Il gruppo di lettura torinese Sul ponte diVersi propone per «La Balena Bianca» una serie di interviste a critici letterari di poesia contemporanea italiana. L’occasione offerta dall’intervista permette di articolare meglio un dialogo che non dimentica di coinvolgere e interrogare i critici selezionati e parte delle loro opere e produzione, in modo da circoscrivere di volta in volta gli argomenti enucleati e proiettarli verso ambiti problematici più ampi e generali. Apparirà evidente, così facendo, quanto nessuna ricerca critica sia inizialmente concepibile se non, volendo chiosare un’affermazione di Gianfranco Contini, «come esercizio sui contemporanei».

Nella prima intervista, Federico Masci e Jacopo Mecca del gruppo Sul Ponte diVersi hanno incontrato Sabrina Stroppa, nella seconda dialogano con Claudia Crocco, autrice di La poesia italiana del Novecento. Il canone e le interpretazioni (Carocci, 2015) e La poesia in prosa in Italia. Dal Novecento a oggi (Carocci, 2021) e di numerosi articoli sulla poesia contemporanea.


1) La poesia in prosa, in Italia, come dimostra la lettura del tuo libro La poesia in prosa in Italia. Dal Novecento a oggi, diventa un genere letterario e inizia a essere usata con consapevolezza espressiva in un momento, come l’inizio del Novecento, in cui da una parte «la narrazione romanzesca è molto debole»1, e in cui dall’altra, anche attraverso il genere, diventa visibile «la crisi della referenzialità dell’arte, delle certezze religiose, e dell’idea unitaria dell’anima umana che ha caratterizzato il modernismo»2. Riviste e antologie del periodo, come la celebre Poeti d’oggi, curata da Giovanni Papini e da Piero Pancrazi, contribuiscono a fissarne caratteristiche e specificità. A quasi cento anni di distanza un’altra antologia, La terra della prosa. Narratori italiani degli anni Zero (1999-2014), curata da Andrea Cortellessa, testimonia, da coordinate culturali diverse, e con esiti diversi, «un cambiamento nella percezione dei generi letterari»3 che rende scarsamente efficace un discorso critico capace di discutere il rapporto tra poesia e prosa soltanto in termini distintivi. Mondi diversi che lasciano quindi intravedere determinate persistenze. Quali legami sono istituibili tra la poesia in prosa antologizzata agli inizi del Novecento e quella contemporanea?

Claudia Crocco: Le poesie in prosa pubblicate cento anni fa hanno senz’altro alcuni punti in comune con quelle uscite nell’ultimo decennio, anche se non forzerei troppo il paragone.

Un primo punto in comune è l’importanza delle riviste letterarie, sia come sede di pubblicazione, sia come centro di discussione critica. Le riviste di oggi sono i siti e i blog letterari, ovviamente: «Nazione indiana», «Le parole e le cose», «L’Ulisse», «puntocritico», «gammm» ecc. hanno avuto un ruolo centrale nella diffusione della poesia in prosa e nella creazione di un dibattito sulla sua esistenza. Un’altra somiglianza fra la letteratura di inizio Novecento e quella contemporanea è la presenza di una sperimentazione ibrida, cioè testi che esplorano territori diversi da quelli tradizionali – quasi una “spinta esogena” all’interno dei generi letterari. A questo proposito, va detto che la poesia in prosa è stata resa possibile anche dalle case editrici disposte a pubblicarla, in alcuni casi legati alle riviste stesse o ai loro redattori (La Voce, Carabba, Vallecchi, cento anni fa; Transeuropa, La camera verde, Donzelli e altri, in tempi più recenti), che hanno dato spazio a testi non immediatamente riconoscibili come poesia, e che hanno contribuito a creare un pubblico disposto a leggerli.

