L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani 2021) è il nuovo romanzo di Giulia Caminito, autrice romana classe 1988 che con questa pubblicazione si aggiudica un posto nella dozzina candidata al premio Strega. Nel titolo risuona un avverbio di tempo che ci proietta in una condizione assoluta, in una dimensione che non sembra avere margini di miglioramento e non può essere soggetta a un cambiamento. L’osservazione appena tracciata rispecchia la storia raccontata attraverso la voce della protagonista Gaia, personaggio che accompagna il lettore lungo tutta la narrazione. Gaia è una guida sincera, un’attenta osservatrice che restituisce tasselli della sua vita in maniera potente, disarmante e sincera al limite del crudele.

Conosciamo Gaia – nome parlante che si contrappone al carattere e alla storia del personaggio – che è ancora una bambina, immersa in una vita che le sta già presentando conti amari con i quali confrontarsi. Vive la sua infanzia nella periferia della capitale, costantemente condizionata dai problemi economici che vessano la sua famiglia. La madre Antonia è una donna che ha sul volto i solchi di mille vite trascorse a lottare: lottare per essere stata una ragazza madre, lottare per non aver potuto conseguire un titolo di studio soddisfacente, lottare per aver sposato il padre di Gaia, che lavora in nero nei cantieri, e proprio in uno di questi cantieri cade perdendo definitivamente l’uso delle gambe e la sua dignità di uomo. La paralisi che colpisce la parte inferiore del corpo di Massimo si tramuta in un catalizzatore di cambiamenti dei quali Antonia è unico motore: è lei che si finge un avvocato ed entra violentemente negli uffici amministrativi per reclamare il diritto di poter vivere una vita degna, tra le mura di un ambiente che lei e la sua famiglia possano finalmente chiamare casa; è lei che si ritrova a dover proteggere i suoi quattro figli da un mondo che sembra rigettarli; è lei che trova soluzioni rudimentali per aggiustare qualsiasi cosa che si rompa. Tra le cose che si rompono è compreso il rapporto con Mariano, il primogenito con un cognome diverso dagli altri tre, che decide di voler combattere una lotta tutta sua, allontanandosi dal nido di mamma Antonia, la quale reagisce al dolore della perdita con una porta in faccia e con uno scatolone pieno di vestiti buttato fuori casa. Il tutto accade senza che Antonia riesca a permettersi il lusso di dedicare tempo alla comprensione dei bisogni di sua figlia, che sta crescendo con le unghie affilate per combattere battaglie che ancora non conosce. Gaia guarda la madre e ne trattiene un’immagine che oscilla tra la riverenza e il terrore, tra l’adorazione e l’odio, tra il rispetto e il rigetto della costrizione di sottostare ad una vita che non ha scelto.

Il mondo in cui Gaia cresce risponde a leggi e regole che non valgono per i suoi coetanei: a lei non è permesso scegliere quali vestiti indossare, deve adattare il proprio corpo snello e informe ai vestiti larghi e lisi di suo fratello maggiore Mariano. Deve infilare il suo diario, composto da quaderni legati insieme, dentro allo zaino che la madre ha rafforzato sul fondo per renderlo resistente al peso dei libri di seconda mano che deve trasportare ogni giorno fino a scuola.  È una giovane donna mossa dalla vergogna che insidiosa comincia ad accumularsi nella sua mente, a impedirle di mostrare casa alle sue amiche, a non riuscire a intrattenere con loro un rapporto sano. Gaia si vergogna soprattutto di provare una gelosia veniale nei confronti dei loro piccoli possedimenti incarnati in un lucidalabbra, in fermagli per capelli colorati, nel privilegio di possedere una camera propria, nella leggerezza dell’adolescenza che a lei è stata negata.

Grazie alla scrittura fluida e immediata di Caminito, seguiamo la storia di Gaia e conosciamo insieme a lei le persone che cominciano a farne parte; progressivamente vediamo formarsi il carattere di un’adolescente che diventa giovane donna anche mediante rapporti sociali che si costituiscono sempre come dei conflitti. Gaia ha un tremendo bisogno di amore e di comprensione, ma fa di tutto per rifiutarne ogni forma, la sua è una corazza costruita in pochissimo tempo ma già solida e inattaccabile. Si sente estranea, avversa ai giovani amori delle sue amiche, detesta riconoscerne la disinvoltura nei confronti del genere maschile, soprattutto quando matura la consapevolezza di non essere a sua volta capace di tale disinvoltura o piuttosto di non volerne essere partecipe. Il non essere in Gaia si trasforma in odio per chi in qualche modo è.

