato) contemporaneo, non giovi né alla letteratura né all’impegno civile.

Non mi trattengo però dal condividere un dubbio che si lega, in fondo, alle statistiche di cui sopra. Un dubbio che la lettura de Il vangelo degli angeli ha certamente ispirato, alla luce del rapporto Censis e del lodevole lavoro che Affinati compie in prima persona nel suo profondo impegno civile: non sarebbe più utile se un’opera di ispirato senso educativo si rivolgesse ad altre fonti rispetto a quella evangelica, in un Paese in cui una percentuale sbalorditiva di cittadini non solo non crede all’empirico, ma talvolta crede di vedere letteralmente degli agenti segreti celesti (siano essi dei rettiliani o bislacchi spettri di fantomatici complotti)? Non sarebbe meglio se si tentasse di indirizzar gli sguardi di giovani sensibili e suscettibili, curiosi e intellettualmente vivaci verso mete più terrene? Le prove precedenti di Affinati su Don Milani e Dietrich Bonhoeffer dimostrano che tali mete possano trovarsi anche all’interno della tradizione cattolica. Quel modello di intransigenza e resistenza culturale che queste due figure, per esempio, incarnavano, stride un po’ con l’operazione di reincantamento in chiave fantasy dei Vangeli messo in atto nell’ultima opera di Affinati. Non sarà che si può morire anche di un eccesso di divino, di un eccesso di credulità, oltre che di un eccesso di razionalità? Avvicinare i giovani (ma non solo i giovani) alla scoperta e alla storia del pensiero razionale non sarebbe un’impresa meno titanica dell’evangelizzarli, sembrerebbe. Darebbe frutti, sul piano civile ed educativo. Mi sembra di poter porre queste domande al di là delle convinzioni personali e della maestria artigianale di Affinati, oltre che nel pieno rispetto del credo di chicchessia. La truppa dei reincantatori del mondo pro domo sua è già abbastanza folta e i cattolici, occorre ammetterlo, non ne sono più i grandi ufficiali da un pezzo. Forse per gli scrittori cattolici (formula imprecisa e antipatica, ma non del tutto inutile) è giunta l’ora di scoprirsi furbescamente nicodemisti e agire nel mondo, almeno per un po’, etsi Deus non daretur.  


E. Affinati, Il vangelo degli angeli, HarperCollins, Milano, 2021. 498 pp., 19,50 euro.