Ci sono due libri, due raccolte di racconti, che, da poco arrivate in libreria, rivelano più punti in comune di quanti non ne mostrino a un primo sguardo. Uno, A casa e ritorno, è un libro del 1999 che arriva, a vent’anni di distanza, a fornire al lettore italiano un altro tassello per ricostruire l’opera narrativa di Chris Offutt, cantore degli Appalachi, dei loro boschi e dei caratteri schivi della gente che li abita. L’altro, Coriandoli il giorno dei morti, è invece l’ennesimo travestimento dello scrittore-ombra B. Traven, che si presenta al lettore con una mediazione d’eccezione, quella di Vittorio Giacopini, nella triplice veste di curatore, prefatore e illustratore. Si tratta di due libri apparentemente molto diversi, per ambientazione delle storie (gli Stati Uniti rurali di oggi e il Messico della prima metà del Novecento), per temi (l’esilio, l’alienazione, l’incomprensibilità della vita da un lato; la superstizione ancestrale, l’esotismo e la lotta di classe dall’altro) e anche per stile (secco e minimalista il primo, umoristico e ridondante il secondo). Eppure entrambe queste raccolte condividono il punto di vista da cui le storie sono raccontate: tutti i narratori e i protagonisti, infatti, si ritrovano in una terra straniera, costretti a venire a patti con usi, abitudini e pratiche estranee; tutti in qualche modo devono ripensare la propria identità e il modo in cui la loro terra d’origine la determina.

 

L’America di Offutt sembra dividersi in due gruppi: gli abitanti del Kentucky e tutti gli altri. I racconti di A casa e ritorno definiscono, pagina dopo pagina, il sentimento di un’estraneità radicale di questi individui, che viaggiano, lavorano o vivono lontani dal loro Stato e scoprono un mondo – quello dell’Oregon o della Virginia – distante poche centinaia di chilometri da casa eppure diametralmente diverso, spesso più moderno, e sempre regolato da altre norme di comportamento. Questi individui sono cresciuti sotto la legge delle colline e dell’istinto di sopravvivenza, abituati a distinguere gli uomini che possono – quelli che hanno la legge dalla propria parte – dagli uomini che devono – proprio perché la legge è contro di loro –, forgiati da un contesto in cui solo la violenza può intervenire a livellare le differenze: tra famiglie rivali, tra amanti traditi, tra secondini e reclusi. Tuttavia, nel momento in cui escono dal loro mondo, il mondo che abbiamo imparato a conoscere con Terre di nessuno o Country dark, questi personaggi si sorprendono e si scoprono nuovi, estranei anche a se stessi nel contatto con una realtà straniera e però disponibile al tempo stesso. Scattano momenti di epifania, lampi di autocomprensione che, se possono apparire inverosimili formulati con gli scarsi mezzi verbali di proletari semialfabetizzati, risultano tuttavia credibili perché definiscono uno spazio letterario intermedio, tra lettore e personaggio.

Accade ad esempio al protagonista dell’eponimo racconto di apertura, invitato dalla famiglia della moglie ad andare in Illinois ad accertarsi delle condizioni di un fratello scapestrato, finito nei guai. Di ritorno da questo viaggio imprevisto, Gerald capisce cosa possa spingere le persone ad abbandonare le “terre di nessuno”.

Scese dal pick-up e aspettò. Era tutto come sempre: la casa, gli alberi, le persone. Riconobbe le foglie e il profilo dei rami contro il cielo. Sapeva come cadeva la luce, dove sarebbero scese le ombre. L’odore dei boschi era familiare. Sarebbe rimasto così per sempre. Di colpo, come se gli avessero tirato una secchiata d’acqua, capì perché Ory se n’era andato (22).

Accade anche in Tiro al bersaglio, dove nel laconico dialogo tra padre e figlio, ritrovatisi insieme dopo tanto tempo per una seduta di tiro tra le colline isolate, riaffiorano – insieme ai fantasmi autobiografici (quelli di Mio padre il pornografo) – le contraddizioni di un rapporto mai affrontato e mai elaborato. E nel momento in cui le cose escono dal silenzio e trovano parole precise, allora le conseguenze sono inevitabili, fino a esplodere in un colpo di fucile.

«Io sono solo la generazione di mezzo».
«Sei qualcosa di più».
«Se tu fossi rimasto lontano, io non sarei costretto a essere nessuno» (100).

 

Coriandoli il giorno dei morti sembra invece una collezione di brevi apologhi. Tutti i racconti della raccolta mostrano un personaggio americano alle prese con la cultura e la popolazione messicane, ma sarebbe più preciso dire indie. Nel Messico di Traven infatti convivono due popoli dai caratteri molto differenti: ci sono i messicani, discendenti dei colonizzatori, che occupano tutti i posti di rilievo nella gerarchia politica e sociale; e ci sono gli indiani, prevalentemente contadini, piccoli commercianti, povera gente attaccata più alle proprie tradizioni che alle poche cose di cui dispone. Se i messicani fanno di tutto per assomigliare ai loro cugini ricchi, prendendone soprattutto i vizi (come nello spassoso Diplomatici), gli indiani rappresentano un esempio di civiltà autentica e incorrotta, radicata nella propria terra e sostenuta dalla forza di una cultura plurisecolare. Di fronte a queste due facce del Messico i narratori, che vengono tutti dagli Stati Uniti, si dimostrano accondiscendenti ma talvolta anche seccati dalle esagerate pretese dei primi e invece colpiti e ammirati dal candore e dalla stoica capacità di resistenza e applicazione che distingue i secondi.

