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#Mappe – Varsavia, per dirne una

Di Varsavia si può dire qualunque cosa perché tanto Varsavia le ha già viste tutte. Di tutte le cose che si possono vedere a Varsavia, infatti, la più sorprendente è Varsavia: per vedere Varsavia a Varsavia bisogna varcare il portone vecchio e distinto al numero 51 di viale Jerozolimskie e guardare nel Fotoplastikon. Il Fotoplastikon ha un bel nome ed è il teatrino stereoscopico più vecchio e distinto d’Europa e, insomma, quel che bisogna fare è accostare gli occhi ai binocoli e guardare le immagini stereoscopiche delle città così come erano fatte quando fu costruito il Fotoplastikon, cioè nell’Ottocento che è un secolo vecchio e a suo modo distinto. Fra tutte le città che si possono vedere al Fotoplastikon, la più stupefacente, per dirne una, è Varsavia, perché Varsavia non è una città, Varsavia è un archivio di città.

Alcuni potrebbero illudersi che Varsavia sia solo una città e dovrebbero quindi prendere l’ascensore dell’Intercontinental Hotel e salire al 44° piano dove c’è la piscina panoramica che è stata costruita per dimostrare appunto che Varsavia non è una città bensì un archivio di città. Nella piscina panoramica si può stare a mollo e, pur stando a mollo, si vedono moltissime cose. Per dirne una, si vede molto meglio il Palazzo della Cultura e della Scienza che è famoso e tutti sanno che è a Varsavia; anche dentro il Palazzo della Cultura e della Scienza c’è una piscina vecchia e distinta ma soprattutto bisogna dire che il Palazzo della Cultura e della Scienza di Varsavia è uguale alla Zinātņu Akadēmija di Rīga, è uguale all’appartamento di Dana in Ghostbusters ed è uguale soprattutto al tempio di Gerusalemme dipinto da Van Eyck nella Crocifissione della Ca’ d’Oro. Anche una zona di Varsavia si chiama Gerusalemme e appunto in quella zona di Varsavia c’è il Palazzo della Cultura e della Scienza e c’è pure Nowa Jerozolima, che è solo un appartamento ma ci mettono la musica elettronica e forse, un tempo, era stato un orfanotrofio o almeno credo che mi abbiano detto così.

Fra tutte le cose che ci sono a Varsavia, inoltre, c’è un fiume che tutti sanno che è a Varsavia perché è un fiume vecchio e distinto che taglia l’intera Polonia. Sul lato destro del fiume c’è un vecchio quartiere tutt’altro che distinto che si chiama Praga e nel quartiere di Praga c’è la cattedrale di San Floriano che, per dirne una, è uguale alla cattedrale di San Vito della città di Praga, sicché bisogna dire che Varsavia non è una città ma appunto un archivio di città.

Nel quartiere di Praga a Varsavia è meglio andarci subito perché è divertente e, se ci si va, si possono guardare le alte case di mattoni, le Madonne di plastica nelle corti dei condomini e soprattutto si può entrare nel cortile al numero 22 di via 11-go Listopada dove c’è un bar per ballare, un altro bar per bere che è tutto un corridoio scricchiolante e infine un teatro. E insomma è un posto piacevole, la sera. Il giorno dopo si può comunque tornare nel quartiere di Praga e, per fortuna, si può andare sia a pranzo che a cena. A pranzo può succedere di andare da Rusałka, per dirne una, soprattutto per le vecchie decorazioni natalizie appese tutto l’anno e la distinta boiserie di infima qualità sulle pareti verde pisello, anche se né le cuoche né la signora Rusałka parlano una sillaba di inglese ed è un fatto davvero curioso poiché tutti gli altri, a Varsavia, parlano spesso molto bene in inglese o in francese o nelle altre lingue del mondo – e infatti i polacchi hanno pure inventato l’esperanto. Fatto sta che la signora Rusałka, che pur non parla inglese né esperanto, gestisce la più incantevole ex mensa socialista di Varsavia, quel tipo di mense che in Polonia si chiamano Bar Latte ma dirlo giusto è più difficile e bisogna dire Bar Mleczny.

A cena, nello specifico, si può andare da Skamiejka, che è un’unica stanza molto piccola, piena di bambole, dischi e vecchie poltroncine fiorite che un tempo saranno forse sembrate distinte. Benché la cuoca di Skamiejka sia russa, le piace portare i capelli come Amy Winehouse e dice: «Ah, se mi piace la musica!», e chiede: «Hai mai assaggiato i ravioli georgiani?», oppure: «Ma forse che siete italiani?», e, se lo siete, vi passa la chitarra perché cantiate Azzurro.

