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Vogliamo tutto: 10 anni di Le Luci della centrale elettrica

La domanda che Vasco Brondi pone in una delle sue canzoni – «cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero?» – è sbagliata nei suoi presupposti. Ogni generazione si racconta a se stessa: sono casomai le generazioni successive a interpretare le generazioni precedenti, seguendo un percorso di fonti e dati, su elementi che derivano loro dall’osservazione, certo, ma senza mai tener troppo conto del racconto che i diretti interessati hanno fatto di se stessi.

Quando, l’anno scorso, Spotify ha permesso ai suoi utenti di lunga data di conoscere quale fosse stato il loro “artista del decennio”, il mio era Le luci della centrale elettrica: avevo sedici anni quando lo ascoltavo ai giardinetti prima di entrare a scuola; ora ne ho ventisei.

Nel volume che ripercorre la storia dell’artista, uscito nel 2018 per la Nave di Teseo, e tornato questo 8 novembre in libreria, Le luci della centrale elettrica – Dieci anni di musica tra la via Emilia e la Via Lattea, Marco Lodoli scrive: «Pochi artisti hanno saputo descrivere la catastrofe bellissima dell’adolescenza: e Vasco Brondi è uno di questi». La generazione dei nati negli anni Novanta è stata probabilmente quella che per prima ha vissuto il senso di spaesamento, i tempi bruciati, l’inquietudine causate da un’emancipazione sessuale, familiare, lavorativa rapidissima e senza precedenti: un’irruzione violenta della contemporaneità, un cambiamento antropologico più spinto che forse per la prima volta non toccava più solo certi outsider – non più quindi alcune determinate categorie di sperimentatori e ribelli – ma – forse grazie al dilagare dei social network, una generazione in massa e “di massa”. Una generazione che ha rivendicato all’unisono, seguendo dei modelli letterari, musicali e cinematografici il diritto, prima di diventare adulti, di provare ogni cosa. Il neon “Vogliamo tutto”, di Alfredo Jar (citazione di Nanni Balestrini) ancora impazza nelle bacheche Facebook e nei feed Instagram dei miei coetanei.

Volevamo avere nel bagaglio esperienziale la verifica di tutte le possibilità – una fotografia di ogni percorso, chili di ricordi per poterci poi concedere il lusso della nostalgia. Abbiamo preso il “non avere rimpianti” con assoluta e commovente serietà. «Perché solo così», ha scritto Marco Lodoli commentando la capacità che Brondi ha avuto di dar voce a quella generazione, «si può abbracciare la vita intera, prima che venga sistemata sugli scaffali.»

C’è una citazione di Vasco Brondi che veniva ricopiata in continuazione sui diari: «Pensavo che era come prepararsi per una manifestazione che non c’è, per affrontare una città silenziosa e deserta, e una giornata qualsiasi, ma con una specie di armatura. che è importante correre, avere freddo ogni tanto, dormire vestiti, saltare i pasti, per fare quello che volete». Brondi l’ha scritta per presentare il video di Quando tornerai dall’estero, che lanciava il suo secondo disco – se non si considera la demo che girò nel 2007, «che avevo lì in casa e mi schifava un po’», dice Vasco in un’intervista reperibile su YouTubePer ora noi la chiameremo felicità.

Il 14 ottobre la prima canzone di quell’album Cara Catastrofe ha compiuto dieci anni, e in quell’occasione Vasco Brondi è stato intervistato per «Internazionale». Nell’intervista ha parlato anche di Talismani per tempi incerti, il suo spettacolo che ha girato questa estate in Italia e che è stato pensato dall’artista durante il lockdown. Nello spettacolo la lettura dei testi veniva intervallata alla musica e Vasco a proposito di questo ha detto:

Più sono estremo, più faccio cose radicali, più mi sembra che le persone siano contente, per me fare questo concerto particolare in giro per l’Italia è stato scoprire che chi ascolta la mia musica è come me, non si accontenta di quello che lo fa sentire comodo, a suo agio e anzi è in una continua ricerca.[1]

Quello che è certo è che la musica e la scrittura sono due elementi imprescindibili nella poetica di questo artista: la cosa è stata del resto evidente a tutti fin da subito. Dopo l’uscita del primo disco, il suo blog diventa subito un libro: Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero (2009 Dalai Editore, 2014 Baldini + Castoldi). In Le luci della centrale elettrica – Dieci anni di musica tra la via Emilia e la Via Lattea, parlando del suo rapporto con la musica autoriale italiana, Brondi scrive: «Sentivo che i testi erano fondamentali». Ha sfondato con forza la parete del letterario, dando così alle sue parole una forza maggiore per arrivare a tutti, ancor più di quanto da sola riesca a fare la musica. Cosa racconteremo è un primo libro acerbo, senza filtri: un ragazzo che butta su carta la sua visione del mondo; un mondo piccolo, in cui va in scena la sua vita. La lingua è quella delle sue canzoni, ma più distesa:

Per me la vera potenza stava nella parola cantata, la musica in generale non mi interessa mai perché è bella, ma perché dentro c’è dell’altro, qualcosa che mi raggiunge, che mi descrive il mondo o sensazioni altrimenti impossibili da spiegare. (…) Sono convinto che la musica e il canto abbiano un potere ulteriore, la capacità di canalizzare qualcosa di più grande delle canzoni e di chi le canta. Le canzoni sono solo un modo per continuare a trasmettere qualcosa che esiste da secoli, che esisteva da prima e che non è stato creato dal nulla, ma semplicemente si manifesta»[2].

