Questo articolo ha una premessa, soggettiva e basata sulle mie personali ricerche di letture: mi sembra che la nostra narrativa indaghi molto poco il periodo maoista. Se penso a romanzi o graphic novel che lo raccontano non mi viene in mente che un pugno di titoli, una quantità ridottissima a confronto della mole di narrazioni che hanno come ambientazione la Russia rivoluzionaria e quella stalinista, o che parlano delle dittature europee di estrema destra. Della Cina di Mao, insomma, si parla poco, non so se per una lontananza culturale e geografica che si traduce in distanza emotiva, per una maggior vicinanza temporale che impedisce una chiara visione di insieme, per una carenza di interesse dettata dalle mode letterarie, o per una reale problematica di documentazione e fonti.

Add è un piccolo editore torinese che negli ultimi anni si è fatto notare per la qualità delle sue pubblicazioni e l’attenzione e la delicatezza con cui tratta argomenti di politica e attualità. All’Asia ha dedicato un’intera collana, molto eterogenea nella scelta dei titoli che comprendono saggistica, narrativa e fumetto, e dove trova collocazione Una vita cinese – Il tempo del padre di Li Kunwu e P. Ôtié, graphic novel autobiografico sull’infanzia e la preadolescenza dello stesso Kunwu, trascorse all’ombra del Grande Timoniere, Mao Zedong.
Raccontare la trama del libro, ed è questo a mio parere il punto focale attorno a cui ruota tutta l’opera, significa raccontare la Cina di Mao, dagli albori alla Rivoluzione Culturale passando per il Grande Balzo in Avanti.

Assistiamo nell’opera di Kunwu a una totale fusione tra l’individuo e la Storia che lo circonda e che predomina prepotente a ogni pagina. È una fusione che percepiamo fin dall’inizio del racconto, in una sequenza che si fa promessa di quello che ci verrà raccontato più avanti: troviamo Li, ancora molto piccolo che a stento balbetta “mamma” e “papà”, mentre il padre prova a fargli imparare la frase: “Che il nostro presidente Mao possa vivere diecimila anni”. Ovviamente Li non sa ripetere le parole che vorrebbe suo padre, il quale a metà della frase sbotta con: “Pezzo di idiota!”. L’insulto è rivolto al figlio, ma è stato pronunciato subito dopo il nome del grande leader e potrebbe lasciar intendere che l’uomo stia imprecando contro di lui. È in questo momento che la moglie gli dice di smetterla, temendo che i vicini possano sentire e fraintendere.
La storia di Li bambino, della sua famiglia, dei suoi rapporti con i compagni di scuola, è insomma la storia della Cina comunista a cui ogni rapporto, anche quello più intimo, è saldato in un modo apparentemente indissolubile. Non c’è vita personale al di fuori di quella concessa dal regime, non c’è sogno, non c’è fantasia. Il tempo è scandito dalle tappe della Rivoluzione.

Si parla, in questo lungo racconto rivoluzionario, di gente comune, il protagonista è figlio di un quadro del Partito, ma non vive nella capitale e la sua famiglia materna viene dalla campagna più profonda. Gli intellettuali non esistono, chi più si avvicina a un ruolo analogo sono i professori della scuola di Li, che nell’ultima parte del fumetto verranno umiliati verbalmente e fisicamente dagli stessi studenti fedeli al Partito. I più giovani infatti, privi di una guida, sono completamente affascinati dai dettami maoisti e vi si assoggettano spontaneamente e volentieri. Sono loro i primi a denunciare gli adulti che presentano comportamenti sovversivi: quelli che tengono in casa idoli del passato, libri e immagini che ritraggono mitologie antiche, quelli che, a dispetto dei ragazzi che non hanno conosciuto altro, sono in grado di rendersi conto del pericolo quando la maglia della censura si fa via via più stretta.

La massiccia distanza generazionale che emerge dal racconto di Kunwu e Ôtié è qualcosa a cui non siamo abituati nelle narrazioni occidentali, il distacco tra padri e figli è infinitamente maggiore di quello che percepiamo noi rispetto alla generazione dei nostri genitori, o tra quella dei nostri genitori e quella dei nostri nonni. Assistiamo, in Una vita cinese, a uno scontro di culture più che a un’evoluzione della medesima.
Ancora, al momento del Grande Balzo in Avanti la divisione tra adulti e ragazzini non è così marcata, facendo entrambi parte del più grande ingranaggio che regola ogni momento della giornata, quello dei pasti e quello del lavoro, sempre comunitari, quello delle lunghe code per consegnare i propri oggetti in metallo e dell’abbattimento degli alberi necessari ad alimentare gli altiforni.

È con l’inizio delle narrazioni di propaganda sul compagno Lei Feng, un giovane Stachanov in versione cinese che aiuta i vicini con i lavori di casa e le vecchiette ad attraversare la strada, che la distanza si fa maggiore, per poi diventare incolmabile dal 1966 in avanti, con l’avvento della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e la distribuzione del Libretto rosso di Mao. I ragazzini, a emulazione di chi già presta servizio nell’esercito, si organizzano in brigate animate dall’unico scopo di annientare il pensiero borghese, controllano gli adulti del quartiere, da quelli che frequentano i bagni pubblici, ai parrucchieri, alle donne con l’orlo della gonna troppo corto. Diventano delle macchine di denuncia e contribuiscono in modo determinante all’ondata di arresti che coinvolge lo stesso padre di Li, quadro ubbidiente del Partito ma colpevole della storia famigliare a lui precedente.

Una vita cinese è il ritratto impietoso e senza assoluzioni della Cina maoista, avvincente e spietato eppure pervaso da una diffusa pietas. La denuncia va di pari passo con la compassione, e, di fatto, con molto amore. Amore per il proprio vissuto personale, per la propria vicenda famigliare e per il proprio popolo, antico e sofferente. Le responsabilità dei singoli sfumano nella responsabilità della nazione, nella figura mai reale ma sempre presente del Grande Timoniere, a cui è rivolto ogni sforzo.
Di solito non mi piace parlare di “libri fondamentali”, quella del “libro fondamentale” è un’etichetta pericolosa e ingrata, un continuo banco di prova. Ma questa volta mi voglio arrischiare ad assegnarla.


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Li Kunwu – P. Ôtié, Una vita cinese – Il tempo del padre, add editore 2016, pp. 256.