Tra il pranzo e la cena, se si è nel quartiere di Praga, si possono vedere la chiesa russa che sembra subito l’Est e il bazar Różyckiego che sembra il Sud, ma soprattutto la Warszawska Wytwórnia Wódek Koneser, la fabbrica abbandonata che produceva vodka, che è tanto vecchia e distinta da sembrare esattamente la torre del ponte Carlo nella città di Praga e invece è a Varsavia.

Alcuni potrebbero credere quindi che a Varsavia ci siano solo Praga e Gerusalemme ma Varsavia è un archivio di città e dunque, per dirne una, può pure capitare di andare a Żoliborz che sembra un nome polacco eppure è un nome francese e significa Jolie Bord. E infatti, perché sembri davvero francese, al centro di Żoliborz, a Varsavia, c’è una pasticceria e una piazza a forma di stella dedicata al presidente Wilson e c’è la metropolitana, così come è a forma di stella place de l’Étoile, a Parigi, che è dedicata a un altro presidente ma, insomma, la metropolitana c’è sempre. Se si cerca qualcosa di vecchio e distinto a Żoliborz, bisogna andare al Prochownia Żoliborz che è una caffetteria e a volte c’è la musica, la sera, ma soprattutto c’è una fortezza russa dell’Ottocento, che è un secolo vecchio e distinto. Questa fortezza, per dirne una, si chiama Cytadela Warszawska ma a Varsavia ci sono altre sei Cittadelle perché Varsavia è un archivio di città, tant’è vero che il simbolo di Varsavia, la sirena, è pure il simbolo di Copenhagen ma la sirena di Varsavia sta al mercato della Città Vecchia.

La Città Vecchia di Varsavia, per dirne un’altra, non è vecchia affatto eppure è una distinta biblioteca di sciagure e infatti, perché fosse chiaro sin dall’inizio, l’invasione svedese del 1655 non fu chiamata “l’invasione svedese” bensì “il diluvio”, e benché Varsavia fosse piena di architetti italiani nessuno chiese loro di cantare Azzurro e allora costruirono borgo Cracovia con le facciate eleganti, i caffè, le librerie e i negozi di dischi nei cortili interni. Purtroppo a Varsavia toccava vederle tutte sicché dovettero ancora venire l’invasione russa, l’invasione prussiana, la conquista napoleonica e l’invasione tedesca. Dopodiché non c’era più Varsavia a Varsavia, e allora bisognò ricostruirla da capo e per farlo, negli anni Cinquanta, si presero a modello le vedute dipinte dal Canaletto junior, che erano vecchie vedute settecentesche molto distinte ma soprattutto dettagliate, e insomma Varsavia, tutt’a un tratto, non era più Varsavia ma una copia di Varsavia del XVIII secolo ricostruita dopo la guerra. E proprio il sior Canaletto ha dipinto almeno sette vedute di Varsavia, rasa al suolo dai nazisti, e cinque di Dresda, rasa al suolo dagli alleati: aveva, come si dice, un gran fiuto.

Quanto resta di Varsavia a Varsavia ha adesso un centro che, a scanso di equivoci, si chiama Centrum, all’ingresso della metro, accanto al grattacielo alzato dai sovietici alla stipula del Patto di Varsavia, tanto per non incombere. Al centro del Centrum c’è una colonna di bronzo che conta i chilometri: 1122 km separano Varsavia da Mosca e sempre 1122 km separano Varsavia da Bruxelles, è appunto il centro del Centrum del centro Europa. Così nel sottopassaggio della metro Politechnika ci sono sei metri di piastrelle disegnate e, insomma, se si vuole andare al Politecnico con la metro, ché è proprio un piacere andarci, su quelle piastrelle si vedrà un’altra Varsavia dipinta, sempre con le case del Canaletto e il fiume vecchio e distinto, ma, tutt’a un tratto, si noterà la Moschea Blu, Aghia Sophia e l’intera Istanbul che sfuma dentro Varsavia, perché Varsavia è il centro e Istanbul è il limite d’Europa. E, infatti, per dirne una, le lunghe arcate vecchie e distinte, buie e sommerse, le arcate dei filtri per la depurazione delle acque si chiamano i Filtry Lindleya, a Varsavia, e sono uguali alle cisterne basiliche del VI secolo di Istanbul, poiché Varsavia, anche sott’acqua, è un archivio di città.