Infine, la poesia in prosa di inizio Novecento si sviluppa contemporaneamente al verso libero, come reazione al canone metrico tradizionale. Analogamente, a inizio anni Duemila, si percepisce una forma di usura verso le forme sperimentate da autori lirici post-montaliani, da un lato, e da alcuni esordienti negli anni Settanta (tra tutti, Milo De Angelis), dall’altro. Mi riferisco soprattutto a fenomeni metrico-sintattici come l’enjambement, l’uso delle parentesi e degli incisi. Credo che alcuni autori inizino a scrivere in prosa anche per reazione a questo piccolo canone tardonovecentesco della scrittura in versi.

Vorrei aggiungere che la spinta esogena non riguarda solo la poesia: così come c’è molta prosa scritta a partire dalla poesia, oggi c’è anche molta poesia all’interno di libri classificati come romanzi, sia italiani sia stranieri. Ma è un argomento sul quale sto ancora riflettendo, e sul quale non posso (ancora) dilungarmi.

2) Nel numero VIII di Ticontre. Teoria testo traduzione del 2017, dal titolo La poesia italiana dal 1975 ad oggi. Ricostruzioni e interpretazioni del contemporaneo, a cura tua, di Andrea Afribo e Gianluigi Simonetti, si dichiara sin dall’introduzione quanto «la storiografia letteraria tradizionale, con le sue categorie interpretative consolidate»4 sia apparsa «a lungo inefficace per descrivere e commentare la generazione dei poeti esordienti a partire dal Pubblico della poesia»5, cioè proprio a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. La necessità di categorie interpretative e di strumenti critici diversi riguarda però anche la poesia prodotta e antologizzata dopo gli anni Duemila. Quali possibili categorie potrebbero essere utilizzabili per un’antologia futura e presente, anche considerando il relativo rinnovamento che gli studi interculturali, legati alla letteratura della migrazione, o gli studi di genere possono aver portato nel dibattito critico e in alcune sue manifestazioni?

Claudia Crocco: Dunque, fino al Pubblico della poesia il campo della poesia italiana ha delle coordinate riconoscibili. La poesia viene interpretata in base al rispetto di un canone metrico, ritmico e retorico, nonché grazie alla presenza di un soggetto che prende la parola usando la prima persona (si potrebbe obiettare che quest’ultima categoria salta con la letteratura d’avanguardia, ma non è così). Dopo gli anni Settanta quel campo letterario si sfalda, e gli strumenti critici tradizionali non sono più sufficienti. Il richiamo a una poesia di Montale o la presenza di un endecasillabo canonico possono essere tanto importanti quanto la citazione da un brano di musica rock o da un videogioco. I riferimenti culturali sono cambiati, inoltre è cambiato il campo letterario, e la critica ha tardato ad aggiornarsi in questo senso.

Per quanto riguarda le conseguenze nelle antologie, direi che alcuni autori sono inflazionati, anche all’interno di selezioni altrimenti molto parche, perché sembrano adattarsi alle vecchie categorie critiche: è il caso, per esempio, di alcuni dei più giovani presenti in Dopo la lirica. Altre antologie corrono il rischio opposto, cioè includono troppi autori, e in quel caso si può parlare di una non selezione, di fatto: sono quelle che Sanguineti, in una celebre intervista, definiva «elenchi telefonici».

Letteratura della migrazione, studi di genere, ecocritica e studi su letteratura e lavoro hanno senz’altro contribuito ad ampliare gli strumenti critici con i quali leggiamo e cerchiamo di comprendere la poesia contemporanea. Tuttavia anche approcci esclusivamente basati su studi interculturali possono portare a forme di miopia critica: considerare importante una poetessa o un poeta più che un altro, ad esempio, solo perché più rappresentativo da un punto di vista politico o ideologico, mi sembra un atteggiamento da evitare.

Qual è la soluzione, dunque? Non c’è una formula magica. Si può solo provare a mantenere un equilibrio.

