«Potrei essere la persona più politically correct del pianeta. Davvero, potrei. Fino a far dire a tutti quanti: “Wow ma che carino”. Ma io semplicemente non ho tempo per queste cose». Non ha tempo Donald Trump per queste cose. Lui corre sempre. Adesso lo fa, addirittura, per la Casa Bianca.
Ormai l’abbiamo sentito dire e fare talmente tante cose che nulla sembra stupirci. Trump che prende in giro un giornalista disabile o il senatore John McCain, eroe di guerra del Vietnam catturato durante il suo servizio. Trump che vuole «chiudere internet», Trump che non vuole far entrare nessun musulmano negli Stati Uniti. E ancora: Trump che vuole rastrellare 11 milioni di immigrati negli Stati Uniti e “arrestarli”. O che vuole costruire un muro enorme lungo il confine con il Messico (pagato per altro da “loro”). Infine – ma si potrebbe continuare – Trump che diventa meme, che diventa virale, video di YouTube da condividere. Ancora, ancora e ancora.
No, Donlad Trump non andrà da nessuna parte.
E alla fine saranno gli elettori a dire «You’re fired», come faceva il magnate ai tempi di The Apprentice. Ma c’è una cosa che questa lunga, lunga campagna verso #Usa2016 sta insegnando, almeno dalla parte dei Repubblicani. L’uso spregiudicato del linguaggio. In tutti i modi, su tutti i media, in tutte le occasioni possibili.
Già, perché mentre Obama ha sedotto due volte con la narrazione anche un po’ ovattata di «Yes, we can» e del «Forward», oggi dall’elefantino a stelle e strisce parte un coro più aggressivo. Il Make America great again di Donald Trump, sottintende anche un “ad ogni costo” che esplode in apparizioni pubbliche, comizi e sui social media.
Qualche esempio? È il 16 giugno e Trump decide di annunciare la sua candidatura. Lo fa con una classica conferenza stampa, trasmessa anche via Periscope. Ad un certo punto dice: «I will be the greatest jobs president that God ever created». E il primo commento su Periscope è questo: «Credo a tutto ciò che dice».
Affidabile? Chissà. Intanto Trump sale nei consensi nonostante ci siano candidati repubblicani con un portafogli più gonfio del suo e più accreditati alla vittoria finale (falso mito da sfatare: Trump è ricco, ha un enorme patrimonio personale, ma i finanziatori non sono così sprovveduti. Al momento in testa, per intenderci, c’è Jeb Bush con 133,339,158 di dollari raccolti, seguito da Ted Cruz con 64,854,837; segue Ben Carson con 35,397,592. Trump ha raccattato solo 5,828,922 di dollari. Uno dei motivi per cui Trump non andrà da nessuna parte sta qui: follow the money).
Trump ha preso un “social media guy” che l’ha fatto schizzare in termini di follower, like e condivisioni. Si chiama Justin McConney e ha 29 anni (qui Politico ne fa un bel ritratto). McConney è mister 4.000.000 in pochi mesi, è vero, ma il più è proprio nelle frasi e nei concetti che Trump esprime. Certo, anche come li esprime fa la differenza. Trump è abituato al culto della personalità a frasi nette, brevi e a concetti semplici che possono tranquillamente essere racchiusi in un post, in un tweet, pronti ad essere sparati sul web. Concetti che possono essere talmente assurdi da essere discussi. Trump crede veramente a ciò che dice?, si chiede l’Independent. Difficile indovinarlo, ma una cosa è certa: Trump non ha tempo. Nemmeno per queste cose.