Momo a Les Halles (Neri Pozza, 2014) è l’opera prima di Philippe Hayat, un imprenditore francese il cui intento è quello di testimoniare la felicità di intraprendere non solo come scelta professionale ma come scelta di vita. Dopo un passato con una laurea conseguita presso l’Ecole polytecnique, una specializzazione all’ESSEC di Parigi e un presente di imprenditore di successo attento alle esigenze dei giovani, Hayat ha voluto che il futuro gli riservasse anche un percorso di scrittore.

Peccato solo che le pagine del suo libro contengano un esempio di quanto la cultura più semplicistica possa oggi tanto facilmente circolare nei festival e nelle librerie assieme ad altra più intensa e raffinata: basti pensare alla somiglianza apparente tra la vicenda in questione e quelle narrate dall’ultimo vincitore del Premio Nobel Patrick Modiano.

Ambientata durante i fatti tragici della Seconda Guerra Mondiale, la storia di Momo a Les Halles è infatti quella di un ragazzino di nome Momo, di origini ebraiche, i cui genitori sono stati deportati dai nazisti e che si trova improvvisamente costretto ad arrangiarsi prendendosi cura anche della sorella minore. Les Halles e il suo brulicante mercato diventano l’occasione di sopravvivenza e riscatto per il giovane che in breve tempo nutre le sue ambizioni escogitando commerci sempre più proficui. Fedeli amici e consiglieri lo accompagnano nelle sue avventure spiegandogli come il «bernoccolo del commercio» sia «quando senti che il mondo comincia ad aprirsi» (p. 123) o che «il guadagno è per chi dimostra coraggio, per gli audaci: è la giustizia degli affari […] i poveri possono arricchirsi, è questa la buona notizia che vi do stasera. Anche qui è la giustizia degli affari» (p. 187).

Quella che potrebbe essere vista come una banalissima febbre (e cultura) dell’oro viene però nobilitata dal desiderio del giovane di accumulare una cifra sufficiente a riscattare i suoi genitori, ovunque essi siano, e di garantire un certo comfort alla sorella. Seguono così vicende tragiche ed eroiche, tra le quali non poteva mancare l’iniziazione amorosa a cui una prostituta guida il giovane continuando a ripetergli di non innamorarsi.
Tra gli avventurosi snodi della formazione di Momo, inoltre, da non dimenticare, c’è sempre la minaccia incombente del campo di concentramento. Una tragedia storica e umana ridotta ad exemplum di un contesto di crisi, tale da permettere che sulla copertina si parli delle avventure di «un ragazzino sopravvissuto, che riesce ad imporsi in un’epoca ostile»

Peraltro vari elementi della storia sono tratti da La vita davanti a sé di Romain Gary, a cui l’autore riconosce di essersi ispirato ma senza chiarire il senso della coincidenza del nome, dell’età e del temperamento del protagonista, così come del suo legame affettivo con una prostituta, dell’ambientazione della storia e di vari altri particolari. Le due opere differiscono apertamente, invece, per quanto riguarda la costruzione formale e linguistica: laddove quello di Gary riesce infatti ad essere un efficace ritratto di una società marginalizzata, scritto con un linguaggio straniante e irriverente come è appunto il giovane io narrante, Hayat sceglie di appiattire la sua narrazione in quello che lui stesso definisce un “modo classico”, con una cronologia lineare, uno stile semplice scelto per lasciare spazio agli eventi, alle azioni e ai personaggi.

coverChe dire? Poteva essere un felice tentativo di incontro tra le logiche dell’arrivismo neoliberista che ci sovrastano e un mondo letterario figlio di valori sempre più residuali… e invece no: questo libro è solo l’emblema della soffocante oppressione in atto, è la rinuncia ad un pensiero problematico e complesso, è la banalizzazione dell’uomo e della storia, è il veicolo di un’idea di letteratura come solo intrattenimento e, quel che è peggio, come al solito, riesce ad essere tutto questo continuando a sorriderci e a ripeterci che basterà aver fiducia in noi stessi e tutto andrà bene.

P. Hayat, Momo a Les Halles, Vicenza, Neri Pozza, 2014, € 18.