3) Al di là dell’ambiguità inerente alla sua precisa definizione, l’antologia può essere discussa, come accade nel tuo libro La poesia italiana del Novecento. Il canone e le interpretazioni, nella sua qualità di strumento canonizzante. A loro volta le questioni che la forma antologica si porta dietro, questioni cui ogni generazione di critici prova a rispondere in base a criteri e strumenti diversi, sono numerose e implicano la selezione, la collocazione temporale e la valutazione critica del materiale selezionato. Nel tentativo di proporre oggi «una cartografia generale della poesia del 900»6, quali conseguenze strutturali potrebbero avere alcune delle più importanti “svolte interpretative” degli ultimi decenni, come l’introduzione della categoria di modernismo, o l’importanza verificabile, in termini di periodizzazione, della «svolta nel campo, nella percezione del ruolo, e nella percezione della tradizione»7, visibile a partire dagli anni Ottanta? Quali tentativi antologici vanno in questa direzione?

Claudia Crocco: All’interno di La poesia italiana del Novecento, in effetti, ho provato a dare rilievo alle svolte interpretative che citate. A proposito di antologie, so che Tommaso Di Dio sta curando un’antologia di ampio respiro, ma si tratta di una crestomazia tematica, dunque non credo che la periodizzazione abbia altrettanta importanza (magari mi sbaglio). Non conosco nuovi progetti che riguardino l’intero Novecento, e credo che sarebbe molto interessante avviarne uno.

Per quanto riguarda, in particolare, «la svolta nel campo, nella percezione del ruolo, e nella percezione della tradizione», vorrei precisare che la colloco a metà anni Settanta (non a inizio anni Ottanta), cioè appunto a partire da Il pubblico della poesia. Credo che già Parola plurale ne tenga conto, forse persino troppo: proprio perché l’antologia di Sossella si propone di dare rilievo a quella frattura e agli autori che la interpretano, la generazione dei nati negli anni Cinquanta – che iniziano a scrivere nei Settanta – in quel caso ha una rappresentazione ipertrofica. Una nuova antologia potrebbe dare una selezione diversa (e ridotta) di quegli autori, anche alla luce della loro evoluzione poetica successiva. Per fare solo un esempio, credo che la presenza di Maurizio Cucchi potrebbe essere ridimensionata.

Guardando alla prima metà del secolo, invece, credo che sia fondamentale inserire più poetesse. Quest’ultima questione riguarda anche il presente: una antologia di poesia contemporanea, oggi, non potrebbe più permettersi di avere lo squilibrio di genere che era considerato scontato anche solo un decennio fa.

4) Le poesie italiane di questi anni, uscito sul numero 17 de «L’Ulisse», nel 2014, continua la ricostruzione storiografica sul canone contemporaneo del volume La poesia italiana del Novecento, prendendo in considerazione alcune delle opere del primo decennio degni anni Duemila, pubblicate da autori che appartengono a generazioni anche molto distanti tra loro – dal Buffoni nato nel 1948 al Gezzi nato nel 1976 – nel tentativo di studiare tali raccolte in relazione alla tradizione precedente e riflettere sull’evoluzione del genere letterario. Vengono analizzate le opere di Buffoni, Mesa, Dal Bianco, Benedetti, Anedda, Gezzi, Bortolotti, Mazzoni, Testa, Broggi. In quell’occasione segnalavi il primo quindicennio del Ventunesimo secolo come «un periodo particolarmente vivace»8, paragonabile a quello compreso tra il 1911 e il 1925, oppure al quindicennio 1956-1971. Che cosa permette di capire il confronto di questi tre quindicenni, rispetto alle opere uscite e rispetto al tipo di legittimazione simbolica del fare poetico che inevitabilmente cambia sia nelle sue manifestazioni stilistico-formali sia come «espressione di un io e del suo modo di percepire la realtà»9?

