La Silicon Valley è entrata nella nostra vita in modo graduale, quasi di soppiatto. All’inizio solo come un nome, neanche troppo associato alla mela morsicata o al libro dei volti. Poi sempre di più, tanto che ora siamo perfettamente consapevoli del rapporto di stretta dipendenza che ci lega a essa.

Quando propongo di ritornare al vecchio telefono, quello che c’era prima degli smartphone, l’obiezione è sempre la stessa: si può anche fare a meno dei social (si è anzi più o meno tutti d’accordo che sarebbe un bene), ma è impossibile anche solo pensare di vivere senza WhatsApp (l’iconcina verde creata nel 2010 da Jam Koum e Brian Acton, e venduta a Facebok nel 2014 per 19,3 miliardi di dollari).

Provo a scorrere le conversazioni, a individuarne questa necessità: appaiono una sfilza di parole marginali, spesso inutili; e anche quando sono utili, lavorative, perlopiù comunicano un senso ossessivo e stringente di produttività e nevrosi. L’irraggiungibilità diviene una mancanza – una colpa.  Così queste “piccole” strutture dell’agire e del pensiero sono silenziosamente divenute parti costitutive delle nostre vite.

Quest’anno Adelphi, come spesso accade in anticipo sui tempi, ha avuto due uscite importanti sull’argomento: due libri che ci portano nella Silicon Valley e ci aiutano a comprenderla meglio: La valle oscura di Anna Wiener e Steve Jobs non abita più qui di Michele Masneri.

Il libro di Masneri e quello della Wiener hanno entrambi uno stile chiaro e definito, due penne da professionisti del giornalismo narrativo. Masneri padroneggia la prosa come un novello Arbasino – che in America amore arrivato anche lui a San Francisco scriveva: «Una luce di qualità forsennata, indifferente, orizzonti troncati o spalancati o improvvisamente deserti; e continui vortici di nebbia: invadente e salata, sa di mare»; stilisticamente rapidissimo, si legge come un romanzo, pagina dopo pagina,  trascina e  incanta.  

Anche Wiener racconta gli uffici e gli incontri della sua vita con una fluida grazia stilistica. Due prospettive completamente diverse: più mondana e documentaria quella di Masneri, più coinvolta e specifica quella di Wiener; due percorsi che segnalano il diverso grado di autobiografia in gioco, ma che funzionano come strategie stilistiche complementari, offrendo al lettore due angolature sullo stesso oggetto in cui una colma i vuoti dell’altra.

Masneri restituisce infatti un’immagine della Valley da outsider, visitatore curioso e impertinente di quel mondo di cui ha tanto sentito parlare. La Wiener la racconta invece dall’interno, facendo sembrare quella realtà che appare tanto mirabolante agli occhi di Masneri, non così diversa, non più alienante di altre (a eccezione degli stipendi). Anche l’esperienza di precariato che la Wiener fa nell’editoria newyorkese non ha quasi nulla di diverso da quella di una persona qualsiasi appena uscita da un master di editoria a Milano (grattacieli a parte). 

Ma a guardare con attenzione, nessuno dei due autori appartiene davvero alla Silicon Valley. La Wiener ci finisce quasi per caso. E, se sembra che uno stipendio così alto possa bastare per farle abbandonare senza rimpianti la sua vita newyorkese, ci si accorge di una verità fatale, in cui tutti o quasi avrebbero voglia di imbattersi, il più agognato dei dilemmi morali: il denaro ha un prezzo, e spesso non può convivere con la purezza morale. Cosa scegliere, quindi? Soprattutto se, in quanto scrittori, si è dotati di tutti i migliori strumenti dell’autocoscienza? In entrambi i libri, insomma, l’occhio che osserva è quello lucido e smaliziato dell’umanista, che in quel mondo non si integra mai davvero.


