«Da non perdere d’occhio l’opera di questa grande schiva poetessa, scoperta da Antonio Porta fin dagli Anni Settanta». Così Vivian Lamarque nel 2007. Giovanna Rosadini, curatrice del sesto volume di Nuovi poeti italiani (Einaudi 2012) conferma il giudizio nell’introduzione: «Personalità schiva e appartata […], Chandra Livia Candiani, di origini russe (percepibili nei suoi versi l’eco di poeti amati come Pasternak e Cvetaeva) è un talento genuino e prolifico […] molto poco di ciò che ha scritto ha visto la luce». Ma forse qualcosa si sta muovendo, nonostante sui principali quotidiani la gran parte dei critici e dei recensori di Nuovi poeti italiani 6 sia passata in silenzio sopra il suo nome e le pagine dedicatele. Prima «Poesia e Spiritualità» (n. 2/2008; tra i contributi di Cesare Viviani e Franco Loi) e poi «Nuovi Argomenti» (n. 56, ottobre-dicembre 2011) hanno pubblicato poesie dalla raccolta inedita Versi d’asino, la stessa dalla quale attinge l’antologia di Einaudi insieme ad altre raccolte, edite e inedite.

Sicuramente appartata; per scelta fuori dai “giri giusti”, dove è d’obbligo sentirsi e sentire gli altri interessanti; ma schiva non direi. Al contrario Candiani è una donna e una poetessa aperta e generosa, posta per sua natura nella situazione dell’ascolto. Un capitolo chiave della sua vita è l’attività nelle scuole elementari, dove conduce seminari di poesia per bambini. Altri seminari li svolge tra i senzatetto e gli educatori per malati di Aids, portando la poesia come una pratica; un «pronto soccorso» racconta lei, più che un genere letterario.

I “suoi” bambini sono italiani e immigrati: dall’Egitto, Filippine, Perù, Cina, Romania, e oltre. Anche con loro sono protagonisti l’ascolto e l’insegnamento dell’attenzione; da questa esperienza arrivano alcune delle migliori poesie che abbia mai letto. È raro saper ascoltare i bambini, più raro sentire la loro saggezza. Ecco tre esempi anonimi (circa 8 anni):

L’asfalto era grigio 

come la svogliatezza

gli alberi erano spogli 

come l’ansia 

e il letto era morbido 

come la gioia.

*

 Grazie per avermi baciato.

Non si può giocare con le catene.

Grazie per avermi aiutato

a mettere a posto la camera.

Non si può lanciare i vestiti.

Non strappare il tuo disegno,

non toccare le righe.

*

ADDIO AL CUORE

L’addio è un cuore

come la notte

e la mucca

così dolce

il cane nel mare

il nome

che rispetta gli animali

la vita

con la pecora

che dorme tranquilla.

In una conversazione con Giorgio Morale (su «Il primo amore», 8-5-2006) Candiani dichiara: «lavoro sul prima della poesia, sull’ascolto, sul vuoto che la precede e la precipita. Dedico tempo al silenzio, alla sospensione della mente discorsiva. Cerco di non chiacchierare e di non ascoltare chiacchiere, di mantenere il canale della parola libero per altri ascolti, per altre visite. Cerco di dire e di ascoltare l’essenziale.» La poesia per lei è uno strumento di comunicazione e di cura, del sé e dell’altro; da qui l’«istanza comunicativa» del linguaggio riconosciuta da Rosadini. Il suo linguaggio: è sì semplice e chiaro (così prosegue la curatrice), ma nel risultato di un lavorio robusto e consapevole. La sintassi è spesso lineare, eppure d’improvviso, ma senza strappi, viene come incantata e piano sovvertita da un’esigenza delle parole, sintagmi o anche singole parole, e della loro musica. La sua musica: raramente è esplicita. Sempre Giorgio Morale nota quanto siano «evitati strumenti poetici come rime, assonanze, consonanze e simili». La ripetizione è invece la figura musicale più caratteristica delle poesie di Candiani. Difficile a dirsi, la sua musica precede e non segue la ripetizione; è interna e non esterna alla parola; manifesta, della parola, la natura di mistero, di parola d’ordine.