La seconda esperienza di Vasco nel mondo letterario è un fumetto: Come le strisce che lasciano gli aerei (con Andrea Bruno, Coconico Press, 2012). Il desiderio di esprimersi anche in questa forma nasce dall’amore per un artista amato come Paz!. Brondi sente una relazione sempre fortissima con la rappresentazione delle sue parole: dalla prima copertina firmata da Gipi, ogni suo progetto musicale si accompagna ad un progetto grafico pensato e preciso: «È una storia scarna, fatta di simboli e di poche parole, di situazioni e panorami che spiegano da soli quello che succede». Le solite volate dunque, perché non conta tanto raccontare una storia per lui, ma raccontare come e dove si svolge, in quale cifra emozionale viene vissuta, quali sono i punti focali del drammatico ordinario: il quotidiano, come la vita, è fatto di cose piccole. Ed è anch’essa una storia d’amore impossibile. D’altronde è da poco uscito C’eravamo abbastanza amati, l’EP in allegato a «XL» di «Republica», dove Vasco Brondi sussurra: «Non pensarmi, non pensarmi». I protagonisti sono Micol («A Ferrara è un nome abbastanza comune, perché è la protagonista del Giardino dei Finzi-Contini» spiega), ragazza dai lunghi capelli rossi, Rashid, un ragazzo nordafricano, e Rico, e si muovono nel mondo allucinato e sognante delle canzoni di Le luci della centrale elettrica.

Il libro più letterario della sua produzione, Vasco lo scrive nel 2016 con Massimo Zamboni (chitarrista e compositore dei CCCP e dei successivi CSI). È già uscito Costellazioni, un disco che lo stesso Brondi ritiene completamente nuovo rispetto a tutti i suoi lavori precedenti  collaborazione con Federico Dragona, il chitarrista dei Ministri. «Fede ha stravolto alcune cose senza paura, ha rivoluzionato il mio suono facendomi sentire le mie canzoni ancora più mie»[3]; è una collaborazione intensa e fondamentale per il cantautore. Mentre la copertina e l’artwork del disco sono dell’artista Gianluigi Toccafondo, e Guido Volpi ha disegnato i manifesti delle tappe del tour: un astronauta urbano che si muove nella realtà di tutti i giorni. Un verso è rimasto particolarmente emblematico di quel disco, in Macbeth nella nebbia: «Nel disastro il futuro era sempre lì a sorriderci».

È un album più sperimentale e allo stesso tempo più maturo. Lo sono anche Le luci. A proposito del tour, Vasco scrive: «Ho capito che bastava essere lì, esserci e dare tutto, lasciandomi travolgere ancora di più dalla musica, senza bisogno di bere per attraversare quel momento, e potendomi godere anche il giorno dopo in furgone, il viaggio ed il posto successivo, senza hangover»[4]. In questo periodo Brondi inizia a praticare yoga e scrive una canzone per Jovanotti, L’estate addosso.

È in questo contesto che ad un concerto dei CCCP, a cui è stato invitato a cantare, Vasco incontra Zamboni. I due già si conoscono e capiscono che è arrivato il momento di fare qualcosa insieme. Zamboni ha scoperto da poco un canale che parte da Mantova e arriva al mare, il Tartaro Canal Bianco, e vorrebbe tanto farci una crociera. Brondi ci dorme su e poi gli scrive: «Guarda secondo me è proprio questo che dobbiamo fare insieme, fare questa crociera e raccontare la pianura da questo punto di vista insolito, in questo posto insolito»[5]. Così nasce Anime Galleggianti (La Nave di Teseo, 2016),[6] che sarà accompagnato dalle fotografie di Piergiorgio Casotti. Navigano sul canale ad una velocità di dieci chilometri orari, e tutto, uscendo dalla sua dimensione reale, diviene proiezione onirica e immaginifica della condizione interiore di ogni uomo. La narrazione si mescola con i grandi che hanno già raccontato quei luoghi – Zavattini, Celati, Ghirri. «Una crociera nel posto meno turistico del mondo»; Brondi d’altra parte non fa che rimanere coerente con la propria poetica: la sua missione, forse anche inconsapevole, di rendere epico e straordinario tutto l’ordinario della vita, il tentativo di trasfigurarlo. Ogni cosa può diventare epica se i nervi sono scoperti, se non si mettono freni al proprio sentire, se non ci si ferma: «Dove pensi che non possa succedere mai niente succede sempre qualcosa».[7]

