Questo giorno che incombe, pubblicato lo scorso gennaio da HarperCollins, è il nuovo avvincente romanzo di Antonella Lattanzi. Già conosciuta nel panorama italiano per i precedenti tre romanzi pubblicati per Einaudi e per la sua indagine saggistica intorno alla letteratura folkloristica pugliese, Lattanzi è un’autrice barese profondamente legata alla cultura dei propri luoghi d’origine e nondimeno ben radicata nella realtà urbana della città di Roma nella quale vive.

Artefice di un’elaborata architettura narrativa che investe sulla costruzione della trama e dell’intreccio, nell’introduzione al romanzo si mostra nella propria veste autobiografica attraverso un flusso di pensieri e di ricordi che legano indissolubilmente la vicenda narrata alla realtà da cui trae origine. Un caso di cronaca realmente avvenuto a Bari durante l’infanzia dell’autrice è infatti l’ispirazione da cui scaturisce e si sviluppa un racconto finzionale che intreccia finemente generi e filoni narrativi diversi, indagando vari aspetti di una vita parzialmente coinvolta nel caso, per costruire un racconto coinvolgente su più livelli. Si può dire che si tratti di un thriller, del resoconto cronachistico della scomparsa di una bambina in un quartiere della periferia di Roma, ma prima ancora l’opera è un’indagine psicologica intorno alla maternità e ai turbamenti che essa può comportare, è la storia della fine di un matrimonio e dell’origine di una nuova relazione amorosa adultera; il tutto costruito intorno alla figura della protagonista, il cui punto di vista mette a fuoco l’intera narrazione. Sfruttando alternatamente modi del giallo, del rosa e dell’erotico prende vita una fiction moderna, che sa essere coesa e insieme scandirsi episodicamente secondo i ritmi di quella che sembra una serialità televisiva, che incoraggia la lettura e alimenta la suspense.

Capitoli estremamente brevi e una più ampia suddivisione in cinque parti contribuiscono alla leggibilità del testo, ma a livello macroscopico il libro sembra più evidentemente costituito da due metà, distinte sia dal punto di vista contenutistico, sia da quello del ritmo e dell’andatura. Oggetto della prima parte del romanzo è soprattutto la resa narrativa del disagio e della depressione di Francesca, che forza il ritmo, rallentandolo, e lo stile, conducendolo verso picchi dettagliatamente espressionistici. In seguito al primo momento fortemente drammatico, la scomparsa di Teresa, una delle più piccole inquiline del Giardino di Roma, l’innestarsi del giallo dinamizza l’incedere del racconto, conducendo le dinamiche di paura e di reciproci sospetti fra i vicini di casa verso esiti estremi, mentre il motivo dell’infatuazione romantica per il dirimpettaio Fabrizio restituisce a Francesca una certa vitalità e la spinge infine verso un ruolo più attivo nella propria vita e nel resistere ai segreti intrighi di condominio in cui si trova immersa.

I primi inquietanti capitoli documentano il disastroso crollo delle aspettative di una donna che giorno per giorno vede trasformarsi quella che pensava sarebbe stata un’isola felice, luogo di libertà dove iniziare una nuova vita insieme alla famiglia, nella sperduta prigione che la relega irrimediabilmente fuori dal mondo. Il processo assume tratti grotteschi e quasi fantastici, ma di fatto a innescarlo è la reclusione nello spazio domestico a cui è costretta Francesca, trattenuta in casa dalle incombenze del trasloco e dai doveri materni, priva di mezzi per spostarsi autonomamente e di ragioni per farlo. Perciò la narrazione offre, in un certo senso, uno stimolo per riflettere sul carattere alienante del lavoro domestico, mettendo in luce le varie condizioni che lo rendono tale, innanzitutto la ripetitività e la quasi totale assenza dei rapporti sociali che ne sono caratteristici, e le sue conseguenze più devastanti per la soggettività e la psiche femminile, ovvero l’affievolirsi dell’interesse nelle proprie passioni, il manifestarsi di uno stato depressivo e l’insorgere di sentimenti pericolosamente ambivalenti nei confronti dei figli. E mentre Francesca si ritrova deietta in questo nuovo contesto esclusivamente casalingo e familiare, mutano in modo complementare le abitudini del marito. Il rapporto fra i ruoli di genere dei due si ricalibra in modo iniquo rispetto a una situazione precedente che viene ricordata come diversa e quasi diametralmente opposta. La coppia sembra regredire verso un rapporto più tradizionale e arretrato, costruito secondo un modello relazionale prototipico nel quale il marito si occupa quasi esclusivamente del proprio lavoro mentre la moglie è annichilita e costretta a rinunciare alle proprie aspirazioni e al proprio spazio personale.