Claudia Crocco: Quello che volevo dire è che, nei tre periodi che avete nominato, escono contemporaneamente opere molto diverse fra loro, e tutte di ottimo livello. Nel 1911 escono i Colloqui di Gozzano, nel 1914 i Canti Orfici di Campana e Pianissimo di Sbarbaro, nel 1919 l’Allegria di Ungaretti, nel 1925 gli Ossi di seppia di Montale. Per quanto riguarda l’inizio degli anni Settanta, di solito il 1971 viene considerato un anno simbolico: escono Satura di Montale, Viaggio d’inverno di Bertolucci, Trasumanar e organizzar di Pasolini, Invettive e licenze di Bellezza. Guardando a tempi più recenti, prendiamo anche solo un triennio, quello compreso fra il 2009 e il 2011: nel 2009 escono Tecniche di basso livello di Bortolotti, che è senz’altro qualcosa di mai visto prima in Italia, ma anche un libro più tradizionale come L’attimo dopo di Gezzi; nel 2010 abbiamo I mondi di Mazzoni, La divisione della gioia di Testa, Shelter di Giovenale, cioè tentativi di espansione del campo lirico, che però rimangono all’interno della lirica; nello stesso anno le poesie di Bordini vengono raccolte per Sossella (I costruttori di vulcani) e iniziano ad essere conosciute da poeti e critici delle ultime generazioni; nel 2011 viene pubblicata Prosa in prosa, l’antologia militante del gruppo di poeti in prosa che si pone come avanguardia. Poco dopo inizia la legittimazione poetica di Broggi con Avventure minime (2014).

Questi sono solo alcuni dei molti esempi possibili, ovviamente. Andando un po’ indietro, nel primo decennio degli anni Duemila sono ancora attivi alcuni grandi autori novecenteschi (escono le ultime cose di Zanzotto), compaiono libri molto belli di autori della generazione del Pubblico della poesia (Tema dell’addio di De Angelis, Guerra di Buffoni, Voi di Fiori), nuovi tentativi di espansione del campo lirico (Quattro quaderni di Mesa, Ritorno a Planaval di Dal Bianco, Umana gloria di Benedetti, Dal balcone del corpo di Anedda). Infine, in questo periodo la critica letteraria riprende slancio, soprattutto grazie alla diffusione di internet, e compaiono le ultime antologie d’autore che hanno alimentato un dibattito (Dopo la lirica, Parola plurale, Poesia contemporanea dal 1980 a oggi).

Mi accorgo di non avere risposto alla seconda parte della domanda: che tipo di cambiamento c’è rispetto alla legittimazione del fare poetico. Allora, qui si potrebbe scrivere un intero articolo; proverò a sintetizzare. Diciamo che la disgregazione del campo e il cambiamento nel rapporto con la tradizione iniziati negli anni Settanta caratterizzino anche la poesia italiana contemporanea degli anni Duemila: da questo punto di vista, c’è più continuità fra i libri del 1971 e quelli di oggi, rispetto a quelli di inizio Novecento. Lo stesso vale per il ruolo del poeta, cioè appunto la legittimazione simbolica di chi prende la parola nel testo, quella che possiamo chiamare la postura dell’io. Nelle poesie degli anni Duemila è molto raro trovare soggettività forti, autenticamente liriche, come ancora accadeva nel Novecento (se consideriamo questo aspetto, quindi, c’è più continuità fra i libri del 1914 e quelli del 1971). Oggi, anche quando l’io è presente, assume una postura problematica: ad esempio, spesso riflette sulla propria stessa esistenza, mettendo in discussione i propri privilegi; oppure cerca di dare spazio a voci diverse rispetto a quelle dell’autore. Insomma, dall’assenza del verso alla ricerca di un punto di vista enunciativo che rispecchi una soggettività diversa dell’autore, passando per il depotenziamento o la scissione dell’io e lo sconfinamento in altri generi artistici, la poesia contemporanea italiana cerca sempre più di allontanarsi dal modello romantico e poi novecentesco basato sul monologismo e sulla prevalenza del verso. Tutto ciò accadeva già nel Novecento, ma si accentua e diventa più evidente nel nostro secolo. Eppure qualcosa rimane costante: il tentativo di rappresentare forme di interiorità, ricorrendo a immagini – e, in misura variabile, a tecniche narrative – e richiedendo al lettore di accettare la validità epistemologica del testo indipendentemente dall’identità del punto di vista enunciativo, ma in virtù della sua presenza.