C’è appunto, per dirne un’altra, la porta nera nascosta in fondo al parcheggio della banca al numero 11 di via Nowogrodzka. In fondo alla scala, nelle segrete, c’è Weles, che è anche il nome slavo del dio-stregone, ma soprattutto è un bar col bancone inglese e un soffitto di legno spedito dagli Stati Uniti, non meno vecchio e non meno distinto del bancone. Insomma è un bar sotterraneo che è un archivio di bar anglofoni: infatti lì parlano inglese e tuttavia non parlano esperanto. Può pure capitare di ascendere, a Varsavia, e allora è meglio andare all’Hoża 51, che è dentro un’ex fabbrica di formaggi e nel bar c’è una palestra di arrampicata. Per ascendere ancora più in alto, a Varsavia, c’è l’aeroporto di Chopin da un lato del fiume e un vecchio hangar non proprio distinto dall’altro lato del fiume. Nel vecchio hangar, che poi si chiamerebbe Hangar 646, c’è una palestra sconfinata di anelli, rampe e vasche di gommapiuma per saltare proprio come si deve.

Fra tutte le cose che si possono vedere a Varsavia, per dirne un’altra, c’è il palazzo Łazienki che, a ben vedere, non è un palazzo ma un catalogo di palazzi e galleggia su un isolotto. Nel parco Łazienki, infatti, c’è la Casa Bianca e il ponte cinese, c’è un’Orangerie come a Parigi e il Belvedere come a Vienna, c’è il teatro di Ercolano e un tempio egizio. Fuori dal parco Łazienki, invece, c’è Varsavia con le cose precise di Varsavia e soprattutto gli origami di cemento e vetro, perlopiù degli anni Cinquanta, perlopiù magnifici, come è magnifica la stazione di Ochota, la stazione di Powiśle, la “Rotunda” e la Dom Meblowy “Emilia”, che adesso, per dirne una, c’è dentro l’arte contemporanea anche se forse è un po’ piccola per mettercela davvero e allora si progetta un museo più grande ma l’unico museo grande al momento è il Museo Ebraico. Ed è buffo perché a Varsavia c’è anche una piccolissima casa ebraica, la più piccola casa in muratura del mondo, che si chiama Keret House e infatti è larga 93 cm. Insomma anche il Museo Ebraico è di vetro e cemento come gli origami degli anni Cinquanta e l’ha costruito da poco un architetto finlandese, ma non è strano affatto perché già durante l’egemonia sovietica i finlandesi hanno costruito un intero villaggio finlandese al centro di Varsavia e ancora adesso la colonia di baite finlandesi è nascosta da qualche parte vicino al Parlamento. Qualcuno potrebbe credere che il villaggio finlandese sia il solo posto invisibile a Varsavia e dovrebbe andare, allora, a cercare la sinagoga o il palazzo di Sassonia che sono invisibili al massimo grado. Persino il più bel cinema di Varsavia, che è un cinema art déco e infatti è rotondo, si chiama Kino Iluzjon. Sicché Magdalena Tulli, un giorno, ha letto Le città invisibili, in italiano, e ne ha scritto un’ultima, in polacco, e quell’ultima, per dirne una, è appunto Varsavia, la città invisibile (Sogni e pietre, 1995). Di Varsavia, infatti, si può dire qualunque cosa perché tanto Varsavia le ha già viste tutte. Ma fra tutti i posti invisibili a Varsavia, il più invisibile è il giardino al numero 14 di Władysław Żeleński, nel quartiere di Włochy che significa “Italia”. Nel giardino al numero 14 di Władysław Żeleński abitava il signor Adamek che ora è morto ma prima di morire ha costruito, anno dopo anno, il ponte di Rialto e Mont Saint-Michel, i templi di Luxor e la torre di Pisa, il Walhalla di Regensburg e la cattedrale di San Basilio. L’ha costruito fino al 2008 con mattoncini minuscoli di terra rossiccia, poi l’ha chiamato Ogród Budowli Świata, che significa Giardino delle costruzioni del mondo ma, a ben vedere, vuol dire che Varsavia non è una città, è un archivio di città.


Le foto sono di Marcella Foschi e dell’autore


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