L’intima insoddisfazione di Francesca incrina così il rapporto con le figlie, che si fa sempre più difficile, provocando in lei un forte senso di frustrazione dovuto all’incapacità di riconoscersi nel ruolo materno socialmente stabilito, al non sentirsi all’altezza di tale ruolo e alla paura di non riuscire a provare i sentimenti che crede di dover nutrire per le sue bambine. Così Angela ed Emma, spesso dolcissime e allegre, assumono atteggiamenti che si dimostrano cattivi e caparbi alla luce della prospettiva della madre, suscitando prima la rabbia e il risentimento e poi il senso di colpa e l’affetto quasi patologici di Francesca, sempre più provata e spaventata. Il resoconto di tali stati d’animo è di particolare interesse all’interno del testo, perché costituisce una resa psicologica acuta di ciò che una madre può provare per i propri figli in determinati contesti di isolamento.

Proprio il senso di isolamento e abbandono sofferto dalla protagonista provoca in lei lo sviluppo di una serie di disturbi psichici, che possono essere verosimilmente interpretati come i sintomi di una depressione dai tratti schizofrenici. Innanzitutto compaiono le amnesie, che impediscono a Francesca di ricordare lunghi tratti delle sue giornate, rendendola sempre meno cosciente di ciò che le accade intorno. In seguito emergono un forte senso di spersonalizzazione – l’insopportabile impressione di essere distaccata e al di fuori del proprio corpo – e le percezioni allucinatorie visive e uditive. Dapprima, le voci che sente Francesca sono più confuse e lontane, non è possibile ricondurle con sicurezza a una fonte particolare, e paiono piuttosto le diverse rivendicazioni delle parti discordanti della mente della donna; ma con il procedere dei giorni vissuti nel condominio, la voce che spicca cristallina si riconosce chiaramente come quella della casa, presenza viva e ambivalente, estremamente volitiva, che durante il romanzo permette ai conflitti interiori della protagonista di assumere esplicita espressione linguistica. Il processo di personificazione della casa che si produce nella mente di Francesca sembra un legittimo meccanismo di risposta alla solitudine disarmante in cui versa la donna: avendo perso qualsivoglia rapporto reale nella propria vita e non sapendo a chi potersi rivolgere per chiedere aiuto, Francesca inconsciamente attribuisce volontà e personalità a un’entità altrimenti inanimata, che tuttavia, incarnando la percezione di una persona in preda all’ansia, finisce per diventare una presenza tirannica e spaventosa, più spesso di quanto non si presti come compagna solidale e consolatoria. D’altronde le case sono da sempre, in letteratura e più in generale nelle diverse forme artistiche narrative, uno degli elementi inanimati più spesso personificati o più semplicemente percepiti come dotati di una personalità. Anche dalle fondamenta della storia di Francesca risuona l’idea che i luoghi siano portatori di uno specifico carattere, che si forma e muta in virtù degli individui che li abitano e degli avvenimenti che si svolgono presso di loro.

Infine, sentendosi irrimediabilmente prigioniera all’interno del perimetro del condominio, Francesca sente crescere un timore delirante nei confronti dei condomini e della possibilità che essi stiano complottando contro di lei, suggerendo un’idea che per tutta la durata del libro il lettore non riesce a interpretare definitivamente né come allucinatoria né come reale. Tutti gli abitanti del Giardino di Roma si muovono nello spazio come spettri, sembrano burattini grotteschi di un teatrino dell’orrore e insieme i devoti partecipanti di una setta segreta. Le descrizioni fisiche estremamente dettagliate che la voce narrante delinea nella prima parte contribuiscono a rendere queste figure piatte quasi bozzettistiche. Fra tutti, a detenere il bastone del comando è sicuramente Colette, “il Cerbero del condominio”, che osserva e dirige tutto ciò che succede nel palazzo. Gli occhi dei vicini che scrutano indiscretamente chiunque si introduca nel condominio alimentano la vorticosa sensazione claustrofobica che Francesca prova nel vivere il nuovo quartiere, esasperando il suo stato confusionario.

La resa dei moti interiori dell’animo della protagonista e della sua percezione distorta e allucinata è ottenuta soprattutto grazie alla focalizzazione interna, che filtra i fatti che accadono attraverso la visione che Francesca ne ha, e alle modalità di rappresentazione dell’interiorità, che si susseguono e si alternano anche repentinamente, sino a giungere in alcuni casi alla duplicazione di una stessa frase, ripetuta prima secondo una modalità e quindi secondo un’altra. Questo continuo incrocio conduce il lettore a cambiare spesso la propria posizione di osservazione rispetto a Francesca, producendo un’immedesimazione più o meno forte con il suo personaggio, che si alterna a una presa di coscienza più critica rispetto al suo punto di vista, e dunque sollecitando una riflessione attiva sull’affidabilità della sua prospettiva. Questo comunque non impedisce al lettore di rispondere sempre con empatia alle esperienze vissute da Francesca, la quale, per tutta la prima parte del romanzo, pare decisamente vittima del tutto passiva delle circostanze.

