È appena uscita ad opera di Tommaso Di Dio la traduzione, per i tipi di Ibis (collana FinisTerrae – Le Meteore), di Spring and all (La primavera e tutto il resto), lavoro di William Carlos Williams conosciuto finora pochissimo in Italia. Il testo, uno dei manifesti del modernismo americano, è originariamente stato pubblicato, per paradosso, «nella più europea delle città d’Europa: Parigi» (p. 205) nel 1923, a cura della Contact Publishing Company e possiamo adesso leggerlo per la prima volta in italiano.

La questione della generazione di Williams, quella dei modernisti, è, per la letteratura e la critica anglosassone, tutt’altro che risolta. «La poesia di Eliot è più o meno quanto basta a far chiudere bottega a tutti noi»,1 scriveva nel febbraio del ’22 Ezra Pound a John Quinn, ancora da Parigi. E quel “noi” si riferisce a quanti, in una manciata di anni, dall’83 all’88 del diciannovesimo secolo, sono nati: William Carlos Williams, Ezra Pound e lo stesso Thomas S. Eliot, la trinità, insomma, della poesia americana del ‘900. Williams è grande amico di Pound, certo (lo aveva conosciuto ai tempi della Facoltà di Medicina dell’università della Pennsylvania) ma è in silenziosa quanto costante competizione sia con lui che con Eliot, da Pound amatissimo; di Pound non comprende l’esterofilia e disprezza di Eliot il ritorno all’accademia. Questo perché la “poesia di cattedra”, in quel periodo è opinione diffusa, «è tutta roba per professorini di Harvard a meno che non riesca a trasformarsi in materia da leggere, materia da cantare, materia da urlare».2 In più se «T.S. Eliot sospetta che la filosofia di Pound sia antiquata», «W. C. Williams trova che la sua versificazione è ancora costruita su metri classici»3 Diversamente dagli altri due, Williams nasce e muore nella cittadina di Rutherford, in New Jersey, e passa, fatta esclusione per una parentesi ginevrina prima e parigina poi, quasi tutta la sua vita in America, esercitando la professione di pediatra, lontano anni luce dalle seduzioni europee dei due compagni di generazione (soprattutto di Pound).

Questo stesso Spring and all ha una storia editoriale strana, esce un anno dopo rispetto al più fortunato Waste Land, di Eliot, nel 1923, quando Williams aveva 40 anni e aveva deciso di lavorare sulla lingua americana e la sua identità culturale, lui che era di sangue mezzo olandese (da parte di madre) e mezzo portoricano (dal lato paterno). L’anno prima era stato pubblicato in Europa uno di quei libri che hanno segnato un’epoca e questo testo, come chiarisce Di Dio in postfazione, «ci appare la risposta, o meglio: la brutale riformulazione» (p. 206) del testo di Eliot.

In realtà, per tornare sul mio tema, quasi tutta la scrittura fino ad oggi, se non tutta l’arte, è stata progettata proprio per mantenere una barriera fra il senso e il vaporoso margine che distrae l’attenzione dai suoi agonizzanti avvicinamenti al momento. (p. 15)

La primavera e tutto il resto vuole essere una risposta, quindi, l’inizio di un duello con quel capolavoro che pure si regge su basi per Williams inaccettabili: un ritorno alla lingua delle accademie, al mito greco e latino, la rielaborazione di una lingua pensata per le élite e non per le masse, senza i brillamenti e le interpolazioni offerte dai linguaggi dei nuovi mezzi di comunicazione. Il testo di Eliot, secondo lo scrittore di Rutherford, è un trauma, un ritorno al passato. Nella sua autobiografia, Williams arriva addirittura a scrivere, parlando degli anni ’10, che quelli erano gli anni belli prima della «grande catastrofe per la nostra letteratura – l’apparizione di The Waste Land di Eliot».4 Per questo la sua proposta è, se è possibile, antitetica: allo stile “olimpico” de La terra desolata ne viene opposto uno caotico, dall’architettura sui generis, in cui si alternano momenti lirici, prose, divagazioni, apparizioni e vere pagine di diario. Ma anche un testo saggistico, dove l’autore non si preclude strade maggiormente speculative sul suo tempo e sui suoi contemporanei, e anzi le indaga con una smisurata e, diremmo, anche “leggera” joie de vivre: «A chi mi rivolgo? All’immaginazione» (p.15).

Spring and all è un libro spiazzante, che racconta «la fluvialità convulsa, a tratti volutamente interrotta e spezzata, ispirata all’arte del cubismo – sua seduzione europea e retaggio degli anni parigini – e della musica jazz» (p. 209). Ed è questa fluvialità, questa ibridazione che porta l’autore a riempire le pagine con continue coreferenze vuote, dispersioni, cambi d’abito grazie ai quali mostra al lettore non soltanto il testo licenziato, il puro testo poetico, ma la fucina, anche, la sua recherche, il laboratorio.

CAPITOLO XIX

Capisco che i capitoli siano piuttosto rapidi nella loro sequenza e che non vi sia contenuto niente di che ma nessuno oggi dovrebbe esserne sorpreso. (p. 29)

Williams redige un manifesto, occorre ripeterlo, in cui mostra come tutta l’arte sia evasiva, dispersiva, senza per questo dover scadere nell’amplificazione dopata o mistificatoria dell’esperienza del vivente, nella fuga dalla realtà, facendo di questo volume un viatico che dimostra come l’arte dello scrivere poesia sia il punto di allontanamento da ciò che si è per poi tornare in ciò che si è, finalmente pacificati, risolti:

E se, quando pomposamente annuncio a chi sono rivolto – all’immaginazione –, tu credi che così divorzi me stesso dalla vita e così rifiuti il mio fine, io rispondo: Per raffinare, chiarificare, intensificare quell’eterno momento in cui solamente noi viviamo non c’è che una singola forza – l’immaginazione. Questo è il suo libro. Io, in persona, vi invito a leggere e a vedere (p.15).

Spring and all è davvero il libro dell’immaginazione e su questa falsariga l’autore è abilissimo a giocare, tormentando continuamente la mente di un lettore a cui è richiesto, da queste pagine, sempre lo sforzo massimo di concentrazione e chiarificazione, per ricostruire l’immagine originaria, perduta nell’accavallarsi inesausto di prosa e poesia, nella confusione tra significati apparentemente inconciliabili. Tutto è consacrato a questa primavera tanto difficile da percepire quanto prossima, vicina, madre di un risveglio necessario: «La poesia, almeno quella che Williams sostiene e pratica e in questo testo ci fa vedere in azione, non vuole essere nient’altro che strumento di questo percepire, medium di un’azione riflessiva che fa convergere in un solo punto […] il massimo di allontanamento dalla realtà, l’immaginazione e il suo assoluto e fuori tempo atto di nascita, il momento» (p.207).


1 Ezra Pound, XXX Cantos, Milano, Guanda, 2002, p.18

2 Ivi, pg.22

3 Marianne Moore “The Cantos” in “Poetry” 39, ottobre 1931, 37-50.

4 William Carlos Williams, The autobiographyof William Carlos Williams, Cambridge, New Direction, 1951, chapter 25.


William Carlos Williams,
La primavera e tutto il resto,
Ibis Edizioni
224 pp, 15€