Candiani, scrivendo, compie quello che a tutti gli effetti è un atto performativo, registrando, incidendo un’improvvisazione sapiente e dominata da un senso straordinario della forma. Quei sintagmi, o certe singole parole, sono il cuore di molte poesie di Candiani, si stagliano sullo sfondo fino a quando nella disposizione gli elementi attorno li assorbono e riconfigurano, donando l’efficacia dell’ordine formale. Ad esempio, in La maniglia (tondi miei):

Si posa piano il suo gesto

sulla mia assetata utilità

apro a corridoi e frasi

interrotte e bambina.

Dormono tutti ma lei

scavalca le ore come

camicie di forza e vaga

dritta e impetuosa

nella piega e nella resa

del turbine di luce braccata,

ornate sono le finestre

raggianti della nera

nera notte, animale

vaghissimo immenso

e bambina,

le sbircia conta e riconta

i passi gli sguardi bianchi

e fruscio di sciarpe.

Il gatto scivola smemorato

tra i sogni d’intensa serenità e bambina. Piove

o non piove i cassetti chiudono

con uno scatto vestiti pesanti

di anni e bambina.

Gonna nell’armadio e bambina

geranio buio balcone e bambina

passi di nessuno e bambina

bicchiere

senz’acqua dentro

e bambina (110).

Il mistero sta nell’evidenza, ossia in nulla più del significato della parola semplicissima che chiama la poesia attorno a sé, per una rinascita del significato, e di rimando l’attenzione su di sé, dagli occhi del lettore.

Nel caso di Chandra Livia Candiani vita e opera sono legate, come raramente altrove. L’una informa o traduce o chiarisce l’altra. I luoghi della vita sono i luoghi della poesia. La Russia è l’origine, e la nostalgia dei suoi versi; l’India è il luogo spirituale, la direzione, la sua Via; Milano è la storia, l’infanzia e il suo presente. I luoghi fisici trapassano nei luoghi spirituali e poetici; si configura una geografia di corrispondenze tra modalità di scrittura ricorrenti e caratteri, tematiche. Nuovi poeti italiani 6, nella sezione dedicata, cerca di presentare tutti o molti di quei luoghi, anche a costo di una scelta disomogenea. Dunque l’ascolto profondo per le cose del mondo (a partire dal mondo vegetale e quello animale) se non per il mondo stesso (ci sono le inedite Poesie del mondo). Nell’antologia in particolare sono messi a fuoco gli elementi dell’abitazione, con le poesie tratte da Il sonno della casa (inedito, 2006-2008): qui l’ascolto si traduce nel dare voce agli oggetti, personificandoli. Altrove la modalità è il tono colloquiale, spesso in relazione a figure assenti, perché morte o lontane; da lì un andamento riflessivo, investigativo quasi, alla ricerca di una visione del sentimento di perdita, su cui si concentra giustamente anche Rosadini. Un terzo carattere si potrebbe dire mistico, o più semplicemente lirico, esistenziale, e si mostra puro in Bevendo il tè con i morti (Viennepierre 2007). Altri temi della sua poesia, per sua stessa ammissione (si veda l’intervista di Mauro Germani su «margo», 18-1-2012), sono la notte, la Via del buddhismo theravada (“Chandra” è il nome religioso), l’amore. L’amore soprattutto, e all’amore è dedicata un’importante raccolta inedita, ma già tutta una sezione (“Lettere mai scritte”) di Io con vestito leggero (Campanotto 2005). A dispetto delle esigenze di analisi, però, non esistono compartimenti stagni: i luoghi e i temi si mischiano, convivono e si confondono. La poesia di Candiani è un canto mobile e leggero, nobile e mai superfluo, immaginifico e sorprendente. Sia la qualità che lo scarso riconoscimento ottenuto finora sono conseguenze soltanto della sua irregolarità, della non appartenenza a tendenze, correnti o tradizioni riconoscibili, e del misconoscimento di quella chiarezza di dettato, unica e stupenda.

Il dettato dell’altro verso colei che lo sa ascoltare, e vuole renderlo ascoltato.

* Una versione sintetica di questo pezzo è sul numero di settembre-ottobre 2012 de «l’EstroVerso».