Dopo Costellazioni inizia per Vasco un lungo periodo di ricerca: è quello che tutti si aspettano. Come crescerà l’autore che ha sempre cantato la giovinezza? Io stessa mi sono sempre chiesta, fin dal primo album, cosa ne sarebbe stato di quel ragazzino con la chitarra in mano quando sarebbe arrivata l’età adulta: per lui, inevitabilmente, e per tutti noi. È durante il suo viaggio-sogno con Zamboni che il cantautore inizia a pensare all’album che sarà Terra: «Volevo fare un disco sulla nostra identità mutata e in costante mutamento»[8]. Dopo i tour Brondi ha sempre l’abitudine di viaggiare – viaggia e assorbe, assorbe e scarica: «Dopo i tour ho preso l’abitudine di viaggiare. In teoria lo faccio per scrivere, ma non va mai così. La musica mi continua a stupire perché è una specie di macchina del tempo che ti porta in pochi secondi in luoghi lontani» dice a «Repubblica» in occasione dell’uscita di Terra. Nella sua instancabile ricerca di immagini e arte trova le Seven Magic Mountains di Ugo Rondinone, che diventeranno la copertina dell’album.

In questo disco c’è tutto: il problema dell’iper-connessione, il problema dei sogni irrealizzabili e dei lavori che non appagano e non possono appagare (tema così caro alla nostra generazione, e così poco discusso, tanto che qualsiasi pensiero risolutivo sembra utopistico), le guerre che dividono il mondo: in poche parole la contemporaneità in tutta la sua struttura complessa.

È di questo processo creativo che parla l’ultimo libro di Brondi, pubblicato da La Nave di Teseo nel 2019: Terra, diario di lavorazione o la gloriosa autostrada dei ripensamenti – anch’esso ha in copertina le Seven Magic Mountains. È un libro che racconta Milano, la durezza della città, cosa significa crescere pur non essendo ancora veramente adulti. È un libro che raccoglie anche i testi dell’album: letti così, nudi, sulle pagine, sembrano poesie. È passato un anno da quando è uscito l’album, è passato un anno da quando Vasco Brondi ha deciso di “spegnere” le luci della centrale elettrica[9], e questo libro ha tutto il sapore di una lettera d’addio, che indugia sul confine del melanconico senza mai cadervi:

Dopo questo disco ho deciso di fermarmi un po’ e adesso che ci penso sono sei mesi che non tocco una chitarra, dall’ultimo concerto. Ho chiuso questo capitolo delle Luci della centrale elettrica per non aprire nient’altro o fare cose che per ora restano segrete. Mi ricordo subito dopo l’uscita del disco come un fiume ancora in piena e poi alla fine del tour vuoto, senza confini. Quando succede ti accorgi che la pelle non serve, che tutto entra nel campo della consapevolezza, tutto esce attraverso la voce.

In occasione dei fatti drammatici di questo 2020 Brondi ha di nuovo preso in mano la chitarra, è tornato ad esibirsi dal vivo, con un piccolo tour estivo, Talismani per tempi incerti, in cui la vocazione musicale e la passione per le parole si sono di nuovo trovate a collaborare in sinergia. Vasco Brondi canta e recita testi:  «i suoi talismani sono i CCCP, i CSI, gli Afterhours, De Gregori, De André, Battiato, Chandra Candiani, Mariangela Gualtieri, Julio Cortázar, Elisabeth Bishop, Wisława Szymborska, Vinicio Capossela»[10].

Alcuni dei primi fan dell’artista si sono sentiti lontani o delusi dalla sua evoluzione nel corso degli anni. Certo, se ne è fatta di strada dal ventiquattrenne che urlava canzoni con la chitarra in mano. Ogni crescita tradisce inevitabilmente qualcosa che si è stati, o che si è desiderato essere. L’adolescenza è straziante, straordinariamente intensa, e la tentazione di restare a quel grado radicale e assoluto di percezione è forte. Ma la crescita è necessaria se non si vuole continuare a ripetere quella che diviene una dolorosa e asfissiante parodia di se stessi. E Vasco è cresciuto: ha avuto il coraggio e l’intelligenza di crescere. E ci ha raccontato tutto, in parole e musica.


[1] Vasco Brondi, 2018

[2] https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2020/10/20/catastrofe-vasco-brondi-talismani-per-tempi-incerti

[3] Vasco Brondi, 2018

[4] Vasco Brondi, 2018

[5] Vasco Brondi, 2018

[6] https://www.rockit.it/news/anime-galleggianti-brondi-zamboni-libro

[7] Vasco Brondi, 2018

[8] Vasco Brondi, 2018

[9] Qui la sua intervista per Rolling Stone: https://www.rollingstone.it/musica/interviste-musica/vasco-brondi-spegne-le-luci/438801/

[10] Vd. nota 2