Michele Masneri, dopo Addio Monti (minimum fax), torna in libreria per Adelphi, con il reportage dei suoi viaggi nella Silicon Valley Steve Jobs non abita più qui. Già dal titolo sottolinea l’ironia con cui intende raccontare le sue esperienze, facendo eco al Martin Scorsese di Alice non abita più qui (1974).

Non ho più l’età, era ovvio, per questo Erasmus da quarantenne – eppure l’idea era semplice, lasciare per un anno Roma e l’Italia decotta, le buche e la depressione economica e morale, e venire nel posto in cui tutti sono giovani, e felici, e progettano il futuro», scrive. «Sensazione che tutto sia possibile: estinzione degli anziani, in una repubblica di giovani con la più alta concentrazione di talenti almeno tecnologici per metro quadro dal tempo della Firenze rinascimentale.

E quando davvero ci arriva, le cose stanno esattamente così, e allo stesso tempo diverse: più scomode, più pratiche, meno ideali. Gli affitti sono altissimi, le abitazioni vecchie e piccolissime. Si trova invischiato in soluzioni di comodo e coinquilini, perché «in città nessuno abita da solo; si vive in appartamenti divisi, con cessi e cucine in comune», «costi immobiliari: camera in affitto, da millecinquecento al mese; monolocale, da duemilacinquecento». Tutti hanno qualche startup in ballo e, nel frattempo, dormono nei garage o nei camper davanti la sede di Facebook. 

Nella valle, d’altra parte, l’atmosfera non è delle migliori: i sogni progressisti e di giustizia degli americani si sono spenti con l’elezione di Trump. È in quel momento che arriva Masneri, la sua prima sistemazione è una specie di comune che lui chiama «Casa del Grande Fratello Startapparo».

Masneri si muove in questo ambiente senza nessuna pianificazione. Si trova invitato a festini ed eventi, non incontra chi vorrebbe incontrare (come Peter Thiel, fondatore di PayPal e unico sostenitore di Trump nella Valley), ma incontra chi non si aspettava di trovare: come il viceconsole francese, anche lui ad un gala per il lancio di un progetto di isole galleggianti in Polinesia, perché le isole che già ci sono potrebbero essere sommerse in seguito al cambiamento climatico – e nuovi paradisi fiscali fanno comunque comodo.

La narrazione è mobile, frenetica, destrutturante: sì, è vero, siamo al centro del mondo, e gli stipendi sono stratosferici, e c’è un’incredibile concentrazione di talenti. Ma la qualità della vita è molto bassa

Nel suo peregrinare alla ricerca di una ragione che giustifichi quel mondo spaccato in due, l’abisso che separa povertà assoluta e milionari, strapotere economico e assoggettamento completo al lavoro, Masneri incontrerà anche Bret Easton Ellis e Jonathan Franzen.

Se Ellis è in qualche modo inserito nel contesto, e Masneri lo cattura rappresentando uno spicchio trasversale del suo quotidiano, Franzen non sembra essere messo altrettanto bene a fuoco. Appare come un gigante che cerca di sfuggire all’avvicendarsi della modernità che lo circonda. Lui che in La fine della fine della terra, uscito nel 2018, scriveva fra le sue «dieci regole per scrivere narrativa»: «Difficilmente chi è connesso a internet scriverà qualcosa di buono».


Poi c’è Anna Wiener, con il suo esordio narrativo La valle oscura, un memoir dei suoi anni nella valle in cui tutto può succedere. Nel mondo dell’editoria in cui sperava di lavorare «non c’era più spazio per crescere, e dopo tre anni il brivido voyeuristico di rispondere al telefono di qualcun altro si era decisamente attenuato».

La Wiener è molto dura con il mondo culturale a cui ambisce: «L’industria editoriale era tenuta a galla da romanzi di successo su giochetti sadomaso e vampiri scoperecci», «gli unici modi per avere una carriera accettabile e di successo nel settore editoriale erano in apparenza, ereditare un po’ di soldi, fare un buon matrimonio, oppure aspettare che i colleghi lasciassero il lavoro o morissero». 