5) Dopo quasi otto anni da Le poesie italiane di questi anni, che per impostazione e metodo, prolunga la ricostruzione critica verso i poeti nati negli anni Settanta e verso le loro opere uscite nel primo quindicennio degli anni Duemila, quali libri e quali poeti nati a partire dagli anni Ottanta potrebbero essere indicati per continuare la costruzione e ricostruzione critica del presente? Quali modelli hanno questi poeti trentenni e quarantenni? È così facile individuarli all’interno di un immaginario sempre più ampio, vario e disseminato? Che rapporto hanno i loro libri con quelli delle opere dei poeti delle generazioni precedenti e in particolar modo con quelli presi in esame in Le poesie italiane di questi anni?

Claudia Crocco: In realtà ho già dato un seguito a Le poesie italiane di questi anni, con un saggio intitolato in modo molto simile (Le poesie italiane di questi anni. 2005-2020), uscito di recente sulla rivista «Polisemie». Rimando al sito della rivista: https://polisemie.warwick.ac.uk/index.php/polisemie/article/view/842. Voglio continuare questo lavoro, periodicamente, cioè voglio continuare la ricognizione del campo poetico italiano. Mi mancano ancora molti autori da studiare.

Puntando più in alto, cioè se si parla di cartografie di ampio respiro – insomma, di antologie – , non è affatto facile individuare modelli né ricostruire una mappa della poesia più recente. Credo che sia molto difficile farlo a partire da un unico sguardo critico. Io ci sto provando, ma non da sola. Uscirà una antologia della poesia italiana degli anni Duemila, che sto curando insieme ad altri tre critici (e amici). Spero che riesca a dare un contributo alla ricostruzione delle poesia contemporanea.


Claudia Crocco è laureata in Lettere Moderne all’Università di Siena e attualmente docente a contratto presso l’Università di Trento, dove si è addottorata. È autrice di La poesia italiana del Novecento. Il canone e le interpretazioni (Carocci, 2015), del recente La poesia in prosa in Italia. Dal Novecento a oggi (Carocci, 2021) e di svariati articoli e interviste sulla poesia contemporanea.

Sul Ponte diVersi è un gruppo di lettura di poesia e critica, costituito da Riccardo Deiana, Federico Masci, Jacopo Mecca e Francesco Perardi, nato a Torino nel gennaio del 2018 allo scopo di organizzare degli incontri con i poeti italiani contemporanei nel contesto della libreria indipendente Il Ponte sulla Dora. Tra gli ospiti: Umberto Fiori, Riccardo Olivieri, Franco Buffoni, Francesco Iannone, Mario Baudino, Giulia Rusconi, Matteo Marchesini, Giuliano Ladolfi, Marco Corsi, Fabio Pusterla, Guido Mazzoni, Franca Mancinelli, Giampiero Neri, Milo De Angelis, Giorgio Luzzi, alcuni dei poeti raccolti nel Quattordicesimo Quaderno italiano di Marcos y Marcos (Pietro Cardelli, Carmen Gallo e Raimondo Iemma). Sul Ponte diVersi collabora con «L’Indice del libri del mese», «Avamposto» e più recentemente con «La Balena Bianca». Da questo link (https://www.facebook.com/pontediversi) si può accedere alla pagina Facebook del gruppo.


1 Claudia Crocco, La poesia in prosa in Italia. Dal Novecento a oggi, Carocci, Roma, 2021, p. 54.

2 Ibidem.

3 Ivi, p. 237.

4 Andrea Afribo, Claudia Crocco, Gianluigi Simonetti, La poesia contemporanea dal 1975 ad oggi. Ricostruzioni e interpretazioni del contemporaneo, in Ticontre. Teoria Testo Traduzione, 8 – 2017, p. VII.

5 Ibidem.

6 Claudia Crocco, La poesia italiana del Novecento. Il canone e le interpretazioni, Carocci, Roma, 2015, p. 21.

7 Ibidem.

8 Claudia Crocco, Le poesie italiane di questi anni, «L’Ulisse» (Linee e ordini del giorno nella poesia italiana contemporanea), 17, 2014, p. 13.

9 Ibidem.