In attesa della cerimonia di premiazione della XXXVII edizione del Premio Narrativa Bergamo, che si terrà venerdì 18 giugno alle ore 17 in Piazza Vecchia (qui le istruzioni per partecipare), proponiamo delle brevi interviste con i cinque autori finalisti. Nel secondo appuntamento, parliamo con Antonio Franchini, in cinquina con Il vecchio lottatore (NNE Editore, 2020).

Quelli che compongono questa raccolta vengono definiti “racconti postemingueiani”: ci troviamo riferimenti espliciti a Hemingway, ma anche personaggi e contesti che rimandano alla sua narrativa (la corrida, Caporetto e i morti della Prima Guerra Mondiale, il rapporto tra l’uomo e la natura). Sono questi elementi che consentono di spiegare l’etichetta o c’è dell’altro?

Ne spiega una parte. Non spiega il post, che è giustificato dall’essere, la nostra, un’epoca nella quale l’esperienza diretta, il viaggio, il mondo non sono più quelli dei tempi di Hemingway.

In A un aficionado si legge: «Per quanto tutta la messinscena della corrida abbia il significato di ribadire il primato dell’uomo, nel toreo si crea una simbiosi profonda con l’animale e alla fine quasi un rovesciamento». Spesso in questi racconti si mette in scena un confronto tra l’individuo e qualcosa di “altro” (la fatica, la guerra, la natura, l’animale, la morte) e questo confronto sembra potersi risolvere soltanto attraverso un ridimensionamento delle ambizioni dell’uomo. È questo che significa diventare adulti?

Non so se l’unico modo di risolvere questo “confronto” passi attraverso un ridimensionamento delle ambizioni dell’uomo, forse sì. Se l’impressione che danno i racconti è questa, può essere. Sicuramente questo non significa diventare adulti. Non si diventa adulti, se non anagraficamente. Esiste una tensione verso la maturità, ma la maturità non esiste.

A parte qualche eccezione, in questi racconti il punto di vista di chi narra è a posteriori: al centro della narrazione c’è la ricerca o l’attesa di un momento, una rivelazione, un incontro o una conquista; questa ricerca e questa attesa sono però viste da uno punto distante nel tempo, che permette di misurare il peso delle cose, anche la loro natura illusoria. C’entra un elemento nostalgico con questa scelta prospettica?

Non escludo che possa esistere qualche elemento nostalgico, la nostalgia non mi dispiace, non è sentimento da cui prendo le distanze, la nostalgia mi appartiene. Però in questo caso la distanza da cui si guarda alle cose e agli eventi della vita non c’entra con la nostalgia. Credo, contraddicendo in parte quanto ho sostenuto prima, che esista una forma di consapevolezza che proviene dall’età e, anche se non ha direttamente a che fare con la maturità forse le assomiglia: quando raggiungi un’età che ti fa vedere come si sono sviluppate e concluse le parabole vitali di amici, conoscenti, persone vicine, qualcosa sulla vita cominci ad impararla…

Le raccolte di racconti, si sa, non sono molto gradite agli editori, eppure alcune di queste hanno segnato la storia recente (e non solo) della narrativa italiana. Lei ha composto una raccolta con racconti datati e altri più recenti, racconti finzionali e racconti autobiografici: qual è il criterio con cui ha costruito questo libro? Cosa l’ha guidata nella composizione dell’indice?

Il fatto che tutti i racconti per temi, ambientazioni, suggestioni avessero a che fare, più direttamente o meno, con il mondo spirituale di Ernest Hemingway.

Un’ultima domanda leggera, che rivolgiamo sempre ai finalisti del Premio: qual è la qualità o il carattere che possono far vincere questo libro?

Non posso rispondere a questa domanda se non andando contro a tutto ciò che credo. Non me ne importa niente di vincere, tanto più in un contesto letterario. In una gara sportiva, ancora ancora…Giuseppe Pontiggia, grande scrittore, importantissima presenza del premio Bergamo e intellettuale che ha influito sulla mia formazione più di qualsiasi altro, una volta, rispondendo a una domanda sui premi letterari disse, più o meno (cerco di rendere il concetto con la migliore approssimazione possibile): mettere gli scrittori uno contro l’altro, come in una gara sportiva, è semplicemente assurdo. Da questo punto di vista, ogni premio letterario è una sciocchezza. In ogni opera letteraria, però, anche nella più estrema e irriducibile, c’è, in qualche forma, una richiesta di consenso. In questo senso, ogni premio letterario è legittimo.