Così l’autrice se ne va verso «l’ottimismo del capitale, del potere e dell’opportunità», senza però accettare del tutto questa sorta di compromesso. La sua narrazione sulla penetrazione in questa realtà completamente altra – alterità restituita al lettore in una forma ancora più straniante, non chiamando  le aziende big tech con i loro nomi (Facebook, ad esempio, è «il social network che tutti odiavano»; Airbnb «la piattaforma di condivisione domestica») – procede con un’analisi comparata di guadagni (principalmente economici) e perdite (appartenenti a quel passato frustrante da cui è scappata). Il suo racconto ci porta dentro il delirio capitalistico, misogino e senza controllo. È il 2013.

Era l’epoca dei big data, complesse collezioni di dati rese possibili dalla crescita esponenziale della potenza di calcolo, e immagazzinate, secondo la moda nel cloud. I big data interessavano ogni settore: scienza, medicina, agricoltura, istruzione, ordine pubblico, sorveglianza. Le scoperte giuste potevano valere oro, ispirando nuovi prodotti, rivelando la psicologia dell’utente, o dando origine a campagne pubblicitarie ingegnose e estremamente mirate. Non tutti sapevano perché avevamo bisogno dei big data, ma tutti sapevano di averne bisogno.

La Wiener riflette più volte, non senza stupore, sulla completa fiducia dei clienti di affidare ai big tech le informazioni più private: lei può vedere, maneggiare ogni cosa, così come i suoi colleghi. E nessuno mette in dubbio l’affidabilità e le buone intenzioni di chi può accedere a quei materiali. 

La Wiener, assorbita da questo mondo, prende a cuore la mission della prima azienda che la assume, e i suoi colleghi che camminano scalzi negli uffici, si vestono male, abituati a un mondo completamente maschilista divengono i suoi amici, le uniche persone che frequenta. Anche lei parla di libertà ostentata, di persone particolarissime, e di case piccolissime con prezzi inaccessibili.

Di cosa si occupa un’umanista nel mondo digitale? Un generico Risorse Umane – a volte con il sospetto che sia più l’essere donna che non il suo talento a valerle l’assunzione; non decide nulla, non siede fra i grandi capi, non è da lei che dipendono i guadagni dell’azienda. L’instabilità da cui è fuggita e che tanto la preoccupava, si trasforma in una ciclicità sovraccarica ancora più tossica, da cui l’impellenza di fuggire è ancora più forte. E infine, nonostante gli zeri nella sua busta paga continuino ad aumentare, se ne va. Torna a riappropriarsi della sua esistenza: perché la vita nella Valley assomiglia più a una vocazione totalizzante che non a un’esistenza. 

Questi due libri ci mostrano la Silicon Valley dall’interno e dall’esterno, ma la voce che si muove dentro la Valley è in entrambi i casi una voce critica, che a quel mondo non appartiene, che lo guarda con curiosità e fascinazione, che lo giudica e lo ridimensiona.

Viene da chiedersi come potrebbe raccontare quella realtà chi fosse capace di comprenderne davvero i meccanismi: chi fosse all’interno di quelle forze storiche. Forse, appunto, non sentirebbe il bisogno di raccontarcelo: forse quel mondo ha vinto, e la sua verità è già oltre il nostro lessico. Questi due libri però ci avvicinano a esso,  svelando le dinamiche e le umanità che si celano dietro le icone del nostro telefono. Ci permettono di dare uno sguardo, di indugiare anche noi in quella valle straordinaria e oscura, dove ambizione e ossessione si mescolano, e si delineano le forme di un futuro, forse, già in atto


Michele Masneri, Steve Jobs non abita più qui, Milano, Adelphi, 2020, €19.


Anna Wiener, La valle oscura, Milano, Adelphi, 2020, €19.