A fare da sfondo alle mille vite vissute da Gaia c’è sempre il lago di Bracciano, silente compagno, specchio che restituisce l’immagine peggiore di chiunque vi si sporga, occhio instancabile, protettore di segreti indicibili. Il lago è fondale delle prime relazioni della protagonista, delle prime amicizie, della rabbia e del senso costante di perdita e abbandono. Sulle rive del lago Gaia ha ballato quando non voleva, ha baciato prima di essere tradita, ha picchiato e strappato capelli a chi ha osato prendersi qualcosa che era suo, si è illusa di poter essere capace di vivere una vita spensierata anche solo per una notte, ha guidato un motorino a fari spenti con l’eccessiva supponenza di chi pretende di riconoscere ad occhi chiusi le viscere di un paese stanco e vessato.

Al termine del libro, sappiamo di essere stati al fianco di Gaia fino alla fine del suo percorso universitario: lo studio è l’unica ancora di salvezza della giovane donna che, non avendo ottenuto nulla con facilità, si impone il riconoscimento di un sapere come massimo traguardo. Gaia affronta lo studio come un bulimico si approccia a un buffet di antipasti, ingurgita fino allo stremo, fino a che non ha più la forza e lo spazio per fare altro, per poi rigettare, rimettere al mondo tutta quella conoscenza assorbita che spera possa garantirle, prima o poi, un posto nel mondo tutto suo.

La scrittura di Giulia Caminito è incisiva ma misurata, ogni aggettivo utilizzato ha una ragione di esistere, tiene il lettore legato indissolubilmente alla pagina; oltre a permettergli di esplorare la mentalità, la crescita autodistruttiva e le battaglie quotidiane di Gaia, lo rende pellegrino in una terra quasi spettrale. Le ambientazioni sono descritte con una precisione tale da poter essere riprodotte in un disegno che sfiora la perfezione realistica. Si riconosce il legame dell’autrice, esplicitato nella “Nota dell’autore” finale, con il territorio raccontato. Caminito è riuscita a costruire un personaggio che non sarebbe potuto crescere che sulle rive di quel lago in quanto ne trattiene tutte le contraddizioni: l’essere vicina a Roma, ma sentirsi da essa rigettata e prosciugata, così come prosciugate sono le acque del lago, che sempre più vengono sfruttate e compromesse; l’essere piccola ma profonda al punto da nascondere le cause del proprio peggio, così come il lago nasconde detriti, sostanze nocive, e qualsiasi cosa potesse avere un senso sulla terra ferma prima di essere corrosa e digerita.

In chiusura, nel romanzo fa capolino una figura che trattiene un’aura quasi mistica: il cigno. Animale bellissimo, affascinante ma violento e inavvicinabile, portato in quel lago dai primi stranieri che hanno cominciato a popolarne le rive, un’anima presa e obbligata all’adattamento in una terra che la incattivisce. Il paragone con Gaia non è esplicitato ma risulta tangibile e aiuta a delineare in modo ancor più preciso i caratteri di un personaggio che, sempre dalla nota dell’autore, scopriamo essere il risultato di una fusione di più storie realmente vissute da figure femminili che hanno fatto parte del processo di crescita di Giulia Caminito.

Grazie all’autrice siamo portati a toccare argomenti e situazioni di denuncia sociale esplicita, dal malfunzionamento della pubblica amministrazione al degrado degli ambienti scolastici; dall’inquinamento causato dalla speculazione industriale al disinteresse nei confronti dei giovani che si trovano a crescere senza linee guida e che di conseguenza, creandosele da soli, ne subiscono tutte le conseguenze; dal bullismo alla pedopornografia, dalla difficoltà di diventare donne alla consapevolezza di non averne più la forza, decidendo di  uscire dalla scena della vita esalando l’ultimo respiro in un sacchetto di plastica fermato al collo con dello spago.

Il romanzo risulta essere un racconto a tutto tondo della prima età della protagonista, della quale, commettendo un errore ermeneutico di appropriazione del personaggio, vorremmo sapere di più, indagandone il presente e il futuro.  La descrizione di Gaia ben si intreccia con ciò che accade e gravita intorno alla sua esistenza così da risultare un personaggio pieno fino all’orlo, con una caratterizzazione efficace e incisiva. La narrazione dei difficili rapporti familiari risulta essere un affresco efficace e di facile condivisione, così come viene letta e compresa in maniera immediata la difficoltà di accettare e definire i rapporti di amicizia e sentimentali strutturati su una base fragile e prossima allo sgretolamento. Giulia Caminito ci consegna una storia da maneggiare con cura, da leggere con empatia e con la disponibilità ad essere colpiti da un’esistenza fredda, profonda, complessa e maltrattata, che è quella di Gaia ma anche quella del lago, le cui acque non sono ancora dolci.


G. Caminito, L’acqua del lago non è mai dolce, Milano, Bompiani, 2021, 304 pp., € 18.