Nel mezzo di questa sezione decisamente incentrata sull’analisi dell’interiorità, la spaventosa scoperta del cadavere del gatto, una trovata orrorifica brillante, avvalora i celati timori di Francesca addensando l’atmosfera cupa e angosciante nel cortile del Giardino di Roma.

Collocata in questo punto, al seguito della lunga e precisa resa della frustrante condizione di Francesca, la scomparsa di Teresa sembra inserirsi nella narrazione come l’acme finale del climax a cui i deliri e le paure di Francesca hanno dato luogo. L’impressione è alimentata anche dal prospettarsi dell’ipotesi che a essere sparita sia Angela, la figlia di Francesca, suggerita per un lungo tratto prima che si chiarisca come sono andati realmente i fatti.

Da qui prende avvio il racconto delle ricerche svolte per ritrovare la bambina e individuare il colpevole, ma non si tratta della semplice rappresentazione di un caso di cronaca, quanto della più particolare investigazione intorno a come questo venga vissuto da un personaggio collateralmente coinvolto. Francesca è vicina all’accaduto sia fisicamente sia emotivamente, dal momento che non solo abita nel “condominio degli orrori” ma è anche madre a sua volta, e non può non riflettere su se stessa e sulle proprie figlie le ombre che la spaventosa vicenda proietta.

Con questo punto dell’intreccio coincide l’inizio della relazione di Francesca con Fabrizio. I due eventi, la misteriosa scomparsa e il fiorire di un nuovo rapporto, comportano decisi cambiamenti nell’interiorità di Francesca: la psicosi non svanisce, anzi la casa diviene un’interlocutrice sempre più invadente e imprescindibile, ma le amnesie e le allucinazioni si riducono significativamente lasciando spazio all’acuirsi del timore nei confronti dei condomini, nonché all’emergere di una lucidità e un’energia nuove, che si accompagna a un carattere maggiormente dinamico della narrazione e dei tempi narrativi.

Il racconto della relazione con Fabrizio pecca forse di una certa banalità dal punto di vista topico e retorico. Nondimeno, gli stimoli emotivi che, come una forza ingovernabile, spingono Francesca verso Fabrizio sono credibili e messi in luce con estrema chiarezza. La relazione sembra il legittimo compenso alla trascuratezza che il marito di Francesca, Massimo, le riserva, ma l’attrazione erotica non deriva soltanto dalla mancanza di contatto, fisico e spirituale, con il marito, quanto anche dall’impressione che Fabrizio rappresenti l’unica persona alleata all’interno del condominio, un compagno solidale di cui fidarsi e con cui poter comunicare.

Se il racconto degli incontri clandestini di Francesca e Fabrizio e il resoconto delle indagini intorno alla scomparsa di Teresa inizialmente sembrano scorrere soltanto in parallelo e coesistere in modo eterogeneo, verso il finale tutti i filoni riescono invece a intrecciarsi con fluidità risolvendo brillantemente la trama nel segno del pathos e della sorpresa. Con un carattere sorprendente ma coerente con l’intreccio, il finale, mentre chiude la narrazione con un evento patetico irrimediabile, eleva il romanzo a tragedia, precludendo a Francesca qualsiasi possibilità di ritrovare la felicità e di realizzare i propri desideri; ma qui il racconto si interrompe recisamente e non è dato al lettore interrogarsi sul futuro dei personaggi.

Nel complesso, il romanzo è un meccanismo che funziona con efficacia, nonostante susciti qualche perplessità. Lo stile sincopato e incalzante può sicuramente essere congeniale alla suspense e suscitare l’approvazione del lettore che ami l’effetto tagliente della paratassi, ma risulta a tratti ridondante e talvolta sensazionalistico. Si sente, in diversi sensi, la mancanza di una certa essenzialità, che sembrerebbe invece necessaria alla drammaticità degli eventi narrati.

A ogni modo, la trama che si svolge e si dirama per poi ricongiungere ogni sua estensione è senza dubbio avvincente e ben strutturata, in grado di soddisfare le aspettative di un pubblico ampio. La vicenda narrata riesce a risultare di facile lettura grazie a una scrittura chiara e fresca, e grazie a espedienti narrativi che sopperiscono alle difficoltà che la lunga misura potrebbe suscitare, pur senza rinunciare a offrire spunti interessanti anche dal punto di vista della riflessione intorno a problematiche di carattere morale e sociale. Questo giorno che incombe, con il suo intreccio di eventi e insieme di motivi narrativi, regala l’esperienza della lettura di un’opera letteraria coinvolgente, capace di suscitare l’interesse dei più vari lettori e perciò di contribuire al fronte di resistenza contro il declino che la narrazione lunga subisce da numerosi anni in questa nostra epoca.


Antonella LattanziQuesto giorno che incombe, Milano, HarperCollinsItalia, 2021, pp. 456, €19,50.