Gli indiani non hanno ancora raggiunto lo stadio della civiltà in cui con i sentimenti simulati si fanno affari, affari di denaro o di sentimento. Le loro manifestazioni di dolore o di gioia sono schiette, anche se a noi appaiono talvolta artefatte o esagerate, perché affondano le radici in altri istinti (92).

Il «principe degli “scrittori proletari”», come lo definisce Giacopini nell’Introduzione, trova negli indios del Messico (dove secondo alcuni andò a svernare – il suo unico riferimento era infatti una casella postale di Acapulco) i dannati della terra a cui dedicare una serie di medaglioni che ne mettano in luce i pregi, pur non dimenticando di rilevarne anche alcuni tipici e incorreggibili vizi (la violenza istintiva, la piaggeria maliziosa). Il tono con cui questa fascinazione viene espressa è spesso paternalistico, senz’altro divertito di fronte a stupefacenti dimostrazioni di ostinazione (Il grande industriale) o di scaltrezza (Un affare da cani). Ma in fondo l’oscuro sistema di credenze e superstizioni che regola la vita degli indiani finisce per condizionare anche le certezze degli americani, ritratti a loro volta in modo univoco, presuntuosi nel pretendere di imporre il proprio modus operandi et cogitandi, ma alla fine disponibili a rivedere i propri pregiudizi e a cedere alla potenza primigenia di questa civiltà secolare, come accade nel lungo racconto finale, Una visita notturna nella giungla.

Qui Gales, un americano rifugiatosi in una capanna primitiva in mezzo alla giungla tropicale tra i bacini fluviali del Panuco e del Tamesi, a quaranta minuti di cavalcata dal primo bianco sedentario, si trova a fare da guardiano alla scarna abitazione del dottor Wilshed, richiamato da un’urgenza in Arkansas, da cui era partito decenni prima. La solitudine totale in cui si ritrova il protagonista, le suggestioni originate dai rumori e dai colori della giungla unite alle inaspettate letture tratte a caso dall’improbabile e ricchissima biblioteca del medico attivano un immaginario fatto di fantasmatiche visite, animali profetici e tesori nascosti, che spingono Gales ad abbandonare «la boscaglia», luogo stregato e improvvisamente inospitale («Sentivo terrore là dove prima mi ero sentito pervaso da una pace celestiale», 202), proprietà di un popolo che l’ha saputo curare e tenere libero, impedendo l’invasione del sentimento proprietario tipico dell’uomo bianco.

Lascio tutto quanto per niente, a chi per caso venisse da queste parti e vi si stabilisse. Per conto mio se lo può riprendere la boscaglia. Del resto è roba che appartiene di diritto, in tutti i casi, alla boscaglia. Io le sono estraneo, non le appartengo (205).

 

I racconti di Traven sembrano debitori dell’antica tradizione novellistica, che finisce per fissare la rappresentazione di questa umanità oppressa e orgogliosa, apparentemente fuori dal tempo, in una specie di “età dell’oro”: superstizioni, beffe, ingenuità ed equivoci sono gli ingredienti principali di queste storie che in fondo puntano a lasciare nel lettore una certa amarezza, nel riconoscere la corruzione e la superbia della presunta civiltà dalla quale osserva queste buffe vicende di indiani. Non manca nemmeno il gusto per il witz, il finale arguto che ribalta la situazione e al tempo stesso suggerisce una lezione morale – molto spesso elementare nella sua manichea divisione del mondo tra buoni e cattivi, ma non per questo meno efficace.

I racconti di Offutt invece si inseriscono nella più classica tradizione minimalista americana, arricchita e radicata però qui in un paesaggio che finisce per fornire al lettore un quadro di significato profondo e riconoscibile, laddove invece resta più ambiguo e sfuggente nelle short stories di due maestri come Carver o Hemingway.

Dietro questi stili così diversi si nasconde però un’unica modalità di osservazione, che non varia con il variare delle latitudini geografiche e delle estrazioni storico-sociali dei personaggi. Sia Traven che Offutt sembrano dirci che viaggiare, scoprire luoghi lontani è sì un modo per allargare gli orizzonti, ma anche per mettere a fuoco meglio il proprio punto d’origine, per ridurre le interferenze dello sguardo e perimetrare così i confini del mondo conosciuto. È così che la vicenda esistenziale può ridursi a pochi, essenziali aspetti: lavorare per procurarsi del denaro oppure diventare un criminale, abbandonarsi oppure redimersi, stare con gli oppressi oppure con gli oppressori. Confermando un tratto tipico della narrativa americana, i personaggi dei racconti di A casa e ritorno e Coriandoli il giorno dei morti riescono a raggiungere un punto d’osservazione privilegiato, che permette loro di riconoscere le effettive implicazioni che ogni scelta determina, al netto di tutte le contingenze che ne contaminano la superficie e che spesso condizionano l’azione. Non tutti, naturalmente, fanno la scelta giusta: ma d’altronde è questo il bello della vita, e della letteratura.


a casa e ritorno

Chris Offutt, A casa e ritorno, minimum fax, Roma 2019, 121 pp. 16,00€

 

 

 

 

 

 

73205054_1310861415754500_1976091062497705984_nB. Traven, Coriandoli il giorno dei morti, a cura di Vittorio Giacopini, Racconti edizioni, Roma 2019, 211 pp. 17,00€